Linea d'ombra - anno IX - n. 57 - febbraio 1991

T E A T R O rio quello che poteva sembrare gioco, recita. Così a Tolosa, durante le ultime prove di C 'est mon anniversaire, ho visto Kant or giocare, recitare con il suo doppio fatto carne. Poteva sembrare una semplice riflessione sul!' arte, il riflesso nella cornice del quadro, mentre appare adesso come l'ultimo gioco con tutto ciò che egli avrebbe perduto, la propria ombra, il proprio doppio. In questo spettacolo incompiuto Kantor aveva ridestato il suo doppio prima che i due svanissero insieme. Le ipotesi avanzate sulle ragioni della presenza di Kantor sulla scena del suo teatro sono legione. Ne ho, proposta una anch'io: egli sarebbe l'equivalente di quel personaggio del no, il waki, "l'uomo del!' angolo" che chiama i fantasmi. Continuando a guardarli con occhi spalancati per meglio dilettarsi delle loro danze tristi o macabre. Oggi cessa di essere waki per diventare appunto fantasma, shite? Troverà un waki che lofaccia tornare? E chi potrà essere? Uomo o donna? La Maria il cui nome risuona nella Dolce notte? (Georgés Banu) Teatro della morte e teatro testamentario mi sembrano due nozioni vicine ma non del tutto sinonime. Il teatro testamentario presuppone certamente la coscienza della fine, ma anche quella di un legato, di una proprietà, di cuipoco importa il carattere, che si cerca di definire con precisione e di trasmettere ad altri. Questa discussione cade a proposito, ~ato che proprio oggi ho visto un avvocato per parlare con lui della questione del testamento... È uno specialista. Ma io pensavo in realtà a un testamento artistico, perché è in questi termini che ho capito il suo spettacolo Je ne reviendrai jamais ici in cui si ritrovano immagini di vecchi spettacoli in una specie di ~isiona,ultima, antologica, una visione di "terre" conqui_state: queste immagini sono immagini che le appartengono, e lei sembrava trasmettercele con un gesto testamentario. 'Un gesto selettivo, un gesto che faceva supporre che queste immagini, per lei,fondano e articolano il suo universo. Lei era là, sul palcoscenico, presente, per rivivere il suo passato artistico e trasmetterlo in eredità a noi spettatori. Questa, beninteso, è solo una mia ipotesi, un'ipotesi che/a di Je ne reviendraijamais ici uno dei più espliciti spettacoli testamentari. , . Sì, radunavo i ricordi, ma non come fanno i vecchi. Non volevo trasmettere lo stato psicologico della vecchiaia. In J e ne reviendrais jamais ici, come sempre peraltro, mi sono servito del passato per manipolarlo. Si trattava, prioritariamente: ~el_~io passato artistico, è ovvio, ma non di un passato morto, rrngidito'. immobile: se i;nanipolo i fatti del passato è per creare qualcosa di nuovo. (lo non voglio fare qualcosa di nuovo, di assolutamente nuovo.a ogni spettacolo. Nel mio teatro i personaggi, le azioni sono le stesse che nella commedia dell'arte, ma con questo passato io creo ogni volta una situazione nuova.) Ma quest'universo ormai formato le appartiene, appunto, e pochi registi possono dire altrettanto- e peraltro è proprio a causa di questa "proprietà" che lei oltrepassa lo status di regista per apparire come un artista generatore di universi propri. · · · L'artista che ha creato una visione del teatro vorrebbe ovviamente che essa continui. Ma questo nel teatro è impossibile, perché il teatro cessa di agire con la scomp~sa d~ll' artist~. lo voglio sopperire a questo e vado facendo oggi sforzi enormi per fissare tutto. Kricoteka serve a questo, ma io l'immagin9 non come un morto archivio bensì come un luogo di scambi. E solo così che si può profittare di ciò che possiamo chiamare "l'agire" dell'artista. La Kricoteka può servire di base, una base che le generazioni a venire conosceranno - sapranno in questo rriodo che cosa ho fatto - per poi, a partire da questo, fare con quel lo che io lascio loro quello che gli parrà meglio. Il testamento L' per me interessante solo in quanto si tratti di un testamento vivo. Lei, che ha così tanto lavorato attorno al confronto con la morte, sembra rimpiangerlo quando si tratta per l'appunto di quest'interrogazione sul teatro come pratica testam~nt~ri~ ... No, quello che io rifiuto del testamento è la sua assimliaz10ne alla vecchiaia. Io continuo a sentirmi come un ragazzo. Vivo l'età dei ragazzi. Alla parola testamento bisogna aggiungere la parola amore. Il vero testamento, il solo che io accetti, non è per la posterità, è per l'amore, per dire l'amore. Creare per la posterità è una cosa da imbecilli. Per questo le rispondo che quello che a me interessa è il testamento e l'amore. Le due cose insieme. Ci sono due atteggiamenti nei confronti del testamento, l'atteggiamento nobile, perfino sontuoso di Goethe, e quello di François Villon ... Sono piuttosto dalla parte di Villon. La ragazze, la derisione, il carnevale ... Il mio passato non l'ho mai preso sul serio. No, non mi posso trovare dalla parte di Goethe. Nel prologo di O, douce nuit lei dice di lodare l'immagine più cara, lo spazio più impo,:tante, la casa, ai partecipanti al corso. Sì, ho trovato degli inquilini. E questa non è una situazione testamentaria? Lei vuole assolutamente farmi dire che sono pronto per il testamento ... (ride). Un libro dedicato allo spettacolo O, douce nuit è apparso da poco in Francia per. le edizioni Actes Sud e I' Académie Expérimentale des Théatres. Verrà proposto in edizione italiana da Ubulibri. L'intervista con Kantor, fatta a Tolosa il 12ottobre 1990, apparirà invece in Théatre testamentaire, Altematives théatrales, nel prossimo marzo. 89

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