IL CONTESTO Il dibattito sulla "guerra giusta". Troppafilosofia per una sporca guerra? Gian Enrico Rusconi Non so se- verremo fuori in modo convincente per tutti dal dibattito sulla "guerra giusta" applicata al conflitto del Golfo. Personalmente ritengo che se abbandoniamo questo concetto, comunque riformulato perdiamo una bussola per orientarci nei conflitti armati. Ma il concetto di "guerra giusta" non è un tranquillante: né per l'intelligenza né per la buona coscienza. È un concetto a rischio. Come tutti i ragionamenti etici seri. Non e' è dubbio che molti equivoci nascono dalla falsa evidenza dell'aggettivo '"giusta" accostato alla guerra. Un aggettivo comune, normalissimo ma potente, esigente - troppo esigente a fronte delle delimitazioni "tecniche" che invece gli impone la dottrina. Per questa infatti guerra "giusta" vuol dire semplicement~ "legittima" e "proporzionata" nel rapporto tra mezzi e fini, specificatamente guerra "limitata" nello spazio e nel tempo. Sono qualificazioni tutt'altro che-facili da definire, come vedremo, ma sufficienti per creare tensione e incomprensione con il linguaggio corrente. Dopotutto è nella convinzione di fare "una guerra giusta" che da sempre i combattenti entrano in campo e sono disposti persino a morire, da una parte e dall'altra del"fronte. Con questa semplice osservazione siamo già ad una prima aporia: il concetto di "guerra giusta" pretende di essere universalistico, ma di fatto è usato polemicamente da una parte contro l'altra. Nel caso della guerra contro.1 'Irak questa aporia è apparentemente superata, perché l'azione militare risponde ad una risoluzione dell'Onu, il massimo consesso mondiale che presiede aJla legalità internazionale. Sulla straordinarietà di questa iniziativa dell'Onu si è già scritto tutto. Rinuncio qui a chiedermi come mai · soltanto questa volta si sia creata tanta unanimità e determinazione. Non avendo condiviso l'entusia'smo di quelli che hanno parlato di primo passo verso un "governo mondiale", non mi . associo neppure a coloro che invitano a disattendere la risoluzione delle Nazioni Unite perché non risponçle al loro punto di vista. Questo atteggiamento di approvazione condizionale di quella che dovrebbe essere la suprema istanza internazionale, mi pare francamente inaccettabile. Dopo di che, venga pure un'ampia discussione sulla struttura decisionale interna dell'Organizzazione. E una riflessione critica sulla delega dell'azione militare internazionale al governo americano. Ma supponiamo per acquisita la legittimità formale dell'iniziativa bellica nel Golfo, in sintonia con il primo requisito della "guerra giusta" secondo la dottrina tradizionale. Come conseguenza gli argomenti degli iracheni veng,mo considerati non solo sbagliati, ma "ingiusti" e i loro atti criminosi al punto di dover essere puniti cc,ml'uso della forza. . Qui cominciano i problemi. La grave infrazione della legalità internazionale (l'invasione del Kuwait) viene isolata da tutto il resto. Letteralmente non si accettano altre ragioni: non i motivi storici (veri o presunti) di Saddam per cui rivendica il Kuwait; s~prattutto non si accetta il collegamento con la questione palestm~se. Visti i tentativi di persuasione operati per comporre pacifi_camente la vertenza e visto il comportamento sprezzante del ~1ttatore iracheno, il procedimento nei suoi riguardi può considerarsi corretto sul piano formale. Scorretto invece è lasciar credere.ali' opinione pubblica mondiale che la restaurazione dello 6 status quo ante della legalità internazionale sia la questione cruciale del Medio Oriente. Questa impostazione solo legale del problema si rivela oggi insostenibile, non foss' altro dinanzi al decorso della guerra. La motivazione che rende lecito ("giusto") l'intervento militare si configura oggi semplicemente come la condizione necessaria, ma insufficiente per qualificare a pieno titolo "giusta" questa guerra. Tale sarebbe soltanto se garantisse l' instaùrazione di un "ordine giusto" in tutto il Medio Oriente. In questo momento nessuno fornisce questa garanzia. · U modo in cui di fatto si sta sviluppando il conflitto (fine dell'illusione di una guerra rapida e deJI' intervento "chirurgico", coinvolgimento diretto di Israele, enorme distruttività diretta e indiretta dei combattenti, possibile disastro ecologico) ha già stravolto e superato le ragioni di legittimità di quella che doveva essere una "operazione di polizia internazionale". · Retrospettivamente appare davvero poco saggio e per nulla "razionale" aver fatto finta che Israele non sarebbe stata coinvolta, e l'aver sottovalutato il senso della disperata simpatia del popolo palestinese per Saddam. A questo punto, dobbiamo tirarci indietro, come suggeriscono molti, ammettendo pubblicamente che l'intervento è stato un · errore negando dunque che si trattava di una "guerra giusta"? O dobbiamo prendere atto di quello che aJl'inizio ho chiamato il carattere "a rischio" del concetto di guerra giusta? Possiamo cioè accettare una dilatazione in corso, per così dire, èlei motivi della sua legittimità, dei suoi obiettivi e quindi dei suo~ costi? Questo interrogativo ci porta al secondo aspetto della questione: al carattere limitato e proporzionale tra obiettivo finale e mezzi della guerra giusta. Norberto Bobbio che più di altri in queste settimane si è esposto su questa problematica, ha ammesso in uno dei suoi interventi ("Guerra giusta, non santa" su La Stampa del 25 gennaio) che la "guerra ha cambiato disegno", che i missili su Israele aprono la "prospettiva di una guerra non più limitata". Il filosofo è turbato e "impotente" (come I ui stesso serive) ali' interno delle sue formulazioni sulla guerra giusta. Esse suonano ormai come testimonianza di coerenza morale più che come linee d'azione razionale. Nell'articolo c'è una affermazione sconcertante nellà sua ovvietà. Scrive: la guerra giusta in quanto efficace "deve essere vincente". In questa affermazione apparentemente autoevidente è contenuta la pretesa più problematica della dottrina tradizionale: che il buon diritto debba vincere necessariamente. Ma naturaJmente non a tutti i costi. Siamo di nuovo in una aporia. Dopo quello che abbiamo visto in queste settimane, come e chi può misurare i costi proporzionati alla vittoria? Questo interrogativo si specifica in almeno due altre questioni: una sul rapporto tra decisione politica e competenza militare (in concreto il rapporto tra Onu, Casa Bianca e Pentagono, per tacere degli altri alleati). E la questione più generale dei criteri con cui considerare effettivamente "limitata" una guerra - anche e soprattutto nel suo sviluppo oltre le intenzioni"iniziali. I criteri con cui si giudica "limitata" una guerra mutano profondamente nel tempo. Basti pensare che sia la prima che la seconda guerra mondiale sono iniziate come conflitti limitati (almeno nelle intenzioni degli iniziatori) e sono diventate guerre. "totali", sia pure con scale di grande..zza inconfrontabili tra loro. Oggi entrambe le guerre - a dispetto della loro espansione spaziale illimitata.- appaiono declassate in quanto conflitti "convenzionali" con potere distr.uttivo relativamente modesto a confronto con i potenziali "convenzionali" disponibili oggi e in parte attivati nel Vietnam e appunto nel Golfo. Di fronte a questa problematica la dottrina tradizionale della guerra "giusta-dunque-limitata" sembra considerare la tecnolò-
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