CONFRONTI Un celebre generale dell'antichità ••• · Decima fiaba e mezza Juan Benet traduzione di Antonio Bertolotti Un celebre generale dell'Antichità, noto alle truppe di tutto il , mondo civilizzato per il metodico rigore con cui programmava anche le più insignificanti operazioni militari, venne incaricato dal suo re di allestire una campagna di guerra della massima importanza con la quale sconfiggere una volta per tutte il nemico tradizionale della patria e avviare un periodo di pac;eche durasse per lo meno alcune generazioni. Il generale chiese al sovrano del tempo per addestrare la truppa e, soprattutto, per studiare la campagna nei minimi dettagli; lo persuase che, quanto più_a lungo si fosse dedicato a elaborare i piani di occupazione, tanto .più breve e meno cruento sarebbe stato il conflitto. Il re gli concesse un anno, trascorso il quale le truppe erano agguerrite e perfettamente ~ddestrate. Allora il re fece chiamare il generale e gli chiese se fosse pronto a iniziare le operazioni. Ma il generale gli rispose che ancora non lo era: aveva avuto tempo per sviluppare solo una metà dei piani di guerra, e gli ci sarebbe voluta una proroga di un anno per concluderli. Al termine di quel secondo anno, il re fece chiamare il generale; questi, di fronte alle sue richieste, tornò a scusarsi - giacché gli rimanevano alcuni minimi dettagli da risolvere - e gli assicurò che nel volgere di altri sei mesi avrebbe messo a punto ogni cosa e avrebbe potuto dare inizio alle operazioni militari. Infine, garantì che, con preparativi così accurati, la campagna di guerra sarebbe stata brevissima. Allo scadere del terzo rinvio, il re fece nuovamente chiamare il generale e lo esortò a dare immediato inizio al conflitto, poiché il malcontento cominciava ormai a serpeggiare tra le truppe, e le paghe stavano prosciugando le casse del tesoro. A quel punto, il generale fu costretto a obbedire, anche se gli mancava da risolvere ancora un problema, uno solo. Era, peraltro, un dettaglio di importanza secondaria - la conquista di una lontana fortezza, dove c'era la possibilità che if nemico, esausto e sconfitto su tutti i fronti, si rifugiasse; il generale si prese la libertà di non parlarne ai suoi ufficiali e si accinse ad aprire le ostilità, certo di pOterlo risolvere nel corso del breve conflitto. La campagna procedette rispettando alla lettera i piani del generale, tanto da risultare persino più breve del previsto. Battaglia dopo battaglia, le sue armate trionfarono e il nemico, domato dai loro colpi implacabili, ridotto a poche compagnie sbandate, male armate e senza ufficiali, finì per rifugiarsi proprio in quella fortezza isolata, molto lontana dalla frontiera. La fuga era stata così rapida che il generale aveva avuto appena il tempo di condurre l'inseguimento, senza potersi fe(mare un attimo a riflettere• sul modo per conquistare quell'ultimo baluardo. Quando il suo esercito si fu accampato di fronte alla fortezza, il generale radunò i suoi ufficiali e li arringò così: "Signori, siamo alla vigilia della conclusione di questa guerra. Avete eseguito puntualmente i miei ordini e avete rispettato alla perfezione i miei piani. I risultati li avete davanti agli occhi: ecco là il nemico, ridotto a una centèsima parte di quel che era, barricato in un miserabile fortino, che non può certo offrire una degna resistenza all'impeto delle nostre armate. Poveri disgraziati, non possono aspettarsi che di essere sterminati. E dunque, così sia. Questo è il premio che offro al vostro coraggio, al vostro valore, alla vostra voglia di combattere. Non chiedetemi come fare, non voglio saperne nulla: è affar vostro. Desidero risparmiare ai miei 30 - occhi questo finale sanguinoso; d'altra parte, temo di non aver calcolato bene lo sforzo che ho dovuto compiere e ho bisogno di riposo, di un lungo riposo. Domani mattina, quando mi alzerò - tardi, molto- tardi - voglio veder garrire la nostra bandiera su quella torre. Questo è tutto, signori. Buona notte. Non credo che sia mio dovere di soldato augurarvi buona fortuna, perché non ne avete bisogno. A ogni modo, buona fortuna lo stesso, signori, e buona notte". · L'ascendente del generale sui suoi uomini era tale, che nessuno .degli ufficiali osò-nemmenopensare di disobbedite alle suedirettive; presero alla lettera le sue ultime parole e si disposero, senza la minima riserva, a piantare la bandiera patria su quella torre alla prima ora del mattino. Dell'epilogo della storia esistono due varianti che, alla fine come si vedrà convergono: secondo la versione più conosciuta e !\Utorevole, il generale, uscito dalla sua tenda il mezzogiorno seguente dopo un sonno ristoratore, vedendo garrire nel cielo luminoso la bandiera patria, esclamò: "Non poteva finire che cosl". La seconda versione, più strana e sibillina, registra anch'essa le parole del generale, quando, all'uscita dalla tenda il mezzogiorno seguente, dopo una no\te di incubi, vide il suo esercito sbaragliato ai piedi delle mura, la bandiera nemica che garriva nel cielo luminoso, e disse tra sé: "Non poteva finire che così". Da Tredici favole e mezza (1981), di prossima pubblicazione presso Marcos y Marcos Collage di EmmaCohen, dall'edizione originale del racconto (edizioni Alfaguara 1981 ).
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