ha lanciato per primo il più realistico, attuale, evidente, dei moniti: "Chi di spada ferisce, di spada perisce"? Il cristiano che sente la guerra come una peccato, vale a dire come una trasgressione alla legge di Dio, è un inquieto, e cammina fuori della linea tradizionale che, attraverso la teologia morale, presenta ai fedeli ciò che è peccato e ciò_che non è peccato. La teologia non ha ancora sancito che il fare la guerra, cioè l'uccidere in guerra per giusta difesa, sia peccato: quindi, l'interiore affanno di certi cristiani è superfluo, se pur non è un'insubordina-· zione o una rivolta. A risposta, poniamo due domande: La crescita, o l'affinamento della coscienza morale del cristiano è un frutto della elaborazione teologica o non piuttosto di un movimento interno della coscienza del cristiano, il quale poi presenta la sua scoperta alle considerazioni del teologo? La conoscenza della legge morale si approfondisce per deduzione concettualistica o per elevazione e illuminazione della coscienza morale? La teologia ha sempre rispettato il momento interiore: infatti, quando uno crede peccato ciò che secondo la teologia non è tale, se agisce contro coscienza, non importa se poco illuminata, commette peccato nella misura fornitagli dalla sua stessa coscienza. Quindi, chiunque avverte che pur l'uccidere in guerra è un peccato, ha il dovere di seguire la propria coscienza, poiché sta scritto: "In nessun modo è lecito agire contro la propria coscienza, neppure se lo comandi una legge o un superiore" (card. Newman). Se tale sentire è frutto di coscienza malata o fantasiosa, cadrà da sé: se invece è un'apertura a un più profondo comprendimento della verità, niente potrà impedirlo. La teologia ci guadagna lasciando via libera a queste esperienze personali, poiché qui non si tratta di diminuire il deposito morale della Chiesa, ma di leggerlo con maggiore sensibilità e impegno. Gli uomini della pace cristiana si avviano, senza elaborare teorie, per questa strada interiore, çhe aiuta l'elevazione e la dilatazione della coscienza, nello stesso tempo che non si preoccupa di filosofare sulla guerra giusta e ingiusta. Se dovessimo fare la guerra di ieri, con l'animo di oggi, saremmo in peccato; se facessimo la resistenza come l'abbiamo fatta ieri, con l'animo di oggi, saremmo in peccato. La scoperta è atroce, e molti non la vogliono fare, e, potendolo appena vorrebbero chiudere gli occhi per non vedere ciò che vedonò: ma "contro lo stimolo è duro recalcitrare". Non si tratta infatti di ragioni, quasi fosse una disputa concettualistica il nostro dramma: si tratta di andare contro noi stessi per non andare contro Dio. È venuta l'ora di ridiventare un'altra volta "ribelli per amore", ma contro la guerra questa volta. - Se tu bruci un grano d'incenso davanti all'idolo, che male f .? J a1. Eppure, milioni di uomini hanno preferito la mort~ a questo gesto da nulla. "A Cesare quel che è di Cesare: a Dio quel che è di Dio". El' uomo non fu mai così grande, e la sua libertà mai così sicura, a costo di lasciarci la vita. E ancora una volta vinsero coloro che morirono, non coloro che fecero morire. La non-violenza non va confusa con la non-resistenza. Non-violenza è come dire: "no" alla violenza. È un rifiuto attivo del male, non un'accettazione passiva. La IL CONTESTO pigrizia, l'indifferenza, la neutralità non trovano posto nella nonviolenza, dato che alla violenza non dicono né sì né no. La non-violenza si manifesta nell'impegnarsi a fondo. La non-violenza può dire con Gesu: "Non sono venuto a portare la pace, ma la spada". La non-violenza è la cosa più nuova e la più antica; la più tradizionale e la più' sovversiva; la più santa e la più umile; la più sottile e difficile e la più semplice, la più dolce e la più esigente; la più audace e la più savia, la più profonda e la più ingenua. · Concilia i contrari del principio; e perciò riconcilia gli uomini nella pratica. Se siamo un mondo senza pace, la colpa non è di questi e di quelli, ma di tutti. Se dopo venti secoli di Vangelo siamo un mondo senza pace, i cristiani devono avere la loro parte di colpa. Tutti abbiamo peccato e veniamo ogni giorno peccando contro la pace. Se qualcuno osa tirarsi fuori dal'ia comune colpevolezza e farla cadere soltanto sugli avversari, egli pecca maggiormente, poiché, invelenendo gli animi, fa blocco e barriera con il suo fariseismo. Se la colpa di un mondo senza pace è di tutti, e dei cristiani in modo particolare, l'opera della pace non può essere che un'opera comune, nella quale i cristiani devono avere un compito precipuo, come precipua è la loro responsabilità. Ogni sforzo verso la pace ha una sua validità: chiunque vi si prov_idev'essere guardato con fiducia e benevolenza. Il politico.può fare delle cernite, porre delle pregiudiziali: il cristiano mai. Il cristiano non può rifiutare che il male, per comporre cattolicamente •ogni cosa buona. La pace è un bene universale, indivisibile: dono e guadagno degli uomini di buona volontà. La pace non si impone ("non ve la do come la dà il mondo") la pace si offre ("lascio a voi la pace"). Essa è il frutto di quel comandamento ·sempre "nuovo", che la germina e la custodisce: "Vi dò un nuovo comandamento: amatevi l'un l'altro". · Nella verità del nuovo comandamento, commisurato sull' esempio di Cristo, ("come io ho amato voi"), "tu non uccidere", non sopporta restrizioni o accomodamenti giuridici di nessun genere. ' ' Cadono quindi le distinzioni tra guerre giuste e ingiuste, difensive e preventive, reazionarie e rivoluzionarie. Ogni guerra è fratricidio, oltraggio a Dio e all'uomo. O si condannano tutte le guerre, anche quelle difensive e rivoluzionarie, o si accettano tutte. Basta un'eccezione, per lasciar passare tutti i crimini. Per noi queste verità sono fondamento e presidio della pace; la quale non viene custodita né dalle baionette né dall'atomica, ma dal fatto che tutti gli uomini, compaginati in Cristo, formano con Lui una sola cosa e hanno diritto di ricevere "una vita sempre più abbondante" da coloro che, per natura e per grazia, sono i suoi fratelli. Ognuno è libero di accettare o rifiutare la visione cristiana della pace, che sorregge, anche se non riconosciuta, ogni sentimento verace e ogni sforzo sincero di pace. Chi però l'accetta (e non c'è altra strada che veramente conduca) davanti a qualsiasi torto del prossimo non può appellarsi alla soluzione "giuridica", molto meno a quella "vendicativa", ma solo a quella "evangelica", non importa 25
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