Linea d'ombra - anno IX - n. 58 - marzo 1991

IL CONTESTO Il Golfo e i media soluzioni e rimedi, rischia di appiattirsi sulla politica, i suoi schieramenti, quindi i suoi partiti. In questa prima antinomia si sta dibattendo l'attuale impegno cattolico per la pace. Le autorità ecclesiastiche (più i vescovi che il papa, in questo caso) cercano di spostare il discorso su un piano di predicazione "utopica", un piano che lasci ai vari Andreotti di i:umo la possibilità di uno spazio fra teoria e prassi, fra utopia e politica. Molti dei nostri pacifisti, al contrario, temono fughe della colomba verso un cielo nobile ma inutile e preferiscono rischiare l'accusa di politicismo - o, di volta in volta, di cattocomunismo - restando immersi nel crocevia della realtà storica. .., Oreste Pivetta Interessanti, ma anche incerti, i tentativi di superamento dell'antinomia, senza negarne né l'uno né l'altro polo. Cito un solo esempio fra mille, l'appello promosso da un teologo ben noto, don Giuseppe Mattai, docente di teologia morale nella Facoltà Teologica dell'Italia meridionale. A una dura ed esplicita riprovazione della guerra nel Golfo e della politica del nos_trogoverno, seguono alcune proposte operative, che sintetizzo: promuovere l'obiezione·di coscienza in caso di chiamata obbligatoria alla guerra; portare segni di pace sull'abito; i parroci non suonino le campane a festa per tutta la durata del conflitto; stimolare prese di posizione per la fine delle ostilità, la restituzione dell'indipendenza al Kuwait e una conferenza . generale di pace; obiezione anche alle spese militari per finanziare la difesa popolare nonviolenta; impegnarsi a fondo per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato (cfr. "Adista", 1991, 10). 4. Interessante anche un 'altra antinomia nella quale il movimento cattolico - e non soltanto - per la pace si trova stretto, quella fra obiezione di coscienza e diserzione. Una antinomja che non si affacciava quando i cattolici si limitavano a pregare per la pace e a invocarla. Quali i limiti, nella nuova impostazione che cerca strumenti efficaci, fra obiezione di coscienza e diserzione? I vescovi stessi, nel loro comunicato ufficiale, hanno ammesso la liceità della prima (attribuendole la stessa dignità etica del servizio militare), ma hanno condannato la seconda. Si noti che non si tratta soltanto di una questione giuridica (la diserzione è condannata dai codici), ma anche di evitare ai cattolici la antica accusa di scarso senso dello stato, di dissociazione dalla comunità nazionale in pericolo, ecc. Al dilemma sono state date alcune risposte, forse non del tutto convincenti. Alcuni distinguono i tempi: l'obiezione - eticamente lecita se la tua coscienza rifiuta le armi-può essere lecita "prima" della chiamata al servizio militare; "dopo" sarebbe illecita diserzione. Ma, rispondono altri, se a un militare viene chiesto un servizio che in coscienza considera illecito? Deve sempre obbedire? Altri distinguono i ruoli: la decisione spetta alla singola coscienza; i cattolici - vescovi, preti ecc. - devono però insegnare che "se" la coscienza considera illecito un gesto bisogna seguirla, costi quello che costi. Troppo comodo, rispondono altri: non è giusto che chi sta seduto in disparte promuova nei diretti interessati comportamenti eroici e pericolosi. Ma - si può sussumere - ricordare una dottrina etica equivale a stimolare? Il dibattito potrebbe - dovrà- proseguire, ben al di là dei termini, speriamo, rapidi della attuale tragedia del Golfo. La guerra è l'occasione più propizia per raccontare bugie senza complessi di colpa. Nel nome della patria, delle sorti militari, del bene comune, della gloria, della bandiera, eccetera eccetera. Durante l'ultimo conflitto la BBC veniva chiamata dai suoi nemici (filonazisti, peraltro) "Bluff and blustercorporation" (Corporation del bluff e della spacconata). L'informazione non era più informazione ed era sempre più propaganda buona o cattiva e allora, cinquant'anni fa, apparve in tutta la sua importanza, capace di trasformare sconfitte in vittorie, disastri in successi. E contro chiunque si fosse azzardato a dire.la verità si sarebbero mobilitate censure,- poliiie, repressioni e si sarebbe inventato: "Taci, il nemico ti ascolta''. L'importanza era legata alla diffusione ormai capillare di un nuovo mezzo di comunicazione, la radio, attraverso il quale più facile era ascoltare tante voci e -avversarie, protagoniste di una formidabile battaglia dell'etere - la nostra Radio Londra, ad esempio, percepita come prova di verità, contro la radio nazionale_irreggimentata nel recitare di trionfi incombenti. Che cosa in realtà stesse accadendo solo i comandi militari forse conoscevano; gli speaker si attenevano alle direttive, come conferma anche il più celebre di essi, George Orwell, nelle radiocronache dedicate alle popolazioni dell'India, per contrastare quelle indiane filotedesche. Orwell annota: "Nei regimi totalitari ci si aspetta che. la gente abbia la memoria corta". Aveva ragione, ma in Ull punto anche torto: nel senso che, totalitari o no, i regimi la pensavano (e continuano a pensarla) allo stesso modo. Vedi il presente della "nostra" guerra, la guerra del G0lfo. Questa volta la prova di guerra l'ha dovuta sostenere la televisione in una dimensione inedita, anche se il battesimo lo aveva già affrontato altrove, nell'ormai lontano Vietnam, con la pretesa da "villaggio globale" che della guerra si dovesse saper tutto. Forse solo una presunzione, perché della guerra autentica si è saputo solo dopo e magari grazie a De Niro o a Kubrick. Ma intanto sui teleschermi americani, sotto le immagini del varietà o della partita di baseball, scorrevano senza sosta i numeri dei morti e le quantità delle bombe rovesciate su Hanoi (come adesso con i risultati di calcio sotto le scene del film domenicale). I corpi straziati e le salme che rientravano in patria riempivano i telegiornali, e si qice abbiano assai influito nella formazione di una coscienza critica e pacifista. Quel che si teme oggi. E infatti, in una guerra di alleati universali contro un solo nemico, in una guerra che ricorda l'ancestrale confronto tra il bene e il male, in una guerra la cui causa si può vantare più giusta di altre volte perché in fondo gli unici a opporvisi sono sparute e marginali minoranze, e dove tutto, sotto la bandiera dell 'Onu e del diritto internazionale, appare più giustificaio di prima, la promessa di una infomiazione globale è rimasta un mito, come una delle tante bandiere di modernità e di superiorità di quella parte del mondo che deve vincere la sua "guerra santa" (che, come ci ha spiegato l'islamista, non significa altro che guerra giusta). Orwell alla radio recitava lunghi elenchi di bombe scaricate e di navigli nemici affondati (pure la sua in Oriente era soprattutto una guerra aereonavale ), ma sotto rigido contro Iloe autocontrollo. La televisione si è ridotta al rango di radio e recita cifre, tonnellate di esplosivi sotto la sembianza di "operazione chirurgica", con un corollario petulante di commenti casalinghi, lasciando la guerra altrove nel suo carico di dolore ma anche di responsabilità. 9

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