IL CONTESTO Una riproposizione destinata a spuntare le ali alle colombe dei due campi e a spianare la strada al dilagare dei fondamentalismi e dell'intolleranza. . Un possibile scenario post-bellico La guerra del Golfo è ovviamente destinata a incidere in maniera decisiva anche sulle relazioni israelo-palestinesi, come dimostra la ripresa di lanci d'artiglieria e di bombardamenti rispettivamente dal e sul Libano meridionale. . Il primo effetto, probabilmente duraturo, è, come si diceva, un drastico indebolimen_todei rispettivi campi pacifisti. In Israele, la presa di posizione dell'Olp a fianco di Saddam Hussein ha suonato come conferma dell'impossibilità di un accordo, relegando in secondo piano la spaccatura del paese e la sua crisi di identità provocata dall'Intifada. Sotto i colpi dei missili iracheni, si avverte impotenza è angoscia, ma anche un qualche conforto per non essere, una volta tanto, costretti ad affrontare da soli una guerra nella quale è in · gioco la propria sopravvivenza, e si spera nell'improbabile carattere duraturo della spaccatura apertasi all'inte1_110del mondo arabo. Ancora, si pensa che questa volta re Hussein di Giordania non riuscirà a sopravvivere ali' ennesima piroetta, e che verrà sostituito da una non meglio definita forma di sovranità palesti~ese. Ne . discenderebbe un esodo, più omeno pesantemente sollecitato,_dai territori occupati verso la Transgiordania, e una spartizione della Cisgiordania non troppo sfavorevole a Israele. Si tratta forse di un'ipotesi non del tutto peregrina. Per io stato ebraico rappresenterebbe a mio avviso contemporaneamente un'affermazione statuale e una sconfitta nazionale. Un'affermazione statuale, perché vedrebbe il problema palestinese nuovamente esportato al di fuori dei confini dello stato di Israele. Una sconfitta nazionale, perché costituirebbe un'ulteriore regressione di quella prospettiva di incontro e coesistenza fra popoli e culture diversi al di fuori della quale non è a mio parere pensabile nel lungo periodo l'esistenza di uno stato ebraico nel Vicino Oriente. Un eventuale rafforzamento dello stato di ·Israele che ne incentivasse le caratteristiche di corpo estraneo all'interno di una regione sempre più dominata dal fondamentalismo islamico, infatti, potrebbe essere letto come vittoria tattica dagli incerti (e forse oscuri) esiti finali. · Una (azione per la) pacè difficile Se il movimento pacifista internazionale si è trovato fondamentalmentè spiazzato dalla guerra del Golfo, è perché l'alternativa fra pace e guerra, così come è stata posta all'indomani dell'invasione del Kuwait, appare astratta: nel Medio Oriente è in corso un conflitto che, a partire dal dopoguerra, ha conosciuto solamente un'alternanza fra precipitazi<mi e pause, senza mai addivenire a còmposizioni. L'unica, luminosa eccezione a questa logica spietata è rappresentata dalla pace e dal mutuo riconoscimento fra Egitto e Israele (con restituzione di tutto il Sinai da parte di Israele). Fra le tante conseguenze di questa guerra continua, c'è la promozione dell'Irak a grande potenza regionale grazie ai lauti affari che tutto l'Occidente, fomentando la guerra lran/lrak per dieci anni, ha felicemente concluso con· il regime di Baghdad. Vani sono stati i moniti di Gerusalemme: il bombardamento israeliano sugli impianti nucleari iracheni nell'81 è stato generalmente definito un atto di pirateria internazionale, mentre nessuno si è interrogato sul perché lo stato ebraico abbia sostenuto 14 militarmente (in contrasto con le scelte dell'intero Occidente) gli ayatollah di Teheran-:- che non fanno mistero di voler cancellare Israele dalla faccia della terra- nella loro guerra contro Saddam. Oggi ci accorgiamo di come l'Occidente, attrezzando di tutto punto l'esercito iracheno, abbia depositato una bomba a orologeria nella da sempre esplosiva regione mediorientale: non avendo a tempo debito contrastato la realizzazione e sistemazione dell'ordigno, è certo difficile oggi opporsi al tardivo sforzo internazionale di disinnescarlo. Certo, il movimento· pacifista mondiale ha al suo attivo l'iniziativa "Time for Peace", la commovente catena umana attorno alle mura di Gerusalemme in occasione del capodanno 1990. Ma bisogna avere la lucidità di ammettere che quella manifestazione è arrivata troppo tardi, che per vent'anni si è visto Israele come semplice baluardo dell'imperialismo americano (e non, anche, come legittima entità nazionale), si è spesso avallato il terrorismo palestinese come unica possibile espressione di lotta per l'indipendenza, si è oscurato il carattere autoritario, liberticida e razzista della maggior parte dei regimi arabi forse anche per tacere comprensibili sensi di colpa post coloniali. Insomma, è sacrosanto opporsi a questa guerra e produrre ogni sforzo perché cessi al più presto, ma bisogna anche essere coscienti del fatto che, purtroppo, non basta diventare tardivamente pacifisti perché la pace trionfi sulla terra'. Nel lavorare in futuro per la pace, in una situazione mediorientale postbellica prevedibilmente assai deteriorata e inasprita, ci troveremo credo nell'impossibilità di individuare un referente privilegiato delle cui tesi farci portatori, come erroneamente abbiamo tentato di fare in passato. · Ci troveremo al fianco di quelle forze - ostinatamente impegnate nella ricerca della democrazia, del dialogo e della coesistenza - che dalla guerra usciranno drasticamente indebolite e soffriranno di uno stato di is0lamento e di emarginazione crescente all'interno delle società arabe così come di quella israeliana .. Non ci sarà da attendersi grandi risultati immediati, ma da acquisire anzitutto una conoscenza approfondita della situazione capace di coniugru:e i punti di vista antropologico, sociologico, politico e militare. Sulla scorta di tale bagaglio, ci sarà da sviluppare un'azione sistematica volta ali' avanzamento, certo lento, di una prospettiva di integrazione all'interno della quale dovranno essere centrali la i;alvaguardia del diritto all'autodeterminazione delle minoranze e_tniche(ebrei, kurdi, drusi, ecc.) e la conquista dei più elementari statuti democratici anche per quei popoli che non ne hanno mèno urgenza per il solo fatto <,linon avvertirne spesso neppure l'esigenza. "Quando finirà questa maledetta guerra?", ho domandato a un amico pacifista israeliano quando i vetri della casa di Tel Aviv in cui ci trovavamo hanno cominciato a tremare per l'esplosione di un missile lanciato dal territorio iracheno. "Il giorrÌo in cui non solo i palestinesi vedranno riconosciuto il proprio diritto all'autodeterminazione, ma soprattutto nascerà il Kurdistan indipendente, e ogni ebreo potrà liberamente scegliere se continuare a stare in Israele oppure andarsene a vivere e lavorare liberamentè in un paese arabo". Un giorno lontano, che forse non verrà mai ..., ma cui bisogna comunque andare incontro, magari facendo rivivere l'emozione di "Time for Pe_ace"attraverso un giro per le capitali arabe, nel corso del quale chiedere ai rispettivi governi il riconoscimento dello stato di Israele e un sostegno alla causa nazionale del popolo kurdo.
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