CONFRONTI Autori incantati, bambini, pupazzi Osservazioni sulla letteratura per l'infanzia Giuseppe Pontremoli Alla fine dello scorso novembre, all'età di 74 anni, Roald Dahl è rimasto incantato. Ma prima, poco prima, ha scritto un'altra storia, una storia d'amore. Una storia che, seppure senzà la forza e lo spessore di Matilde, Le streghe e Il GGG (editi da Salani. Cfr. "Linea d'ombra" n. 46), è comunque una storia bella, divertente e oltremodo utile. Sì, perché Agura trat (tr. di A. Rotunno, Salani 1990, con le illustrazioni di Quentin Blake) è una storia d'amore tra due anziani, e può sérvire anche a evidenziare ai bambini come l'amore abbia sempre senso e possibilità di esistere, qualunque sia l'età della vita, e quanta allegria e inventiva possa esserci in chi non accetti di rassegnarsi a un pacato sopravvivere in attesa di chiudere gli occhi. Per quanto anziani si sia, è possibile appassionarsi e essere disponibili a vivere, e allora non ci si basta più, ci si sporge dai balconi, si ha voglia di dire e sentire parole, ci si invade la casa di "non meno di centocinquanta tartarughe", si costruiscono marchingegni, si inventa il tartarughese -" 'le tartarughe sono creature molto arretrate. Perciò capiscono solo parole arretrate, cioè scritte al contrario. (...) Agura trat è semplicemente tartaruga al contrario' spiegò il signor Hoppy" -, e così via, arrivando, come è inevitabile e giusto, a vivere "per sempre felici e contenti". Se non fosse come disse Guimaraes Rosa nel suo ultimo discorso ("le persone non muoiono, restano incantate"), avremmo tutti molto più da temere, molto più di quanto in ogni caso sia oppqrtuno e salutare fare. E l'incantesimo che ha fermato Dahl può essere allora niente più che uno strumento, un alibi cui aggrapparsi per ribadire alcune salutari acquisizioni che emergono dal suo lavoro. Per esempio, che, per un Grande Gigante Gentile (il GGG) che si nutre di cetrionzoli e colleziona sogni da soffiare ogni notte nel sonno delle persone, ce ne sono almeno altri nove, altrettanto grandi ma per niente gentili, che si nutrono di vite umane e vanno inequivocabilmente combattuti. Che le streghe non soltanto esistono ma, per meglio distruggere i bambini, si camuffano dietro gli aspetti più normali e fondano la Reale Società per la Protezione dell'Infanzia Maltrattata. Che si può essere tanto un bambino quanto un topo, perché "non importa chi sei né che aspetto hai. Basta che qualcuno ti ami". Che le bambine magiche esistono, e si appassionano instancabilmente alle storie, e sanno agire e operare scelte sagge - compresa quella di abbandonare la propria inaccettal:Jilefamiglia-, e soprattutto per Disegnodi RolandTopor. 40 questo sono magiche. Che non basta essere bambini per assurgere al ruolo· di eroe positivo - è più probabile, forse, ma non automatico-: si può essere bambini, nonne, giganti, maestre, volpi, topi, non importa; quel che conta davvero è essere senza potere e contro il potere, elargitori sapienti di tenerezza e di rabbia. E poi per ribadire anche questo: che le storie per bambini possono anche non essere affar loro, ma piuttosto affare di tutti, e che anche agli adulti possono appartenere e piacere. L'essenziale è che siano davvero e al tempo stesso divertenti e profonde, tenere e feroci, solari e notturne, generate da un forte sentire e di forte sentire impregnate, dense di sapori e di suono; e non estranee, quindi, bensì vicine, o, meglio ancora, dentro al vivere, cioè alla vita in tutto il suo snodarsi, e dunque anche al morire. Come le storie di Dahl, insomma. Ocome Pinocchio, il cui autore è rimasto incantato quasi esattamente cent'anni prima di Dahl. Si potrebbe pensare, visto l'ambito in cui Dahl e Collodi hanno operato - il fantastico, le storie per bambini -, che ci sia in quest'am0ito qualche misteriosa magia per cui ogni cent'anni rimane incantato un grande inventore di storie, un narratore perfido e geniale, uno scombinatore di schemi, uno strapazzatore di luoghi comuni dalla lingua sferzante. Si potrebbe pensarlo, e congetturare cabalisticamente. Ma forse non si arriverebbe a null'altro che a qualche approdo iettatorio e a una rassegnata acquisizione della superiore possanza dei numeri e delle loro inattingibili leggi. A che serve? Meglio allora, credo, fermare un momento l'attenzione su un paio di cose. La prima riguarda Pinocchio. A partire da Pinocchio, libro e personaggio, è stato fatto di tutto: cinema; sculture; fumetti; parchi; pubblicità; riduzioni; adattamenti; prosecuzioni; riscritture; traduzioni inogni lingua; letture sociologiche psicanalitiche esoteriche politiche cristologiche filosofiche teologiche; convegnistica; enigmistica; francobolli; portachiavi; ristoranti; pupazzi; attualizzazioni; s'è detto, sulla base di pseudoinchieste, che ai bambini di oggi non piace più; e altro e altro ancora. Tutto questo con esiti diversi, di diverso valore, ma, beninteso, tutto legittimo - e ulteriore conferma, in ogni caso, dello spessore del personaggio. In tutto questo, però, c'è almeno un problema: nelle librerie si trova di tutto, ma inutilmente vi si cercherebbe - non è più in catalogo - un'ottima edizione di Le avventure di Pinocchio, pubblicata nel 1983 da Mondadori nella collana "Biblioteca" a cura di Fernando Tempesti, il più bravo studioso delle avventure e della lingua collodiane. Ma forse il segreto è proprio qui: Tempesti infatti non è cardinale bolognese, né presidente del Senato repubblicano, né placido collaboratore di prestigiosi fogliacei quotidiani; è uno studioso, appunto, e,fruga e scava, intuisce e riscontra, scopre il teatro, non monta teatrini. E l'altra cosa è questa. Sono trascorsi cent'anni, da Collodi a oggi; e in questi cent'anni- nella letteratura per ragazzi di lingua italiana, la stessa, quindi, di Carlo Lorenzini detto Collodi - non e' è stato più nulla, a parte una sola eccezione di cui voglio dire più avanti, che potesse davvero tenere il confronto. Intendiamoci subito: non è che i bambini e i ragazzi in questi cent'anni non abbiano più potuto leggere qualcosa che valesse la pena. A parte le traduzioni, e a parte le fiabe popolari, ci sono
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