MARZO 1991 · NUMERO58 LIRE8.000 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo
edizionie/o NOVITA' INVERNO 1991 Christa Woif Che cosa resta Che cosa resta è uno dei libri più importanti (e più belli) di Christa Wolf. Concepito negli stessi anni in cui l'autrice scriveva Cassandra, rifiutato dalla censura tedesco-orientale, rielaborato dieci anni dopo per essere infine pubblicato nel 1990, questo lungo racconto affronta gli stessi temi di Cassandra, togliendo però alla narrazione il velo del mito. Una donna che non riconosce più la propria città, il proprio mondo. In Cassandra la città era Troia, qui è Berlino, il -socialismo, tutto ciò che Christa Wolf ha amato e in cui ha creduto. pp. 112, L. 18.000 Nelson Algren Mai venga il mattino Amato da Simone de Beauvoir, ammirato da Hemingway, rovinato da Hollywood, dal maccartismo e dalla sua stessa passione per il gioco, Algren è stato uno dei grandi scrittori americani del '900. "Poeta dei bassifondi", in questo romanzo racconta l'amore tra due "perdenti", un pugile e una prostituta, in una Chicago metallica e spietata. Introduzione di Kurt Vonnegut. pp. 280. L. 26.000 Bobbie Ann Mason Laggiù Un'adolescente indaga nel mondo degli adulti per scoprire cosa è stata la guerra del Vietnam. che le ha ucciso il padre e "ferito" le persone più care. Un romanzo di grande sensibilità sul mondo dei ragazzi e su quello dei veterani. pp. 240, L. 26.000 Edna O'Brien Ragazze nella felicità coniugale Vincitrice dell'edizione '91 del Premio Grinzane Cavour, Edna O'Brien fa - come ha scritto Philip Roth - per il mondo femminile irlandese ciò che Joyce ha fatto per gli uomini del suo cattolicissimo paese: una descrizione irriverente e impietosa. pp. 168, L. 22.000 Anatolij Kim Lo scoiattolo Romanzo fiaba, come dice il sottotitolo, romanzo polifonico con personaggi dalla doppia identità umana-animalesca, romanzo ecologico, Lo scoiattolo è opera di uno dei più originali tra i nuovi scrittori sovietici, un coreano di espressione russa all'incrocio tra due culture. pp. 278, L. 30.000 n' TASCABILI e,o M. Ageev Romanzo con cocaina Un viaggio voluttuoso nella crudeltà, nell'umiliazione, nell'autodistruzione; sullo sfondo i rivolgimenti storici precedenti e successivi alla rivoluzione russa. L'identità dell'autore è avvolta nel mistero. pp. 176, L. 12.000 Frantisek Langer Leggende praghesi Di notte le pietre e le acque di Praga rivivono. Dal fondo della Moldava, dai ponti, dalle nebbiose viuzze della Città Vecchia, escono i vodnik (omini delle acque). le statue del ponte Carlo, il templare senza testa ... pp. 144, L. 10.000 Ai lettori di "Linea d'ombra" offriamo in omaggio il volumetto tascabile Dall'est per ogni acquisto di almeno 70.000 lire. Edizioni E/O - Via Camozzi 1 00195 Roma - Tel. 06-3722829
NOVITÀ UNA COLLANADI LINEA D'OMBRA A·P·E·R·T·U·R·E I TESTI PIÙ ATTUALI DEL PENSIERO RADICALE/LIBEROED ERETICODEL NOSTROSECOLO• TRANARRATIVAE SAGGISTICA,FILOSOFIAESOCIOLOGIA, STORIA E POLITICA • TRESEZIONI COMPLEMENTARI: SAGGI,NARRAZIONI, MANUALI•·NEL1991:SAGGISULL'ITAUA DICIAFALONI,DONOLO,REVELLI ••• • "MANUALI" DI BERARDINELLI (POESIA), .SCARNECCHIA(MUSICA DEL TERZO MONDO},FOFI(CINEMA)••• GLISCRITTI POLITICIDI CORTÀZAR• UN DIBATTITO INTERNAZIONALESULLAPSICANALISI• STORIE RACCONTIDI TOLSTOJ,ARNO SCHMIDT,SARTRE,GOES••• TUTTII VOLUMISONORILEGATI IN BROSSURA,CON COPERTINAADUECOLORl,ALPREZZODI LIRE12.000. LADISTRIBUZIONEINLIBRERIA ÈDIGIUNTI,FIRENZE. Heinrich8611 LEZIONI FRANCOFORTESI Lelezionidi poeticatenute daB611nel 1963sonopreziosenelrivelareil metodo discritturadell'autore, ilsuo mododi lavoraresullarealtà.B611nonvuoleoffrirealcun "breviario",puòunicamente dimostraredi"conosceregli elementidellavitaumana". Ilsuoumanesimo è quellodi uno scrittoreche tentadi ricostruirequalcosache valga ridareall'uomoealla· societàunvoltoumano,responsabile solidale. Voices ILDISAGIODELLA ·MODERNITÀ Il nostromondostarapidamentecambiando. Iproblemidell'intelligenzaartificiale o della societàpost-industrialecitoccanodirettamente, stanno trasformando l'ambienteincuiviviamo. È indispensabilerifletteresui cambiamentie trovarechi possaaiutarcia capirelo scenariochesistadelineando,pienodinuoveidee,nuove incertezze,nuove speranzee nuoveangosce.17 grandi nomi della cultura mondialenediscutonocon luciditàepassione. VOICIS 21 CHANNEL FOUR E BERTRANDRUSSELLHOUSE I L ·DI SAGI O DELLA MODERNITÀ :~!t~l J ~:~~:~~ED~~1li2 MAI ESISTITESEMBRANO COSI SCONTENTI DELPRESENTEECOSI SPAVENTATI DAL FUTURO! • COSA C'~ CHE NON VA, NEL MONDO CUI APPARTENIAMO! QUALI SONO I COSTI UMANI E SOCIALIDELIA MODERNITÀ!• NE PARLANO, AMIS, BEL(,BELLOW, BR/EFS,CASTORIADIS,DAHRENDORF,GALTUNG,GELLNER,GIDDENS,/GNAT/EFF,KOIAKOWSKI, IASCH, PAZ, ROTHSCHILD,TAYLOR, TOURAINE,WALLERSTEIN. -------------------------------------- Desidero essere infor~ato sui prossimi titoli e sulle iniziative di Linea d'ombra. NOME_____________ COGNOME___________ _ INDIRIZZO_____________________ _ CAP___ _ ETA' ATTIVITA' TrovoLDOin □ edicola □ libreria, □ daamici, □ biblioteca LeggoLDOdalnumero__ Sezionidi LDOpreferite_______________ ~--- Data
GLISCRITTORI ELAPOLITICA Il MONDODOPO LAFINEDELLA . SECONDAGUERRAMONDIALE• STOIIIE DI GUERRAEDI PACE,DI ~ffitJf ~~•Wu-'it~~~RE; UN'EPOCA 1)1TRANSIZIONE• ,ARIANO, /IOU, CHOMSKY, ECO, GORDIMEII. GRASS, HALL, HALi/· DAY, KONIIAD, RUSHOIE, SONTAG, THOM'S0N, VQNNEGUT. LevN.Tolstoj DENAROFALSO Unromanzobrevedellavecchiaiadi Tolstoj,chehadatoil megliodellesueriflessiontieoricheneitestinarrativmi, ettendoa puntoun"genered" i"racconttoeoricoo" di teoriatrasformatianvicenda. Denarofalso è divisoinduepartispecularni:ellaprima unacambialefalsificatap,assanddoimano inmano,provocaluttoe corruzionen;ella seconda,bastache una sola persona dimostrliaforzadellaveritàedellagiu~tizia perchétutto possa positivamente cambiare. Voices GUSCRITTORI E LAPOLITICA È la traduzioneitalianadi una seriedi dibattitiorganizzatpi er il Canale 4 della ·televisioneinglesealloscopodiaccostare ilpubblicoallainterpretazionde imaggiori dilemmdi elnostrotempo.1g2randui omini dipensieroeartistci ontemporandeisi cutonodelrapportoNord/SuedEst/Ovesdt,ell'impegnodegliscrittorni ellalottapolitica (GordimeerSontag)d. ellaguerra(Vonnegut e 8611), di crisi e di economia e di · Europad, iprospettivemondial~i eril futuro. . AldoCapitini LETECNICHE DELLANONVIOLENZA Lanonviolenza è una"rivoluzionpeermanentec" hecoinvolgedalprofondogliatteggiamentdi elsingolo e dellacomunitàche trasformae"apre"aglialtri.Questovolume descriveimetoddi ilottacheallanonviolenzasirifannoc,ompresla descri4iondeelle campagnenonviolentceontroil razzismo, inAfrica e inAmerica.Unlibroimportante, anzifondamentalein, questomomentodi . crisidellasinistra. APROPOSITO DEICOMUNISTI INVITO Al PCI PERCHt SAGGIAMENTE, SI SCIOLGA • ICOMUNl- ~11JT~ ~T~Rii~s~~~~,l~N'll DEGU INTELLETTUA•LIPERCH@ • SOLOIl PCIDOVREIIII:CAMBIARENOMEf • BOTTEGHEOSCURE EPALAZZO• Il ROSSOE Il VERDE• MILITANZAEVOLONTARIATO • A"tNOICE, ELSAMORANTE, '1CCOLOMANIFESTODEICOMUNISTI (SENZA CLASSEE SENZA PARTITO/ LA STRANAVICENDA01UNA MACELWAl)Al VOLTOSFREGIATO• NELLAGERMANIADELLADISFATTA,UNARICOSTRUZIONE-INCHIESTASUGLIANNIDELLAPERSECUZIONEDEGLIEBREI• UNATESTIMONE&ENZASTORIAE SENZA CULTURAC• OMEREAGIREI•PRIMA 01 IIOLL, UNODEIRACCONTI PIOALTEI TERRIBILSIULPASSATO TEDESCO• NELILATRADUZIONE 01 RUTH LEISERFORTINI GOntheArnders DISCORSOSULLE TREGUERREMONDIALI Delgrandefilosofodella"discrepanza(t"ra possibilftàe realtàdell'uomonel mondo moderno)a, nalizzatordeella.logicautodistruttivadell'umanitàt,eoricodeigruppi pacifistei decologicil.i mondonon è piùlo stesso.egdli ice,"dopoAuschwftz edopo Hiroshima"L.eferitedell'olocausto e dell'atomicanonsonorimarginabili; è dalla coscienzadellelorounicità e dallaconcreta possibilitàdellafine del mondoche bisognapartireperribellarsi. Linea d'ombra APROPOSITO DEI COMUNISTI Anchela redazionedi "Linead'ombrah" a volutodirelasuasullacrisichetravagliail comunismoitaliano,da una posizione decentratad, i "senzatessera"che non hannointeressdi i carrierao di schieramentodentroil PCI.Nelvolumesitoccano i punticrucialdi eldibattftol:'ereditàleninista e 1ogliattianale, colpestorichedel partitol,acrisidiidentitàchetravagliabase efunzionaril,ruoloambiguodeglintellettuali,glischieramenintiterni,lrapportoela comunanzadi certi metodicon gli altri partitie conil "palazzo"il, rapportoconi Verdie, l'invitoalPCIp, aradossalmeanon troppo,"perchésisciolga"p, erchéinventi nuoveformediversedaquelletradizionali di Partito. AlbrechGt oes LAVITTIMA Pubblicatpoerlaprimavoltanel1954, La vitima siaffiancautorevolmenatleleopere cheriflettonosulpassato.dellGaermania - conaffinitàsoprattuttoconquelledi 8611. Goes,pastoreprotestantes,i è basatocomenarratoresullesueesperienzdei vita,chesonostateterribilpi erché.eghlia .fattolaguerrasbattutodaunfronteall'altrocomecappellanomilitareC. omeogni · inchiestachesi rispetti, e anchecome - ogni"misteror"eligioso, Lavittima conducea una"rivelazionela" cuiscopertalasciamoal lettoredi fare. . . --------------------------------------- Agli abbonati alla rivista è riservato uno sconto del ~0:'o circa (Lire 10.000 _anzichéLire 12.?(?0) sul p~zz~ ~i copertin<?dei primi .c!n~ue hbri ·della nostra collana "Aperture", minimo due htoh (11vorume d1 Aldo Cap1hm "Le tecniche della nonviolenza" è esaurito). Compilate questo tagliando: TITOLISCELT_I ________________________ _ abbonatoa LDOdalnumero____ nuovoabbonamentinodata_____________ _ □ PagamenteoffettuatosulVs c.c.p.N.54140207 O Allegoassegno □ Pagatoamezzovaglia lnlP<:l:m> P <:nPrlirò,:, fino,:, rl'nmnrci o,fr,inni "'' \/i., r..,11 .. ,in A ')/'11 ')A u;1,.,nn tnl /'\')ÌCCQ/'\Q'l1
Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lerner, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. 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Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393 .. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo IIl/70% Numero 58 - Lire 8.000 Abbonamenti Annuale: ITALIA: L. 75.000 a mezzo assegno bancario o c/c. postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000 Imanoscrilli non vengono restituiti. Si rispondea discrezione della redazione. Si pubblicano poesie solo su richiesta. Dei testi di cui non siamo stati ingrado di rintracciare gli aventi diriuo, ci dichiariamo pronti a ouemperare agli obblighi relativi. UNEDA'OMBRA anno IX marzo/991 numero 58 Alla fine di una guerra 4 5 Joaquìn Sokolowicz Appunti sul dopoguerra Marino Sinibaldi Il fronte Ìnterno. 7 9 11 15 22 26 16 21 Filippo Gentiloni Oreste Pivetta Luca Zevi Stefano Benni Don Primo Mazzolari Ada Gobetti Piergiorgio Giacchè Piergiorgio Bellocchio CONFRONTI 31 Pino Blasone 33 Domenico Scarpa 36 Giorgio Manganelli 38 Michele Ranchetti · 41 Martina Vergani Come nasce una cultura di guerra I cattolici e la pace Il Golfo e i media Appunti pessimistici sul Vicino Oriente Uno spiraglio di pace da Tu non uccidere con una presentazione di Alfonso Botti e una lettera inedita di don Mi/ani Quando non si deve obbedire con una nota di Pietro Poli(o su Ada Gobetti e Aldo Capitini P.D.S.: come ri-nasce un partito 1?conomia italiana: qualche previsione Curdi. La poesia di una minoranza a rischio Romanzo famigliare. Il libro di Garboli su Pascoli Lettera in morte _delfratello con una nota di Mario Barenghi Un ricordo di Claudio Napoleoni Visita a Mahfuz e una fiaba "militare" di Juan Benet (a p. 30), R. Duranti sul romànzo di B. A. Mason sul dopoVietnam (a p. 32). Gli autori di questo numero (a p. 93) POESIA 65 Tomas Transtrom_er,·Gunnar Harding, Anders Olsson, Anne-Marie Berglund, Kristina Lugn 47 Ghassan Kanafani 62 Stig Dagerman 43 57 74 87 SAGGI Ernest Gellner Per Olov Enquist Christina Stead Peter Bichsel Patrick Bateson Br~no D'Udine INCONTRI· ------ 49 Noam Chomsky 77 Nelson Algren Cinque poeti svedesi a cura di Fulvio Ferrari Sòlo dieci metri Ho remato per un Lord Punto di vista con una nota di Federico Varese Svezia: l'arte di volare all'indietro con dignità L'oceano del racconto La stampa, una libertà fondamentale Cooperazione Aggressività e cooperazione. Sulle orme di Kropòtkin Est e Ovest, guerra e pace . a cura di Paolo Detragiache e Andrea Moro con una nota di A. Moro Innocenza, denaro, fallimento . a cura {ii H. E. F. Donohue con un Ritratto di Algren di T. Joannucci La copertina di questo numero è di Guido Pigni Questa rivista è stampata su carta riciclata.
· IL CONTESTO Alla· fine di Appunti.sul dopoguerra _Joaquìn Sokolowicz Grandi manovre politiche internazionali per organizzare il dopoguerra. Le hanno avviate gli americani prima ancora di cominciare i bombardam!;:nti,altre contrapposte sono scattate da parte sovietica quando erano ormai in pieno sviluppo l'offensiva alleata e le risposte belliche irachene basate su criteri di guerriglia con l'uso di armi sofisticate. Gli americani puntano a un Medio Oriente sotto la loro egemonia e senza più scosse; i sovietici, indeboliti, prendono contromisure per impedire tale egemonia sull 'interaregione. È dunque in gioco il futuro della "distensione" mondiale anche per il rafforzamento che all'interno dell'Unione Sovietica possono trarre i settori antigorbacioviani dalle reazioni, soprattutto dei militari, contro l'espansione politièo-strategica degli Stati Uniti su un'area così importante. (Ammesso che i rapporti d'intesa tra Washington e Mosca non fossero già compromessi dai tentativi di quest'ultima di fermare la guerra a metà, forse anche tendenti a ostacolare i piani della prima per dopo il previsto successo bellico.) Nei disegni prefigurati dagli americanj e che allamiano i sovietici, si cerca di inserire quei paesi - dal ruolo ancora imprecisato - che a livello regionale sono, vogliono diventare o sperano di tornare a essere potenze: Israele, Siria, Iran. È nato con la guerra un asse interarabo Egitto-Siria-Arabia Saudita oggi interlocutore privilegiato degli Stati Uniti. Non è detto che il regime siriano, che da tanto tempo progetta la sua consacrazione come maggiore protagonista del mondo arabomediorientale, resti molto a lungo sulla sua attuale posizione. Siccome è però rimasto senza la protezione sovietica, determinante per un ventennio, e ha bisogno più di prima dei soldi che gli versa la monarchia saudita, sfrutta i benefici dell'avvicinamento a Washington nell'attuale circostanza; in ogni caso oggi è scopo prioritario del capo siriano Afez Assad, la distruzione del regime iracheno di Saddam Hussein, suo nemico da sempre. La Siria è · temibile per l'arsenale di cui dispone, anche se considerato dagli esperti inferiore a quello dell'Irak; stando a notizie apparse su qualche pubblicazione attendibile, in questi ultimi· mesi Assad avrebbe ricevuto da ambienti militari sovietici l'offerta di una ripresa delle forniture belliche sia pure limitate agli ultimi modelli di certi armamenti. I paesi arabi partecipanti all'alleanza anti-iraehena diretta dagli Stati Uniti, si preparano, guidati dall'Arabia Saudita e l'Egitto, a una nuova era di pace che mediante meccanismi di difesa reciproca, intese per una distribuzione allargata al gruppo delle grand~ricchezDisegno di Andrea Rauch. 4 una guerra ze ricevute dal petrolio e assistenza finanziaria a paesi musulmani non arabi vicini possano scongiurare in futuro il pericolo della ricomparsa di personaggi tipo Saddam e bloccare l'espansione dei movimenti popolari che, oltre a opporsi ai propri regimi, spingono perché siano scatenate guerre dei musulmani contro gli "infedeli", degli arabi contro gli imperialisti, _deipopoli poveri contro i paesi ricchi. Alla prima riunione congiunta dei governi di questi paesi, al Cairo, il Marocco ha però preferito non partecipare: avrebbero potuto insorgere i gruppi fondamentalisti in crescita tra la sua popolazione. Per le stesse ragioni che suggeriscono ai governi arabi filoamericani di progettare modelli di intercollaborazione per quando la guerra sarà finita c'è, tra gli analisti politici, chi per i propri paesi prevede l'avvio di processi di democratizzazione. Se così sarà, non potrebbe trattarsi che di processi molto lunghi: i moti di protesta popolare organizzati da settori di varia matrice attorno al fenomeno del fondamentalismo islamico dovrebbero anzi provocare ondate di forte repressione e quindi il rinvio delle eventuali aperture. , L'Iran (musulmano non arabo) si riprende dai disastri della lunga guerra con gli iracheni e, attraverso l'abilità politica del pragmatico presidente Rafsanjani, che almeno finora è riuscito a contenere l'influenza dei settori del regime aggrappati al fanatismo integralista dello scomparso Khomeini, si accinge a ricostruire le strutture economiche e militari che prima dell'irruzione dei fondamentalisti al potere gli davano forza contrattuale nell'ambito regionale. Oggi si lascia coccolare da Mosca e non disdegna i corteggiamenti di Washington. Gli americani prevedono l'istituzione in Medio Oriente di diverse zone demilitarizzate. Non sarà facile raggiungere questo scopo, salvo a spese di un Irak senza voce in capitolo dopo una disfatta. Agli israeliani hanno proposto, anche per rafforzare i propri rapporti di neonata collaborazione con la Siria, di lasciare il Golan (territorio ex siriano da essi annesso) al controllo di una forza internazionale. Una risposta negativa è venuta presto dal primo ministro Shamir; dalle alture del Golan, che sovrastano il Nord-Est di Israele, un tempo i soldati siriani sparavano spesso verso l'altra parte di quella che era allora la frontiera. Il rifiuto potrebbe forse rovesciarsi un giorno, se i due vicini-nemici firmassero un trattato di pace, ma questa eventualità appare al momento improbabile. Gli Stati Uniti vogliono risolvere una volta pe,rtutte il problema palestinese, fonte e pretesto di tanti conflitti mediorientali, anche per assicurarsi l'amicizia dei paesi arabi. Gli israeliani subiranno forti pressioni da Washington, da dove già il Dipartimento di stato ha tirato fuori una formula nuova per neutralizzare la resistenza del governo ultranazionalista e di estrema destra al potere aGerusalemme, una formula che assume proprio le proposte fatte da questo governo con il proposito contrario, verosimilmente, di rinviare indefinitamente l'abbandono dei territori occupati. Gli americani hanno infatti prospettato la ricerca di un accordo attraverso negoziati fra Israele e i paesi arabi, con la partecipazione di "palestinesi" non meglio identificati; come dire che Shamir può anche realizzare il suo piano che prevede la
convocazione dell'elettorato di quei territori per dare vita a una rappresentanza palestinese locale che tratti con gli occupanti, purché alle trattative sia dato l'avvio. È da presumere che il governo Usa abbia colto segni di disponibilità dei regimi arabi a sedersi allo stesso tavolo con i rappresentanti dello stato ebraico - e sarebbe una svolta storica-, a meno che si tratti soltanto di un'idea lanciata anche allo scopo di saggiare le loro reazioni. L'Olp sembra fuori gioco. Yasser Arafat sperava di scongiurare la minaccia della guerra con i suoi tentativi di mediazione durante gli oltre cinque mesi che l'hanno preceduta; il successo gli avrebbe dato l'aureola dell'uomo in grado di salvare la pace, a vantaggio della lottà nazionale palestinese. Ha invece fallito, dopo che si era astenuto dall'opporre resistenza al dilagare dei sentimenti filoiracheni della base e che i raggruppamenti estremisti del movimento _sierano fin dal primo momento messi al servizio di Baghdad. È isolato, senza più i soldi dell'Arabia Saudita e del Kuwait che davano forza determinante alla sua conduzione, inviso alla maggioranza dei governi arabi, sprecata buona parte della fiducia che aveva riscosso in campo internazionale. Tra _lepopolazioni palestinesi, soprattutto nei territori occupati da Israele, gli uomini del gruppo arafatiano cercano di recuperare il ruolo ora compromesso. Tra gli israeliani i pacifisti che vedevano in Arafat l'interlocutore s·ono incerti. Sarà una pace non facile, in Medio Oriente. Ma sempre meglio della guerra, è chiaro. Il fronte interno. Come nasce una cultura 'di guerra Marino Sinibaldi Cattive notizie dal fronte, mentre scrivo. In meno di un mese, la guerra: del Golfo .ha già rivelato di essere tutt'altra cosa da quella che annunciavano gli ipocriti uomini politici e i compiacenti mass media occidentali. La favola dell '"operazione chirurgica" si è rapidamente dissolta per lasciare spazio alla ferocia della realtà. I pacifisti avranno tanti difetti, ma finora si sono avverate le loro più impietose previsioni. Soprattutto questa: lungi dall'evitare il contagio del radicalismo islamico, la guerra dei "ventisei contro uno" ha glorificato Saddam, ormai, comunque vada, eroe per milioni di disperati dal Maghreb ali 'Estremo Oriente. E, comunque vada, il problema di un fondamentalismo estraneo non solo a tutte le nostre tradizioni, ma anche a tutti i nostri paradigmi, modelli, caQali di comunicazione, comincia da queste settimane ad apparire come l'incognita decisiva della convivenza internazionale, in una fine secolo che immaginavamo radiosa e pacificata. Ma di questo si è scritto tanto e tanto purtroppo si scriverà ancora, anche su "Linea d'ombra". Ma cattive notizie dal fronte interno, soprattutto. Gli effetti della guerra sugli italiani sono già evidenti e saranno sempre più devastanti. Sperando che la guerra finisca presto (e anzi augurandosi che sia già terminata quando queste pagine saranno stampate), bisognerà tenerli d'occhio, quegli effetti: per combatterli, naturalmente, per evitare che anche la pace si militarizzi, come è stato scritto. Ma intanto per capirli; perché nei mutamenti della mentalità collettiva degli italiani di fronte alla guerra si specchierà e si accelererà la trasformazione in corso del carattere nazionale. In tempi di guerra, cambiamenti e oscillazioni assumono un ritmo veloce, e forse la registrazione che tenterò di abbozzare in IL CONTESTO queste righe apparirà già superata a chi le leggerà. Ma quella trasformazione va seguita giorno per giorno e bisogna provare a capirla in ogni suo passaggio. A partire dai segnali ini2;iali,nei giorni della scadenza dell 'ultimatum. Quell'attesa ansiosa e-angosciata che si affacciava nei volti e le parole di tanta gente, dentro e fuori le veglie, la manifestazioni, le discussioni, è stato il segno di qualcosa che resiste, di una sensibilità minoritaria ma diffusa che, nei passaggi cruciali (e crudeli), nelle precipitazioni dello "stato delle cose", dissente. È una resistenza fragile per le sue interne ambiguità e insufficienze e perché è circondata,-quasi assediata, da comportamenti e reazioni diverse. Come, in quegli stessi giorni, il fenomeno degli accaparramenti, quella folle corsa alle merci che non ha avuto eguali nel mondo, neanche nella prima linea del conf1itto. Sarebbe facile liquidare il consumismo sgomento e terrorista di quei comportamenti. Sarebbe facile dividere in due gli italiani, di qua i sensibili di là gli accaparratori. Tutto è stato invece più equivoco e confuso (a parte certi comportamenti estremi, esemplari nella loro nitidezza "sociologica": prendete i negozianti, veri eroi del nostro tempo, degni eredi di una Italia bottegaia e meschina che ha attraversato, producendole o adattandovisi, tutte le porcherie della nostra storia; i negozianti, usciti dagli anni Ottanta da trionfatori: straricchi, premiati dal fisco, gratificati dall'ascesa sociale del loro valore-guida, il denaro, blanditi e ambiti dai due grandi mercati del decennio, quello pubblicitario e quello finanziario. In queste settimane, aumentando arbitrariamente e impunemente i prezzi, hanno mostrato che ci sono ancora italiani disposti a tutto: anche a prendere per il collo, eventualmente, un paese affamato). Ma a parte questi casi appunto estremi, tutto è convissuto con tutto: il coinvolgimento con l'indifferenza, il panico con il senso di responsabilità, la compassione con il cinismo, l'obiettività con le mistificazioni (e una con l'altra, specularmente, le opposte falsificazioni). L'Italia sull'orlo della. guerra ha lasciato scorgere un denso grumo di sentimenti, insieme esibiti e inespressi. L'informazione, in gran parte inefficace a dire, a spiegare il conflitto che si preparava, è stata clamorosamente incapace di raccogliere quello che succedeva, le parole e i sentimenti che si sono mossi e mescolati in quei giorni. Poi la guerra è scoppiata, e come su un ripido piano inclinato quella sensibilità ambivalente è rotolata via,. sostituita da sentimenti meno "aperti", anzi sempre più netti e solidi. Del resto proprio per la sua natura la guerra mette in moto sentimenti Disegno di Alton !Copyright QÙipos, do "Ponoromo") i.,,AGVE-RRAtvOl\l E. G,1US1A O fNblUS'iA·. 1:,' UTI L.E.. 5
IL CONTESTO particolari (possiamo chiamarli "di destra", per cap_irci?).L'eccezione della seconda guerra mondiale, per la sua apparente "giustezza" ideologioa e con il suo esito resistenziale, ha prodotto forse un inganno nel nostro immaginario: alle guerre non si accompagna praticamente mai quella tensione al rinnovamento cjalleradici, alla trasformazione, alla rifondazione e apertura di sé e del mondo che un po' sbrigativamente siamo soliti associare alla primavera del '45. Una costante della guerra è invece di produrre irrigidimenti drastici, chiusure demonizzanti, un generale processo di desolidarizzazione. Anche all'interno dell'area politica e sociale che ci interessa: se dopo lo schema "destra-sinistra" se ne può usare un altro che ritenevamo superato, la guerra divide gli amici e unisce i nemici. - . Su quel piano e in quell'area, particolarmente clamorosa (e dolorosa) mi è parsa l'incapacità di una cultura laica, radicale e liberalsocialista di cogliere il nodo della guerra e di.comprendere la specificità e lo spessbre del pacifismo. Manifestando così pienamente i limiti di quella cultura e delle sue espressioni politiche: una strana evasività o insensibilità etica e, sul piano più strettamente politico, una autentica idolatria per i valori e le potenze occidentali. Ma in generale, la vicenda del cosiddetto "interventismo di sinistra" è la conferma più evidente del funzionamento ferreo dei meccanismi belliço-culturali cui accennavo, anche al di là dell'incredibile c.oincidenza delle argomentazioni della sinistra interventista di oggi con quella dei democratici del '15 (il,nuovo ordine mondiale che nascerebbe dalla gÙerra fu l'illusione di Salvemini come lo è ora di Vittorio Foa; e bisogna augurare al secondo di non doverne pagare le conseguenze, come purtroppo accadde al primo). · In guerra, tutto funziona a favore della guerra: le illusioni più generose e gli interessi più spudorati, gli errori in buona fede e le imposture più volgari, le peggiori tensioni e le migliori intenzioni. Appena smentita, ogni motivazione a favore della guerra viene immediatamente sostituita da un'altra. Gli obiettivi cambiano continuamente. La soglia di sopportazione generale si alza con progressione geometrica. Ogni ora che passa aumenta la tolleran- ·z~ verso la guerra (e sale, invece, l'intolleranza verso chi vi si oppone). Questi tratti di una legge generale non hanno mancato in questi giorni di presentarsi con implacabile puntualità. Ma fin qui siamo in qualche modo alla superficie, dove le trasformazioni sono evidenti ed espresse. Quello che c'è sotto è il senso comune, coi suoi modi di subire e reagire alla guerra. Cosa accade dÙnque, tra gli italiani? Innanzitutto, se prendiamo come riferimento positivo quella diffusa ma fragile resistenza, accade di abbassare in qualche modo la guardia. Cos'altro significa il fatto che nonostante la guerra abbia già mostrato i suoi errori e i suoi orrori la percentuale degli italiani favorevoli alla guerra stia crescendo a vista d'occhio (nei giorni in cui scrivo ha per la prima volta superato la soglia del 50%)? Anche qui si conferma l'efficienza di un tipico meccanismo bellico: la guerra comunque convince (almeno finché si vince o sembra si vinca). Il linguaggio della guerra procede con una capacità di persuasione che nessun altro discorso ha. Ma accanto a questo dato generale, c'è un dato particolare che ha a che fare con l'incertezza degli italiani, con quel!' instabilità che provoca l'impressionante volubilità dei son- . daggi, la rapidità del mutamento d'opinione (da una maggioranza pacifista a una maggioranza interventista). Questo dato è il segnale di un vuoto. C'è al centro del!' atteggiamento iniziale nei confronti della guerra esattamente quel senso di vuoto che emergeva dal più recente rapporto del Censis. · È uri vuoto di val~ri determinato dalla crisi delle idee-guida degli anni Ottanta che hanno ormai esaurito la loro "spinta propulsiva" (e sia chiaro: è perché ha_nnovinto che hanno smarrito 6 quella spinta; è un esaurimento, appunto, non un fallimento). È un vuoto di prospettive che fa seguito al tramonto dei grandi modelli di società ma anche alla crisi precoce dei sistemi "deboli" che avrebbero dovuto rimpiazzarli. È un vuoto politico per la clamorosa e ormai assodata mancanza di alternative sociali e istituzionali. È un vuoto d1interpretazione, per la caduta irreversibile dei vecchi modelli di spiegazione della società ma anche per la rapida svalutazione di quelli fondati su tendenze e valori emersi nello scorso decennio. È questo generale grande vuoto a produrre negli italiani quella posizione di attesa individuata dal Censis. Ma il vuoto non può durare a lungo. E in questi giorni, in queste settimane sta forse accadend_o qualcosa che può riempire quel vuoto. Sul fronte interno si sviluppano meccanismi e sentimenti potenzialmente in grado di colmare l'assenza di valori e di modelli. Ci sono i tratti di una cultura in guerra, di una cultura di guerra i cui meccanismi possono dilagare, con la loro ferrea "funzionalità", anche qui nelle retrovie. Qualche valore, o almeno qualche parola-chiave, si intravede già. La semplificazione brutale che ci ha trascinato nel conflitto, per esempio; la riduzione della complessità dei problemi, l'irrisione verso la prudenza necessaria ad affrontarli, l'insofferenza per le strategie "lente", razionali (e nonviolente: ma questo sarebbe ancora un altro discorso). O l'assuefazione graduale che ci rende via via meno insopportabile la guerra, che evita ogni effetto sorpresa, ogni shock, ogni trauma (dopo quello, inevitabile, iniziale), che neutralizza ogni possibile destabilizzazione, ogni crisi. Così quella in guerra si avvia a diventare un 'identità_solida e stabile, lontana dai vuoti e dalle incertezze che stavano caratterizzando gli italiani all'inizio degli anni Novanta. (A conferma del contributo decisivo ma anche subalterno dei· media, si°può accennare che il loro ruolo nella guerra ha mancato completamente ogni intervento informativo e si è ridotto precisa-· mente a questo: produrre semplificazione, favorire assuefazione). Per azzardare una registrazione immediata delle trasformazioni in corso, la situazione - lo stato men~ale·del paese - mi • s_embraquesta. L'elemento di novità è forte. Va ricordato però che tendenze in questa direzione erano già evidenti nella vita sociale e politica italiana degli ultimi anni (per esempio nella vicenda legislativa sulla droga, modello aureo di schematizzazione e governo drastico della contraddizione). Ma da questo punto di vista non si può trascurare quanto sia formidabile la capacità di un'esperienza estrema e collettiva come la guerra di dare impulso e popolarità a un sistema di gestione delle emergenze sociali, politiche, civili, fondato sulla brutale semplificazione dei problemi e delle soluzioni. Un sistema che l'affermazione della sequenza violazione-ultimatum-guerra (e pof "operazione di polizia" -guerra limitata-guerra totale) non può che rafforzare. Va aggiunto che questa nuova, embrionale cultura le sue prime prove le sta già facendo. Per esempio ha già individuato i gruppi sociali estranei, le forze mentali nemiche che sta combattendo con le sue armi. Basta considerare come, dopo anni di discussioni, tentennamenti, esitazioni, si è "risolto" a Roma il dramma dell~ Pantanella (ossia il problema dell'immigrazione, clandestina e no). L'incredibile gesto autoritario e "decisionista" dello sgombero violento senza alcuna valida misura alternativa è precisamente il modello di soluzione cui non può che alludere una cultura di guerra: E se forse quella scelta raccoglie anche simbolicamente un forte desiderio di atti radicali, senza titubanze, compromessi, debolezze, un provvedimento del genere, nella · forma più ancora che nella sostanza, sarebbe stato improponibile fino a poche settimane fa perché impensabile al di fuori di una mobihtazione e una cultura di guerra (con la conseguente sempli-
ficazione del problema e indifferenza per i costi di ogni soluzione radicale). Ma è una risposta che pare ritagliata sulle aspettative più profonde e oscure_di un paese stanco di discussioni, lentezze, prudenze sui problemi ritenuti fondamentali per la sua convivenza. E d'altra parte per osservare una cultura di guerra all'azione basta notare il modo con cui - in Italia e quasi solo in Italia - sono stati trattati i pacifisti. L'incomprensione e il dissenso.verso · le loro ragioni sono stati completamente sostituiti dalla falsificazione degli argomenti e dalla demonizzazione delle posiziùni. Ma su questo altri hanno già scritto, in modo più ampio e documentato. Sono solo un paio di esempi quasi casuali ma significativi: mostrano come la nascente cultura di guerra ha identificato subito nel pluralismo, razziale o culturale, il suo nemico principale. . E allora queste settimane, i sentimenti e le reazioni che hanno messo in campo, i comportamenti e le reazioni che stanno suscitando, presentano, oltre a quei tratti di rottura anche radicale, un fondamentale motivo di continuità con un elemento decisivo del carattere nazionale. La semplificazione e la rapida disponibilità ali' assuefazione e ali' indifferenza, rianimano l'insofferenza tipicamente italiana verso differenze e dissidenze radicali, siano esse etniche, linguistiche, sessuali, politiche o religiose. Un paese incerto e svuotato può trovare nel la guerra l 'occasione per reinventare e ricompattare i propri valori, a cominciare dall'intolleranza naziona)e verso gli altri dentro o fuori le nostre grandi o piccole patrie. Una tradizione di guerra e di pace. Ma sicuramente peggiore, molto peggiore, in guerra; e nella "pace" che le seguirà. Foto di Dino Frocchia. I cattolici e la pace Filippo Gentiloni IL CONTESTO Che il movimento cattolico per la pace sia una delle poche novità positive nel tragico panorama di questi mesi è ormai noto. Se ne è detto e scritto a sufficienza, con accenti forse anche esagerati, sia sulla diffusione che sulle caratteristiche. A questo punto, a 20 giorni dall'inizio della guerra del Golfo, non è il caso né di ripetere affermazioni scontate né di tirare le somme: come la guerra, così anche il movimento per la pace è in pieno sviluppo. Si può soltanto proporre qualche-riflessione provvisoria e rivedibile, soprattutto parziale. 1. Sulla novità del cosiddett9 "pacifismo" cattolico (le virgolette ricordano che i molti cattolici impegnati per la pace e contro la guerra dèl Golfo non vogliono "ismi" di qualsiasi tipo; se poi ci riescano, è in discussione). La prima novità è data dalla diffusione, dall'alto in basso e viceversa. Con accenti, ovviamente, diversificati, si sono trovati uniti contro la guerra del Golfo il papa, i vescovi, quasi tutte le grandi associazioni (non soltanto Pax Christi) e i movimenti più disparati. Contrariamente al solito, abbiano visto "Famiglia cristiana" accant.o a "Il Sabato", Padre Balducci vicino a Formigoni. Alleanze nuove, "trasversélli", come si suol dire.
IL CONTESTO Interessanti e nuove le prese di posizione di molte suore, sia come singole sia anche nei loro organismi di coordinamento, nazionali e internazionali: segno evidente di una diffusa coscientizzazione non soltanto a favore della p~ce nel mondo, ma contro la partecipazione italiana alla guerra. Posizioni diverse, dunque (possibilità odierna di una guerra giusta; ritiro o meno delle forze armate dal Golfo; obiezione di coscienza o diserzione; quale rapporto con le forze politiche, _ecc.) ma unite da alcuni elementi tutt'altro che insignificanti: la convinzione che la guerra - questa guerra, per lo meno - produce più disastri che altro, che il gioco (la guerra) non vale la candela (il ristabilimento del diritto internazionale violato); comune in tutti la presa di distanza più o meno esplicita dal governo italiano a guida Dc. Non è poco. Già nel passato settori importanti del cattolicesimo italiano avevano preso le distanze da qualche decisione Dc (si pensi al cartello "Educare e non punire" contro la legge JervolinoVassalli sulla droga) ma mai la opposizione era stata altrettanto diffusa e profonda. Si fa perfino fatica a trovare qualche autorevole espressione cattolica favorevole alle posizioni governative (fra le eccezioni, don Gianni Baget Bozzo). 2. Quali i motivi di tale diffusione, le radici del florido albero del pacifismo cattolico? Credo che si tratti di radici interne allo stesso cattolicesimo e che sia fuorviante rifarsi al desiderio di alleanze politiche nuove. Non si tratta di un "cattopacifismo" - secondo l'accusa di molti "laici" dell'area di governo - che avrebbe gli stessi ascendenti del cattocomunismo di un tempo e ne rinnoverebbe le brevi glorie. Fra le radici bisogna ricordare l'attenzione al terzo mondo che ha caratterizzato; ~ fortemente, i recenti anni del cattolicesimo italiano (impegni, gruppi, stampa ...) nonché l'attenzione a tutti i tipi di emarginati (compresi gli immigrati). Accanto a Pax Christi, dunque, la Charitas, i suoi volontari, i suoi obiettori di coscienza. Soprattutto, fra le radici del nuovo pacifismo, va annoverata la nuova posizione sulla guerra, maturata intorno al concilio Vaticano li: la dottrina della guerra giusta è finita. La sua lunga storia - che avrebbe potuto anche essere molto positiva se la si fosse applicata accuratamente-è tramontata con Hiroshima, il concilio, don Milani, il Vietnam, pernominare soltanto alcuni punti fermi del suo funerale. Un tramonto la cui portata soltanto oggi, di fronte alla guerra d~I Golfo, siamo in grado di misurare. Si noti bene che si tratta · di un tramonto non ideologico. È venuta meno non la dottrina in sé, ma uno dei capisaldi su cui si reggeva, una delle condizioni fondamentali per la "giustizia" della guerra, la proporzione, cioè, fra i mezzi - le distruzioni - e il fine, cioè il presunto ristabilimento di un diritto. Ecco perché oggi i cattolici contrari alla guerra non negano il diritto del Kuwait né quello dell 'Onu; ecco perché gli argomenti che ricorrono alla validità di tale diritto non li convincono. Non quel diritto è in questione, ma la proporzione: meglio, la possibilità che questa guerra, con le sue caratteristiche attuali e facilmente prevedibili, ristabilisca quel diritto. Non tanto Gandhi, quindi, tanto meno un pacifismo di tipo assoluto: a guidare l'attuale pacifismo cattolico troviamo piuttosto don Milani e il Vaticano II, con la proclamazione della fine di quella dottrina della guerra giusta sulla cui base per secoli erano state benedette armi e bandiere. 8 3. Non che con questo tramonto tutto sia chiarito, tutt'altro. Il nuovo pacifismo si trova a dover affrontare e risolvere nuove e gravi antinomie, per le quali sarebbe necessario in po' di tempo di dibattito e di maturazione, tempo che il dramma della guerra, invece, non concede. Mi limiterei a indicare - non certo a risolvere - due fra le antinomie che mi sembrano più interessanti e cariche di conseguenze pratiche. La prima antinomia si potrebbe situare fra i poli dell'assoluto e del relativo, ovvero, dell'utopia e della politica. Le due coppie non si identificano, ma si apparentano strettamente. La fine della dottrina cattolica della guerra giusta si deve applicare a tutte le guerre di oggi e di domani o soltanto a questa guerra che ci troviamo di fronte? La prim_aposizione - ogni guerra è ormai ingiusta- è più chiara e coerente, ma si espone ad alcune obiezioni (quelle avanzate, per esempio, da Bobbio) come a quella sulla nostra "giusta" guerra di liberazione. Né sembra corretto identificare il pacifismo "assoluto" con la nonviolenza, che esige un altro discorso. Analogamente: se il pacifismo si dirige verso l'assoluto, rischia di ridursi a una forma, per quanto nobile, di predicazione, a una utopia.· Se il pacifismo cattolico, invece, affrònta i problemi concreti di una situazione come l'attuale, indicando Foto di Luigi Boldelli (Agenzia "Contrasto)
IL CONTESTO Il Golfo e i media soluzioni e rimedi, rischia di appiattirsi sulla politica, i suoi schieramenti, quindi i suoi partiti. In questa prima antinomia si sta dibattendo l'attuale impegno cattolico per la pace. Le autorità ecclesiastiche (più i vescovi che il papa, in questo caso) cercano di spostare il discorso su un piano di predicazione "utopica", un piano che lasci ai vari Andreotti di i:umo la possibilità di uno spazio fra teoria e prassi, fra utopia e politica. Molti dei nostri pacifisti, al contrario, temono fughe della colomba verso un cielo nobile ma inutile e preferiscono rischiare l'accusa di politicismo - o, di volta in volta, di cattocomunismo - restando immersi nel crocevia della realtà storica. .., Oreste Pivetta Interessanti, ma anche incerti, i tentativi di superamento dell'antinomia, senza negarne né l'uno né l'altro polo. Cito un solo esempio fra mille, l'appello promosso da un teologo ben noto, don Giuseppe Mattai, docente di teologia morale nella Facoltà Teologica dell'Italia meridionale. A una dura ed esplicita riprovazione della guerra nel Golfo e della politica del nos_trogoverno, seguono alcune proposte operative, che sintetizzo: promuovere l'obiezione·di coscienza in caso di chiamata obbligatoria alla guerra; portare segni di pace sull'abito; i parroci non suonino le campane a festa per tutta la durata del conflitto; stimolare prese di posizione per la fine delle ostilità, la restituzione dell'indipendenza al Kuwait e una conferenza . generale di pace; obiezione anche alle spese militari per finanziare la difesa popolare nonviolenta; impegnarsi a fondo per la giustizia, la pace, la salvaguardia del creato (cfr. "Adista", 1991, 10). 4. Interessante anche un 'altra antinomia nella quale il movimento cattolico - e non soltanto - per la pace si trova stretto, quella fra obiezione di coscienza e diserzione. Una antinomja che non si affacciava quando i cattolici si limitavano a pregare per la pace e a invocarla. Quali i limiti, nella nuova impostazione che cerca strumenti efficaci, fra obiezione di coscienza e diserzione? I vescovi stessi, nel loro comunicato ufficiale, hanno ammesso la liceità della prima (attribuendole la stessa dignità etica del servizio militare), ma hanno condannato la seconda. Si noti che non si tratta soltanto di una questione giuridica (la diserzione è condannata dai codici), ma anche di evitare ai cattolici la antica accusa di scarso senso dello stato, di dissociazione dalla comunità nazionale in pericolo, ecc. Al dilemma sono state date alcune risposte, forse non del tutto convincenti. Alcuni distinguono i tempi: l'obiezione - eticamente lecita se la tua coscienza rifiuta le armi-può essere lecita "prima" della chiamata al servizio militare; "dopo" sarebbe illecita diserzione. Ma, rispondono altri, se a un militare viene chiesto un servizio che in coscienza considera illecito? Deve sempre obbedire? Altri distinguono i ruoli: la decisione spetta alla singola coscienza; i cattolici - vescovi, preti ecc. - devono però insegnare che "se" la coscienza considera illecito un gesto bisogna seguirla, costi quello che costi. Troppo comodo, rispondono altri: non è giusto che chi sta seduto in disparte promuova nei diretti interessati comportamenti eroici e pericolosi. Ma - si può sussumere - ricordare una dottrina etica equivale a stimolare? Il dibattito potrebbe - dovrà- proseguire, ben al di là dei termini, speriamo, rapidi della attuale tragedia del Golfo. La guerra è l'occasione più propizia per raccontare bugie senza complessi di colpa. Nel nome della patria, delle sorti militari, del bene comune, della gloria, della bandiera, eccetera eccetera. Durante l'ultimo conflitto la BBC veniva chiamata dai suoi nemici (filonazisti, peraltro) "Bluff and blustercorporation" (Corporation del bluff e della spacconata). L'informazione non era più informazione ed era sempre più propaganda buona o cattiva e allora, cinquant'anni fa, apparve in tutta la sua importanza, capace di trasformare sconfitte in vittorie, disastri in successi. E contro chiunque si fosse azzardato a dire.la verità si sarebbero mobilitate censure,- poliiie, repressioni e si sarebbe inventato: "Taci, il nemico ti ascolta''. L'importanza era legata alla diffusione ormai capillare di un nuovo mezzo di comunicazione, la radio, attraverso il quale più facile era ascoltare tante voci e -avversarie, protagoniste di una formidabile battaglia dell'etere - la nostra Radio Londra, ad esempio, percepita come prova di verità, contro la radio nazionale_irreggimentata nel recitare di trionfi incombenti. Che cosa in realtà stesse accadendo solo i comandi militari forse conoscevano; gli speaker si attenevano alle direttive, come conferma anche il più celebre di essi, George Orwell, nelle radiocronache dedicate alle popolazioni dell'India, per contrastare quelle indiane filotedesche. Orwell annota: "Nei regimi totalitari ci si aspetta che. la gente abbia la memoria corta". Aveva ragione, ma in Ull punto anche torto: nel senso che, totalitari o no, i regimi la pensavano (e continuano a pensarla) allo stesso modo. Vedi il presente della "nostra" guerra, la guerra del G0lfo. Questa volta la prova di guerra l'ha dovuta sostenere la televisione in una dimensione inedita, anche se il battesimo lo aveva già affrontato altrove, nell'ormai lontano Vietnam, con la pretesa da "villaggio globale" che della guerra si dovesse saper tutto. Forse solo una presunzione, perché della guerra autentica si è saputo solo dopo e magari grazie a De Niro o a Kubrick. Ma intanto sui teleschermi americani, sotto le immagini del varietà o della partita di baseball, scorrevano senza sosta i numeri dei morti e le quantità delle bombe rovesciate su Hanoi (come adesso con i risultati di calcio sotto le scene del film domenicale). I corpi straziati e le salme che rientravano in patria riempivano i telegiornali, e si qice abbiano assai influito nella formazione di una coscienza critica e pacifista. Quel che si teme oggi. E infatti, in una guerra di alleati universali contro un solo nemico, in una guerra che ricorda l'ancestrale confronto tra il bene e il male, in una guerra la cui causa si può vantare più giusta di altre volte perché in fondo gli unici a opporvisi sono sparute e marginali minoranze, e dove tutto, sotto la bandiera dell 'Onu e del diritto internazionale, appare più giustificaio di prima, la promessa di una infomiazione globale è rimasta un mito, come una delle tante bandiere di modernità e di superiorità di quella parte del mondo che deve vincere la sua "guerra santa" (che, come ci ha spiegato l'islamista, non significa altro che guerra giusta). Orwell alla radio recitava lunghi elenchi di bombe scaricate e di navigli nemici affondati (pure la sua in Oriente era soprattutto una guerra aereonavale ), ma sotto rigido contro Iloe autocontrollo. La televisione si è ridotta al rango di radio e recita cifre, tonnellate di esplosivi sotto la sembianza di "operazione chirurgica", con un corollario petulante di commenti casalinghi, lasciando la guerra altrove nel suo carico di dolore ma anche di responsabilità. 9
IL CONTESTO Non è colpa del mezzo, che appare ridicolo e impotente. È soprattutto colpa della guerra e sarebbe anche questa, nelle falsità che alleva, una buona ragione per non farla. Ma forse una picèola colpa ce l'ha anche il "sistema", diciamo il "sistema" di casa nostra, radiotelevisivo e cartaceo. Sceso in massa nel Golfo, presidiando ogni porto e ogni capitale (qualcuno si è persino inventato, come è capitato in un quotidiano romano, fronti di guerra inesistenti pur di strappare un posto da inviato) 'è rimasto a guardare ... E a leggere le veline. Veline di tutte le specie e di tutte le qualità: quelle dei ministeri, qu~lle dei comandi miiitari, quelle dei generali e dei colonnelli, persino quelle dei colleghi (come ci ha diffusamente raccontato un inviato di Repubblica a proposito del pool che dopo la visita guidata alle portaaerei stila comunicati stampa ad uso dei colleghi rimasti a presidiare gli alberghi). I nostri inviati spiegano ripetutamente che altro non si può fare. E soffrono la loro lontananza dal fronte e dalle notizie, al punto da ricreare l'ambiente per i téleutenti indossando maschere antigas in camera, senza accorgersi che alle spalle la troupe, comparsa inattesa in video, continua a lavorare come se nulla fosse (come nei film storici anni Cinquanta, quando dietro un elmo o un'alabarda o uno scudo romano, dietro un pretoriano o una monaca di Monza, compariva un interruttore della luce Ticino). . · · L'inviato ha ragione: che altro si può fare se ti negano i visti, se ti impediscono i movimenti, se ti proibiscono persino di parlare con un militare qualsiasi a proposito del rancio, se la guerra è lontana, novemila metri sopra le nostre teste, e quando arriva in basso, aBaghdad o Bassora, è ormai la guerra degli iracheni, degli sconfitti, delle bombe esplose, delle case distrutte. La guerra dei nemici. Ma si potrà pur dire che c'è qualche cosa di rovinosamente ridicolo in quei primi piani immobili, con uno sfondo di uffici, oppure di camionette in transito da film di repertorio, di cieli segnati da missili come fossero fuochi pirotecnici. Sono quadretti ad memoriam: "Io c 'éro. Ho visto i missili, i marines, le navi". Più ché testimoni, protagonisti, di quelli che la storia la fanno davvero, di quelli che il mondo intero (e soprattutto il mondo intero dei posteri) dovrebbe invidiare. ·· Perchè accusarli? Che cosa mai sarebbe loro consentito? Non lo so, marni chiedo se questo interrogativo si debba accettare così, come viene proposto, retorico e basta. Mi chiedo cioè se non ci sia davvero qualche cosa·di divèrso da f.are, se in quell'impotenza non si nasconda il vizio nostro di un giornalismo di potere e di · .monopolio, se la questione insomma non sia ancora una volta "politic,a'', piegata al conformismo d'obbligo della politica, che in questo.caso, salvo poche e sbeffeggiate posizioni, è guerriera e maschia, censoria e un po' fascista e che sposa per opportunismo da pentapartito la vecchia tesi che in tempo di guerra l 'opposizione deve tacere (appunto: "Taci, il nemico ti asc9lta"). · Forse, se per sopravvivere non ci si adeguasse, qualche cosa di diverso si potrebbe dire, solo se non si pretendesse di informare . a tesi, se si volesse tentare di informare davvero, se si capisse che la guerra è tante cose assieme, bombe cannoni politica petrolio, e 10 Due egregi commentatori televisivi: Giuliano Ferrara e Furio Colombo. • non ci si nascondesse dietro il mito di un diritto infranto e di una giustizia riparatrice. Se si partisse da qui cadrebbero certi toni, cadrebbero certi argomenti da "guerra santa", da "invincibile armata", come se si fosse tornati tutti ai terribili e ingenui giochi da ragazzini quando il marine John( o il cowboy Billy) sterminava gli sporchi musi gialli (o i perfidi apaches). Leggere i titoli. Il piglio militaresco è dominantr Davanti al movimento infernale di aerei che solcano i cieli c'è il compiacimento del generale della riserva. Ogni Patriot che va a segno è un goal e reclama urla di gioia. C'è Unamistificazione al fondo, che la televisione accentua: come se la guerra fosse lontana, non ci appartenesse; lo schèrmo a colori segna la distanza e assume il significato di un videogame. - La guerra è bella, diceva Giorgio Bocca. E l'affermazione nella sua sconcezza e paradossalità può sembrare vera, con la complicità di uno schermo che riduce tutto alla semplicità di un film, . ritaglia gli uomini e gli eventi secondo una stereotipia elementare, comprensibile e spettacolare. A questo punto, dovrebbe essere la radio, la "voce", a rivelarci il resto: il brutto, il complicato, il contraddittorio, l'ambiguo. Sarebbe possibile se non scattasse la censura, che non è quella dei comandi militari o di Saddam, ma è quella di "sistema" endogena e metabolizzata secondo i canoni della lottizzazione, che c'entra sempre perché si è sempre lì a nome di qualcuno e questo basta a mettere da parte o ridimensionare qualsiasi mestiere, qualsiasi informazione. Se non c'è la censura con l'autocensura, basta il conformismo, che è un bel patrimonio patrio. La, concorrenza, sembra, si vince così: ripetendo le cose che dice l'altro. L'importante è andare tutti d'accordo su alcuni concetti cardine intorno alla distribuzione dei diritti e dei torti, nel segno dell'equilibrio di regime. o addirittura del silenzio, secondo le direttive Pasquarelli. . Anche quando si fa la cosidetta televisione-verità, che raccoglie i pareri della gente, che piace tanto a Raitre: per esempio ho sentito dire da una signora del ghetto di Roma che è tutta colpa degli arabi e che i palestinesi bisognerebbe ammazzarli tutti,_ma nessuno si è mai sognato di ricordare come sia nato e per quali ragioni lo Stato d'Israele. Parzialità ... Siamo ai tabù, a un discutere di storia senza memoria storica. Può rinascere così, in batteria, come i polli, una
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