gia militare come una variabile dipendente. malleabile, docile alle ragioni della politica. In questo non sembra aver appreso le lezioni della storia del XX secolo. Si accontenta di tenere ferma la soglia tra conflitto convenzionale e nucleare. Uno scontro atomico infatti annullerebbe definitivamente i requisiti della proporzionalità della guerra. Ora, se nel conflitto medio-orientale si può escludere una escalation nucleare da sempre temuta (un olocausto nucleare), non si può affatto escludere che qualcuno d(ti contendenti - come gesto disperato di offesa o di difesa-rièorra ad ordigni nucteari "tattici". Avremmo così superato anche la soglia estrema della proporzionalità. Ma dobbiamo attendere proprio quel momento? La guerra chimica, la catastrofe ecologica non hanno già annullato quella soglia? Tiriamo le fila del ragionamento. Questa guerra motivata con una debole legittimità iniziale ha alterato il suo quadro di giudizio di partenza - sia nei termini politici che in quelli della efficacia stessa. L'applicazione ad essa degli indicatori tradizionali della "guerra giusta" appare problematica al punto da pregiudicarne il concetto stesso, che qualcuno vorrebbe liquidare come "relitto storico.". Non si deve arrivare a tanto. Le difficoltà di estendere il concetto di guerra giusta a questo conflitto ci confermano semplicemente che ci siamo disabituati a ragionare sulla guerra e sulla SU<!- "cangiante apparenza" -come diceva il vecchio Clausewitz. Dobbiamo invece tener ferma anche nei suoi riguardi l'istanza della razionalità, cioè la pretesa di controllare i nostri comportamenti alla luce di principi etici. Troppa filosofia per una sporca guerra? Foto di Mormon .. IL CONTESTO Quegliarabi Andrea Berrini Ecco un uomo, nella periferia di Algeri. È un insegnante. Ha quasi cinquant'anni. È seduto in terra, su una stuoia in una stanza quasì senza mobilio un parallelepipedo vuoto: come uno spazio teatrale. Davanti a sé ha un televisore, guarda la partita della domenica sera. La sua casa contiene altri oggetti "ricchi", un frigorifero quasi nuovo, un gntnde apparecc;hio radio. Ma la casa sembra volersi negare a quella ricchezza:· i muri che separano le stanza sono dei tramez;zi di cartone rovinato, la stessa porta di ingresso è di compensato sbrecciato ai lati, non chiude bene, il gabinetto è un cubo di legno separato dalla casa, un buco nero che scarica in una fognatura a cielo aperto, a lato della strada. Se quest'uomo abitasse in Italia potremmo immaginare che sia un terremotato: un terremotato costretto ancora, dopo anni,.a vivere in una baracca. E quella baracca sarebbe una vergogna nazionale. La baracca di Algeri nella quale l'uomo guarda la partita, non è invece considerata una vergogna: è una casa. Una buona casa. Una abitazione tipica della periferia di Algeri, o di Orano, di Annaba. Di quella onnipresente periferia urbana nella quale, oggi, vive ormai metà della popolazione algerina. Alfabetizzata, in possesso di un buon grado di istruzione. E di un sacco di dischi dì Michael J ackson, 7
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