Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

permanente e che non riesce più a inserirsi in una normalità che non accetta e non lo accetta. Sempre più coinvolta nelle preoccupazioni di e per Emmett, Sam entra incontatto con i problemi dei reduci: le conseguenze dell' Agent Orange, il disadattamento, l'assurda nostalgia per un mondo che pure li ha distrutti. Supplendo con la sua fervida immaginazione al silenzio imbarazzato e protettivo che Emmett e gli altri reduci oppongono alla sua setedi saperecom'era Laggiù, Sam compirà un vero e proprio percorso di iniziazione, entrando in intima comunione con le vittime della guerra: s'innamora di un altro reduce, Tom, che la guerra ha reso impotente; recupera le lettere e il diario dal fronte del padre, dando finalmente contorni netti, seppur aspri, a un fantasma che la perseguitava con la sua assenza; cerca di riviverne le esperienze inoltrandosi in una palude vicino a casa; scuote lo zio dall'apatia e lo trascina in una catartico pellegrinaggio finale al monumento ai caduti del Vietnam di Washington. Tutto questo raccontato con una vivacità e una ricchezza di dettagli impressionante che rinnova la nostra meraviglia di fronte alla varietà CONFRONTI e all'efficacia espressiva di una tradizione realistica della narrativa nordamericana di cui la collana Ovest di e/o continua a darci molteplici e validi esempi. Se qualche lettore italiano può trovare eccessivo il martellante bombardamento di riferimenti a marchi di fabbrica, località, canzoni e programmi televisivi americani, può tuttavia star certo che questi dettagli non sono fini a se stessi ma servono a far risaltare la capacità della protagonista di staccarsi emotivamente e moralmente da una realtà in cui pure è immersa in maniera intima e totale. La resistenza che Sam oppone alle spinte verso l'ottundimento della coscienza che sembrano assediarla da tutte le parti è forse il valore che emerge più nettamente dal romanzo. Robbie Ann Mason conferma le doti di scrittrice con uno straordinario orecchio per il dialogo che avevadimostratonei racconti di Shilohand Other stories (1982). Questo particolare talento deve aver causato non poche difficoltà a Piera Castelnuovo, i cui sforzi comunque sembrano riusciti a rendere al meglio, in italiano, l'atmosfera e il tono, se non proprio l'inimitabile ritmo, della lingua parlata dai personaggi della scrittrice americana .. Il tentativo di gettare un ponte tra le generazioni che hanno vissuto sulla propria pelle prima il conflitto e poi una massiccia rimozione colletti va del suo impatto è perfettamente riuscito. Questo romanzo è una testimonianza preziosa, dunque, di un travaglio tuttora in corso e che l'attuale conflitto sicuramente rinnoverà: non è detto infatti che al termine di questa terapeutica avventura bellica l'America e l'Occidente non si ritrovino con altre cicatrici da sanare e altri spettri da esorcizzare. A volte questo processo può persino riuscire utile. Dopotutto, il conflitto vietnamita un effetto positivo sull' apparentemente immodificabile schema della guerra sembra averlo avuto: si è notevolmente abbassata, nell'opinione pubblica americana, la soglia di accettazione della possibilità di vi_ttime della propria parte. Gli effetti dirompenti di questo fenomeno sulla strategia tradizionale sono sotto gli occhi di tutti. Chissà che non si riesca ora a compiere l'altro piccolo ma essenziale passo in avanti sulla via della vera pace e abbassare la soglia di.accettazione delle perdite anche dall'altra parte ... Un romanzo familiare molto italiano Il libro .di Garboli su Pascoli Domenico Scarpa Una quindicina d'anni fa, su "Prima comunicazione", Giorgio Bocca definì Cesare Garbo li "un bello della compagnia Cimara", un "gigione". La definizione, quando la lessi l'anno scorso, mi parve ingiusta e calzante nello stesso tempo. Ebbene, se proprio c'è da parlarne, la gigiçneria di Garboli non va cercata nei luoghi in cui il critico dice "io" e sbuca nel suo stesso racconto da una scucitura del fondale a raso di muro, avvertendoci di continuo della sua irrilevanza di testimone nel mentre stesso che, comparsa che neppure si sfila il soprabito per sedersi due minuti a chiacchierare, ha già guadagnato il proscenio e l'occhio di bue. È più sospetto un altro vezzo di Garboli: l'ostentare con finto rammarico la propria smemoratezza sugli anni trascorsi con aleuni amici scrittori, per cui sono sepolti in una nebbia sonnolenta lunghi periodi in comune con Penna e Delfini; e fatti decisivi come l'improvvisa vecchiaia volontaria e autodistruttiva di Elsa Morante oscillano entro un largo intervallo di tempo. Quest'incertezza è giocata ad arte, perché qualche pagina più avanti, dopo aver infittitola nebbia e la suspense, Garbo li ali' improvviso ricorda tutte le date precise, inun'accensione di furor critico e - va rimarcato perché non lo si scambi per un salottiero d'ingegno- filologico. Garbo li è civettuolo nel licenziare, proprio in senso impiegatizio, i suoi libri: la pubblicazione è subita più che voluta, presentata come scelta severissima e anche ingiusta tra i propri scritti, offerta come "brogliaccio o prima nota", come il wastebook in cui, diceva Lichtenberg, vanno a depositarsi le idee geniali, poche o tante, che statisticamente visitano qualsiasi persona. La figura retorica che predilige è quindi la preterizione, il dire di ogni cosa "sarebbe un lungo discorso" mentre appunto quel discorso si sta facendo: magari tra le righe, a intervalli e riprese, ma sempre con minuziosità e ostinazione. Ora Garbo li viene in un certo senso allo scoperto, ripubblicando Cesare Garbali in una foto di Vincenzo Cottinelli. sotto il proprio nome queste Trenta poesie famigliari di Giovanni Pascoli (Einaudi, 1990, pp. XXXVIl-406, L. 45.000) uscite ne11'82 come Poesiefamigliari di Giovanni Pascoli a cura di Cesare Garbo li. Una scelta che già allora qualcuno dei recensori avrebbe approvato, perché i molti strati d'intervento critico (introduzione, cronologia, commento generale e commento filologico di ogni singola poesia, premesse ai due gruppi organici di liriche) quasi nascondevano i pochi versi di Pascoli. La prima cosa da dire è che in questo libro Garboli ha sparso e dissimulato uno dei più bei saggi sulle "categorie italiane". La filologia più puntigliosa si unisce a divagazioni visionarie: ma forse la visionarietà è la forma di disponibilità mentale che più affonda nelle viscere del carattere italiano: per

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