Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

Quando.nonsi deve obbedire Ada Marchesini Gobetti La ripresa degli esperimenti atomici ha rimesso ali' ordine del ·giorno le "m·arce della pace" e le discussioni circa il loro significato 'e la loro validità: e mentre alcuni le esaltano, altri vogliono vedere in esse o una subdola manovra politica o una scappatoia per mettersi la coscienza in pace e rifuggir q1:1indidall'assumere altre, più impegnative responsabilità. Anche a considerar le cose dal punto di vista strettamente educativo, mi sembra che non possano esserci dubbi circa l'opportunità di parteciparvi e di farci partecipare i giovani, i ragazzi che·appena siano in grado di comprendere (e quante cose capisce un bambino di dieci anni!). Educazione è partecipazione: non si possono educare i ragazzi isolandoli dal mondo che li circonda, chiudendo. loro gli occhi a ciò che accade, restringendone gli interessi al "particulare": bensì abituandoli a considerare come cosa propria tutto ciò che è umano, a n·onporre limiti al desiderio di conoscenza e di esperienza, ad accettare responsabilità personali e collettive, a credere nella -capacità propria e altrui di rimediare ai mali esistenti e di prevenire le rovine future. Inoltre, a un esame più attento, nelle proteste contro il pericolo atomico-da qualunque par):eesso provenga-, nelle manifestazioni d'una volontà di pace e quindi di vita - quando nascal).o però da un istinto spontaneo o da una ragionata convinzione, e non siano imposte e dirette dall'esterno - ·ci par di scorgere il presagio, se non addirittura il primo passo verso una più civile convivenza umana. Nonostante le differenze, a volte sostanziali, che le deterrninano e le animano in paesi e ambienti diversi, sembrano dimostrare la crescente convinzione degli uomini che. tutti i problemi, anche i più gravi, i più ardui, possano essere risolti non con la guerra, non con la violenza, ma con una precisa e pacata dimostrazione di forza e di volontà. La resistenza attiva può in certi casi (si pensi all'India) avere un valore decisivo anche sul piano pratico; prese di posizione come quelle di Bertrand Russell vannò al di là delle situazioni contingenti per affermare e stabilire atteggiamenti nuovi; le marce della pace che si fanno oggi in Italia - tipiche quelle organizzate da Capitini in Toscana e in Umbria -,raccogliendo gente delle più varie tendenze e mobilitando popolazioni contadine finora tenute aia.argini della vita democratica, sembrano rivelare, insieme aiT'insofferenza per molti schemi, il bisogno di forgiare armi nuove di difesa: e anche di offesa, intendendo la .parola non nel senso di violenza fisica, ma di razionale battaglia. Una di queste armi potrebbe essere la disobbedienza civile: atteggiamento che non ha naturalmente nulla a che vedere con l'anarchica negazione d'ogni legge. L'anarchia è un fatto essenzialmente individuale, mentre la disobbedienza civile'per aver peso e valore deve tendere a diventar collettiva; e anziché in violenza indiscriminata deve esprimersi in resistenza cosciente contro quegli aspetti e ordinamenti sociali - concretati a volte in provvedimenti e in leggi - che profondamente ripugnano alla coscienza dei cittadini. Resistenza che - almeno nel nostro paese, nelle condizioni attuali e sempre più, speriamo, in quelle future - non avrà più bisogno di concretarsi in bande armate o in azioni ter,roristiche, ma si potrà esercitare usando di tutti quei mezzi che permettono oggi di influire potentemente sull'opinione pubblica, determinando in modo decisivo il comportamento della intera popolazione. Sostituire il ragionamento alla viòlenza è un segno di maturità. Le masse che, anziché urlare, manifestano o marciano in IL CONTESTO composto silenzio, che, invece di fracassare i vetri d'un tram o d'un autobus, scelgono di fermarne o impedirne la circolazione, che alla volgarità del!' ingiuria personale preferiscono la dignitosa polemica ideologica, rivelano un grado di matu'rità superiore. Questo presuppone naturalmente che tutti, anche gli avversari, rispettino, sia pure formalmente, un certo livello di civiltà: ché contro il manganello fascista e il mitra tedesco non c'era purtrop-· po altro rimedio•che la violenza. Ma: è proprio questo mondo - civile e umano anche nei suoi contrasti più vivi - che vogliamo costruire per il domani, e in cui speriamo che cresceranno i nostri figli. Ecco dunque emergere la necessità di educare i ragazzi -non appena abbiano superata l'inevitabile aggressività polemica della priITJadolescenza - a un atteggiamento verso la società e la vita che non vorrei chiamare pacifista (per evitare ogni equivoco, ogni indulgenza a posizioni di rinuncia o di rassegnazione), ma piuttosto anticonformista, naturalmente in senso combattivo e costruttivo. Per secoli, nella pratica - se non sempre nella teoria - educativa, l'obbedienza è stata considerata la massima delle virtù. "Sa farsi ubbidire", si diceva, facendo l'elogio d'un educatore; "Ubbidire senza discutere" era ed è ancora il motto di certe famiglie e di certi istituti improntati a spirito militaresco; e il bambino "buono" non è forse tradiiionalmente quello ché ubbidisce? Non vogliamo negare il valore e la necessità dell'obbedienza, per il fanciullo e anche per l'adulto. Il bambino deve ubbidire finché non sia in grado di reggersi e guidarsi da solo; l'adulto deve ubbidire, rinunciando al proprio piacere e interesse particolare, agli imperativi morali.della sua coscienza umana: e in questo senso l'obbedienza è liberatrice, quale segno distintivo di maturità. Ma ogni valore cade e l'obbedienza diventa negati va quando si limiti a un fatto passivo, quasi meccanico, quando non s'accompagni a una chiara coscienza e a una precisa volontà. Gli psicologi hanno dimostrato come il bambino sempre e invariabilmente ubbidiente debba suscitare preoccupazioni anziché compiacimento: ché la docilità nell'eseguire senza discutere qualsiasi ordine rivela un atteggiamento di soggezione, che nega e impedisce ogni impulso creativo. E la storia recente ci ha d'altra parte abbondantemente insegnato come sia facile dall'in-discriminata e conformistica obbedienza precipitare in quella "voluttà di servire", in quella viltà superflua che nel pigro, accomodante rifiuto di ogni opposizione, lascia la via aperta alle prepotenze e alle sopraffazioni peggiori. · "Ubbidire senza discutere" può essere utile soltanto nei momenti di emergenza: e non è forse una situazione d'emergenza quella in cui si trova il bimbo piccolo, esposto· a ogni sorta di

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