Linea d'ombra - anno IX - n. 57 - febbraio 1991

INCONTRI/HERLING Ho vissuto in Francia, in Germania, in Inghilterra: in nessuno di questi paesi la letteratura ha avuto un carattere mafioso come in Italia. Silone e Chiaromonte li avevo conosciuto tramite Leo Vali ani con il quale avevo lavorato in Germania per la radio "Europa libera", Silone era un personaggio straordinario, l'ho sempre considerato e lo considero uno scrittore notevole, mentre lei saprà che non era molto apprezzato in Italia, quando invece era noto nel mondo. Ricordo che in Polonia c'erano delle traduzioni di Fontamara e Pane e vino. Era un personaggio di grande interesse perché non incarnava la figura dell'ex comunista, di quelli che, dopo aver rotto con il partito, andavano dall'altra parte; per lui era un dramma, un terribile dramma. Una volta mi disse che si sentiva un prete spretato, e credo che questa fosse un'ottima definizione del suo stato. Il suo comunismo era molto cristiano; d'altronde basta leggere L'avventura di un povero cristiano per rendersene conto. Mi raccontò una volta .che, incontrando Togliatti durante i lavori della Costituente, della quale faceva parte, gli disse, forse sbagliando: vedrai che l'ultima battaglia sarà-tra comunisti ed ex comunisti. Non è andata così, ma comunque sia una battuta del genere era tipica. Sentiva molto questi problemi e la pronta apertura di "Tempo presente" nei confronti dei paesi dell'Est è la ragione per la quale mi ci sentivo a casa mia. Era un'eccezione, no? Quando arrivai in Italia il direttore de "L'Espresso", Arrigo Benedetti, mi -invitò a scrivere un commento sulla rivolta di Poznan. Lo scrissi con grande difficoltà, aiutato da mia moglie, perché non conoscevo ancora la lingua; quando ebbe l'articolo però Benedetti disse che non avrebbe potuto pubblicarlo. A suò parere era p·arziale: capiva i miei nobili sentimenti, ma non poteva pubblicare una cosa non obiettiva. Ora, questa era più o meno l'atmosfera. A Romano Bilenchi per un articolo sulla stessa rivolta chiusero "Il nuovo Corriere" ... Lo so, lo so. C'era il problema in Italia di cosa si poteva dire e cosa no. lo, ad esempio, potevo dire tutto su "Tempo presente", e potevo dire tutto su "Il Corriere della Sera" di Spadolini, cui in seguito collaborai; fino a un certo punto potevo dire tutto anche su "Il Giornale" di Montanelli, dove passai in seguito, ma fino al colpo di Jaruzelski,' perché Montanelli s'infatuò di lui e da allora in pòi ruppi con quel giornale. Da allora nori collaboro più a nessun giornale italiano. E "Il Mondo" di Pannunzio? "Il Mondo" sì. Anzi, ho pubblicato parecchie cose su "Il Mondo". Stavo dimenticandomi dé "Il Mondo", mea culpa. Era un bellissimo giornale, pulitissimo; Pannunzio era veramente notevole. Però la mia còllaborazione con "Il Mondo" fu episodica. E anche loro, mi sembravano molto isolati.L'atmosfera era davvero un'altra. Anche il primo Scalfari, quando era direttore de "L'Espresso", anche lui non faceva eccezione. Non c'è che dire, l'atmosfera in Italia era, per usare una parola blanda, strana; la prima reazione nei confronti di persone come me era simile a quella del critico di "Paese Sera". Ricordo, una volta che ero depresso, di essermi lamentato della mia situazione in Italia con Silone; lui mi ascoltò attentamente, e poi disse: perché ti lamenti, dopotutto anche io sono esule nel mio stesso paese. Ed era la verità: persone come Silone e Ch.iaromonte erano esuli in Italia. A "Tempo Presente" collaborò anche Calvino... Sì, è vero. Ho conosciuto anche Calvino, una volta, a Roma. E se mi chiedesse quali scrittori italiani mi piacciono, direi certamente proprio Calvino, insieme a Sciascia, che mi pare uno scrittore di prim'ordine. Di Calvino amo moltissimo Il cavaliere inesistente, un racconto sul grande dramp1a dei comunisti; mi è . piaciuto moltissimo anche La giornata di uno scrutatore, che trovo straordinario. A parte naturalmente i primi racconti, perché lui aveva un grande talento fiabesco. Ma di quelli che hanno un ·significato politico, Il cavaliere inesistente e La giornata di uno scrutatore, son.o straordinari: in un certo senso formano una coppia complementare di racconti: il primo racconta della situazione degli ex comunisti; il-secondo della democrazia occidentale, in cosa essa consista: una cosa davvero formidabile. E credo chequesta grande sensibilità l'ebbe anche Sciascia: La morte dell'inquisitore mi sembra un vero capolavoro, purtroppo dimenticato. E oltre a Cçilvinoe Sciascia? Svevo, soprattutto lo Svevo di Senilità. A~che Brancati: Don Giovanni in Sicilia è un romanzo assolutamente straordinario. Il primo racconto che ho letto a mala pena, perché non conoscevo la lingua, fu Il vecchio con gli stivali. Pavese e Moravia mi piacciono molto meno. A mio parere Moravia è autore solo de Gli indifferenti e di Agostino, quel che è venuto dopo è solo qualcosa di ben fatto, ma non ha nulla a che vedere con quei due libri. E.laMorante? La Storia ha dei bei pezzi, ma il suo capolavoro è.L'isola di Arturo; lei aveva un'immaginazione fiabesca; così quando vedeva un episodio da vicino, questo episodio si trasformava subito in fiaba. E questa Procida, che anch'io conosco, e che in fondo è un'isola abbastanza noiosa, è stata capace di inventarla: Procida è diventata una fiaba, ed è riuscita a mettere questa fiaba nel romanzo. E Tornasidi Lampedusa, che so piacerle molto? Considerato da molti editori una vecchia zitella; invece ha scritto un assoluto capolavoro. Quello sì che è un romanzo! Incredibile pensare che sia morto senza sapere di aver scritto un bel libro. Casi analoghi a quelli di un Lampedusa e di un Morselli, morti senza essere riusciti a pubblicare i loro libri, altrove sono impossibili. Secondo me, ciò è stato possibile perché la vita italiana è molto basata sul modello mafioso: a parte la mafia vera e propria, per un italiano medio la cosa più importante è la famiglia: questa è la ragione principale per la quale il modo mafioso di pensare è molto diffuso in Italia e riguarda anche la letteratura. Ho vissuto in Francia, in Germania e in Inghilterra: in nessuno di questi paesi la letteratura aveva un carattere così mafioso. Non parlo di scuole letterarie, che è naturale che ci siano, né dei gruppi, che sono dappertutto, ma di quel che si può definire congrega mafiosa; è come se fosse tutto un gioco di società: Giovanni conosce Giuseppe, Giuseppe conosce Giovanni, e così via. E non c'è differenza tra Nord e Sud: è una cosa italiana. 73

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==