Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

·CONFRONTI questa ragione il più bel libro sul fascismo-cromosoma è Eros e Priapo di Gadda. Garbali considera Renato Serra il suo maestro, forse in inquietudine e in propensione a sconfinare nella storiografia. Scrive Gianfranco Contini che quella di Serra "è I' inquietudine dello storiografo, di colui che vuole, non diremo ancora razionalizzare la storia, ma dichiarare la propria angoscia relativa al 'dato' storico". In questo libro il dato è una cronologia di ben 170 pagine, c~e non chiariscono il caso Pascoli ma lo reimpostano: "ovunque Giovanni Pascoli. in questa esistenza cada lo sguardo, ci s'imbatte in un'imboscata o in un punto dove convergono strade oscure e imbrogliate". Garboli studia da contemporaneo. Vale a dire che va componendo un catalogo dei vizi salutari e delle virtù autodistruttive del Novecento, come il Saba-di Scorciatoie e raccontini, grande libro rimosso. Ma attenzione: non sta lì a recuperare aspetti "attualizzabili" di un autore forzandolo a un aggiornamento di comodo. Piuttosto legge nel DNA di ciascuno l'annidarsi di tare genialità genialogie che si manifesteranno solo sotto il nostro sguardo, ma delle quali nòn si sa quanto furono consapevoli a che ne fu l'incubatrice. Il suo discorso è sempre dentro l'arte e dentro la vita, dentro e fuori la persona, e questa distinzione non ha più motivo per sussistere. Invece s'indagheranno le lotte, gli scambi, le esclusioni, le comunanze tra fisiologia e intelletto, tra la scrittura e la fibrosità della carta su cui si posa, senza ridursi a una registrazione di dati tutti egualmente significativi: al contrario, una volta ammesso che tutto può servire, si procede drasticamente a scelte e sottrazioni. Così, già che c'è, Garbali può rovesciare sul suo lettore tonnellate di letteratura, stabilire nessi tra autori e fenomçni lontanissimi saltando tutti ipassaggi; ma è furbo e sa che potrebbe perfino rincarare la dose perché c'è dietro la vita - la sua, quella altrui - che urge e sfiora ogni momento. Nel caleidoscopio pascoliano passano, sfuggenti e illuminati a lampi, i fotogrammi che da Pascoli in qualche modo si distaccano: Penna, Montale, Quasimodoe perfino molto Pirandello; · per tacere dei pittori. Garbali si rifà a una scissione originaria, la separazione platonica dei due sessi: lo provocano gli autori in cui la scissione è operante, meglio se a loro insaputa. O quelli che con la scissione hanno un rapporto attivo, pugnace: la Morante, la Ginzburg. O quelli che come Penna fanno cortocircuito col proprio sesso. È qui che uno scrittore si rivela: Garbali si è divertito a insinuare, in scrittori considerati bidimensionali, tutti in superficie, "sani", il tarlo novecentesco dell'ansia, della malattia, del sottosuolo. È stato il primo a farlo con Calvino, nel 67', ci ha riprovato l'anno scorso con il Croce del Contributo alla critica di me stesso. Così per Pascoli: non le sue poesie famigliari ci legge Garbali, ma Pascoli stesso al centro di un dagherrotipo famigliare: un Pascoli in posa che parla di sé in quanto in famiglia e che è stato, con Pasolini, l'ultimo poeta "capace di proiettare il privato nel pubblico e di fare del proprio. vissuto, con una certa totalità, un oggetto fenomenale". Ci racconta la doppia sconfitta di un uomo dimidiato e del fanciullino rimasto incistato nell'uomo fino alla morte. Ma qui siamo ancora nel luogo comune pascoliano. Cosa fa in più Garbali? Legge in Giovanni Pascoli l'apparizione e la rimozione del più 34 italiano dei temi, la famiglia. Noi italiani non abbiamo da fare i conti, come i tedeschi, con un inferno sovraumano tipo il nazismo. Siamo però impantanati nelle sabbie mobili della visceralità familiare, mediocre anche nell'atrocità, che non offre né una resistenza per combatterla né una solida base d'appoggio per slanciarsene fuori. Studiare in Pascoli la "sanguinante messa in onda del materiale affettivo", "la programmata strategia amniotica del ri.ido" da per paradosso tanti più risultati quanto più Pascoli nascondeva a se stresso il senso vero di ciò che chiamava "nido". Forse un importante indizio si può trovare a partire dalla chiusa del Canto notturno di Leopardi: "dentro covile o cuna/ È funesto a chi nasce il dì natale." Per Pascoli la famiglia e il luogo natio sono covile e cuna insieme, ma egli preferisce un termine che media tra i due: "nido''.·allude al rapporto di parentela circoscritto in un nucleo socialmente riconosciuto e al fondo prelogico e preumano dell'individuo. Ma è termine meno violento di "covile", che implica la bestialità in tutto il suo significato fisiologico .fisico e sessuale. Con "nido" pascoli regredisce dal mondo adulto (inambito umano) e rimuove l'elemento feriho vero e proprio (in ambito preumano). Nido e castità sono i poli del rapporto tra Giovanni e le sorelle Ida e Maria; è uno spunto per rifare parte della nostra storia.letteraria: "Invece di dedicare tanta attenzione allo scandalo degli amori così ovvi di Gabriele D'annunzio, mag~i ci si fosse chiesto che cosa accadeva, di veramente inquietante, nella villetta con giardino di via della Zecca. Come nei romanzi di qualche scrittore inglese, una geometria sconosciuta presiedeva a un amore a tre le cui distanze da angolo a angolo, nella stessa stanza, ruotavano intorno a una rimozione di tipo fatato e meraviglioso". Garbali ci mostra come Pascoli cancelli la propria vita per scrivere la sua poesia: "Il Pascoli si proibì la virilità: la cancellò, la rimosse per concedersi la gioia e la smemoratezza di un sentimento felice e incestuoso che la sua coscienza di valentuomo dell'Ottocento non avrebbe mai potuto envisager senza desiderare di annientare non solo la propria maschilità ma sr stesso". E ricongiungendo biografia e opera, poesia e verità: "La rivelazione e la trasparenza delle 'cose', in Pascoli, la famigerata 'poesia delle cose' che si è prestata a malintesi così legittimi, non è altro che una censura che scompone il desiderio e lo proietta, lo frammenta diffondendolo oggettivamente in tutto ciò cheattiraechiamaalla vita ma non può essere visibile". Pascoli filtra istinti e sentimenti attraverso il proprio linguaggio, col quale tutto si può dire tranne il tipo di amore che egli spera dal nido. Il linguaggio dell'amore è sviato e diffratto nel linguaggio della :'bontà": "si viene a creare una situazione affettiva d'intensità e di grado termico superiori alle normali temperature famigliari; ma l'intimità famigliare, a sua volta, viene filtrata da un linguaggio di maniera che agisce da rivestimento isolante". Se Garbali considera Pascoli "poeta divertente", questi lo sarà innanzitutto in senso etimologico, per il suo "parlar d'altro" e parlarne in codice. Il critico sarà colui che scrive di Pascoli ciò che egli non volle, non seppe, non poté scrivere di sé, colui che ne invera il manierismo nell'atto stesso di smascherarlo. Il passaggio cruciale è la mutazione pascoliana "da una malattia oscuramente salutare a una guarigione mortale". ,Cioè: dalla salute inconsapevole nel nido alla malattia pretotalitaria del "poeta nazionale". Per Pascoli il nido doveva rimanere uno, non scomponibile nei singoli amori per le due sorelle Ida e Mariù. Ma nel nucleo avviene una fissione e la reazione si scatena: Ida si sposa nel 1895, tutto crolla. Solo con Mariù, Pascoli non sopravvive a se stesso ma alla propria vita, alla "maturità storta" di un uomo "smascolinato", come lo definì il suo amico Ugo Brilli. Il divieto di vivere è ormai irrevocabile. Da questo punto in poi, si può leggere nella vicenda di Pascoli, moltiplicata dalla poesia, la tragedia quotidiana di milioni di piccoli borghesi che vegetano ripensando ai tempi che "avrebbero

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