CONFRONTI cercare di diradare l'ovvio e di indicare a che cosa si riduca per lui il messaggio biblico. Al fondo, esso rivela che il senso della vita non va inteso in termini di prestazione (ciò che si è in grado di rendere e di fare, il fine utile che ci proponiamo o che altri ci hanno posto innanzi), ma di grazia. "La nostra prestazione, che pure è un momento necessario nella vita quotidiana, viene relativizzata nella sua importanza, non è più criterio di giudizio, di riconoscimento, non è più ciò che conferisce senso, ma è solo ancora la risposta che diamo al senso già ricevuto per grazia, senza intervento da parte nostra; la prestazione diviene ringrazi.amento" (R. Garaventa). Nella logica della fede il ricevere precede, il senso si riceve prima di conquistarlo. Qui sta il motivo fondamentale della equiparazione biblica dei credenti ai bambini, la predilezione di Gesù per i bambini, l'appello a "diventare come bambini " quale condizione per accedere al Regno. Non-sitratta di pretendere di ritornare artificiosamente a una innocenza infantile, ma di rinnovare sempre di nuovo l'appello alla nascita dell'uomo nuovo, caratterizzato dal ricevere e non dal rendere. Questo nucleo del messaggio di fede non va i'nteso come un contenuto astratto, dato una volta per tutte: la rivelazione dell'amicizia gratuita della voce si compie nella storia, il che significa che "la voce stessa lotta, soffre, viene messa in dubbio, soccombe, vince, col mutare della situazione" (Legno storto, p. 292). Il conflitto non è semplicemente fra gli uditori della voce e coloro che non l'ascoltano. La vicenda di Gesù Cristo indica, per il credente, che la voce stessa partecipa, sino alle estreme conseguenze, alla storia della sofferenza. Proprio la partecipazione d_iDio al dolore apre d'altronde la storia alla speranza. Così intesa, la nozione di "storia della salvezza" si presta a una comprensione assai particolare: è la storia della parola che, mentre cerca di farsi udire, incontra il dubbi'o, l'incomprensione, il rifiuto,. come mostra la stessa Bibbia. In questo senso, si potrebbe dire che forme di nichilismo risultano ben attestate nello stesso racconto biblico. Nella parte del volume forse più ricca di suggestioni Gollwitzer presenta, senza alcun edulcoràmento, le contraddizioni e lacerazioni riconoscibili in particolare nei Salmi, nel libro di Giobbe, nei racconti evangelici riguardanti la passione e morte di Gesù. 5. La condizione lacerata di Giobbe Giobbe è un proprietario ricco e pio che ali' improvviso perde tutto quel che ha: ricchezza, famiglia, salute. Giusto eppure sofferente, eleva la sua protesta verso Dio chiedendogli ragione dei _suoimali. Non si accontenta della teodicea razionale, rifiuta ogni tentativo di spiegazione ragionevole della sua condizione. Il punto cruciale della sua esperienza sta nel non poter precisamente riconoscere come il Dio che gli si è promesso possa essere quegli stesso che lo ha lasciato solo nella sua sofferenza. Afferma Barth nella Dogmatica che il dolore di Giobbe consiste "nel fatto che egli nello stesso momento sa profondamente che, in ciò che gli è capitato e gli si mostra, ha a che fare con. Dio - e parimenti non sa profondamente in che misura egli abbia qui a che fare con Dio". Alla fine, Dio non scioglie l'interrogativo rivoltogli da Giobbe, la cui domanda verte appunto s;I senso della vita più che sul ·dolore e sulla pazienza· (si veda ora, in questo senso, M. Ciampa, DomandeaGiobbe. lntervistesulproblemadelmale, Città Nuova 1989). Giobbe non riceve una risposta chiara in proposizioni, ma viene rimandato alla nascosta libertà di Dio. "Gli amici avevano scambiato senso e utilità, avevano addotto come argomento l'utilità della vita pia, l'utilità dell'uomo per Diò. La risposta di Dio, o meglio la domanda di Dio, mette completamente da parte questa categoria( ...) Non ci sono pretese da sollevare in base a meriti, ma solo l'accettazione riconoscente del libero agire di Dio: egli dona la vita 'gratis'; essa è gratis per lui, e così anche colui che lo riconosce e lo ama come donatore, lo ama 'gratis' (Legno storto, p. 197). In polemica cor'lBloch, che enfatizza l'atteggiamento "prometeico" e i-1profilo sovversivo di Giobbe, per cui il suo-libro -sarebbe la storia di un esodo dal Dio della tradizione ebraica, Gollwitzer avverte che si perde il senso del racconto se si scioglie il legame che mantiene Giobbe contraddittoriamente unito a Dio. Mentre Bloch disgiunge l'immagine di Dio con cui Giobbe polemizza da quella del vendicatore che egli invoca. Gollwitzer ritiene che il senso del libro di - Giobbe stia proprio nell'inaudita pretesa di tenere in tensione le due 38 .immagini (il Dio dell'alleanza e il Dio che abbandona e si sottrae), a prima vista incomponibili. Lo stesso si deve dire per il grido emesso da Cristo sulla croce: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Quel grido ha senso, nel racconto evangelico, solo in quanto vibra insieme di disperazione e di fede. Non è semplice grido di rabbia o bestemmia, ma invocazione rivolta a Dio benché egli si sia eclissato; vertice massimo del paradosso della fede, nel quale si rivela che la lacerazione passa attraverso Dio, in quanto Dio stesso è abbandonato dà Dio. §. Vita nel mondo dei morti La risposta del Padre ali' invocazione di Cristo viene con la resurrezione: non semplke invenzione di Paolo per mettere le cose a posto, ma evento sorprendente che scuote la comunità primitiva e la spinge verso percorsi di missione e di martirio altrimenti inspiegabili; resurrezione come fede nell'intervento di Dio per tutti e nell'inizio di una nuova vita, annuncio di un Regno del quale anche i morti, i vinti, gli sconfitti saranno partecipi. La fede nel Dio vivente dà senso alla vita del martire, consente la speranza per tutti. coloro che sono caduti lungo il cammino, il significato del cui sacrificio non può esaurirsi nella preparazione di una strada utile al progresso delle generazioni future. Il senso donato dal messaggio cristiano riguarda innanzi tutto la fedeltà ai morti, per i quali resta la speranza escatologica che non siano abbandonati alla morte. Per gli uomini della fede biblica la protesta contro la morte ha la pretesa di nascere non dal loro lamento, dal loro ostinato bisogno di sopravvivenza, ma dall'aver visto Dio muovere contro la morte, dall'aver creduto all'irrompere della vita nel mondo dei morti. Per Gollwitzer deve essere chiaro che la "vita eterna" non è da attendere dopo la morte, ma è il dono divino di una nuova vita oggi. "Il nostro desiderio di infinito è una rivolta contro la nostra creaturalità, è un modo del nostro voler-essere-comeDio (...) Verità e non verità della rivolta si separano làdòve un uomo entra nella comunità con Dio e vive di essa. In questo modo il tempo della sua vita si fa pienezza. Egli è riconoscente per quello che gli è stato dato. Egli non pretende niente di più. Egli può ora quello che prima appariva impensabile: dire di sì alla limitatezza della sua vita( ...) Ciò che conta è la nostra vita qui e ora. Si è morti e si 'muore serenamente'' anche_in situazioni dove la vita resta amaramente inappagata, nel caso di una fine prematura, in seguito all'attacco di una malattia mortale, in seguito a esecuzione, o quando si crepa nei campi di concentramento o in carcere. Il morire serenamente non è risultato di una vita appagata, ma de li 'essere ricolmi della comunità con Dio( ...) Allora la.creatura non si rivolta più contro questo limite come se fosse qualcosa di a lei nemico ed estraneo; allora essa dice di sì a esso, riconsegnando la vita a colui da cui l'ha ricevuta" (Legno storto, pp. 2317-238). · 7. Dal dono ricevuto a una prassi di liberazione Ciò non significa che iI problema flel male trovi una soluzione facile né immediata nella prospettiva della fede. La risposta al perché del male non è alla mano, essa rimane escatologica. Le affermazioni bibliche sull'amore di Dio e sul senso della sofferenza non possono essere combinate in modo tale da formare una nuova teodicea, "non sono . destinate a chi osserva il corso del mondo, bensì a colui che è minacciato e che lotta esistenzialmente in questo corso del mondo" (Legno storto, p. 312). La domanda sul perché del male non può trovare alcuna risposta razionale da parte di Dio. Egli risponde semplicemente rinnovando la promessa, in modo da incoraggiare la partecipazione umana alla sua opposizione al male, pienamente manifestatasi. nel destino di Gesù Cristo. Si rivela così decisiva per Gollwitzeda lezione di Barth riguardo al nesso grazia divina-prassi umana: il dono si presenta infine come un compito da svolgere, e solo l'agire fa sì che il dono sia autentico portatore di vita. La fede implica l'urgenza della prassi, essa si precisa come appello radicale a partecipare alla lotta e alla sofferenza di Dio nella storia degli uomini: Liberazione e solidarietà, per ricordare il titolo del volume in cui Gollwitzer ha pubblicato ( 1978, trad. it. Claudiana 1986) gli appunti dell'ultimo suo corso universitario ..
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