Linea d'ombra - anno IX - n. 57 - febbraio 1991

CONFRONTI MEMORIA Un pomeriggio con Pratolini a cura di Marino Sinibaldi Tra il 1982 e il 1983, alla· vigilia delle pubblicazioni di "Linea d'ombra, trimestrale di narrativa", i redattori e i collaboratori della rivista ebbero una serie di incontri con scrittori e intellettuali che ritenevano importanti, in cui riconoscevano, in qualche modo, senza enfasi, dei maestri. il pomeriggio trascorso con Vasco Pratolini fu tra i più 'intensi e appassionanti. Un lungo racconto di vita e di scrittura, con qualche quasi accidentale divagazione critica o appena appena teorica, e tanti fatti, ritratti, ricordi. Il testo dell'intervista che sintetizzava quel pomeriggio ebbe in un certo senso un destino parallelo ali~ vicende degli ultimi anni di vita di Pratolini. Anzitutto perché la sua stesura e correzione si è nel tempo complicata a causa dei sempre più gravi problemi di salute dello scrittore, fino a un ultimo incontro mancato proprio due settimane prima della sua scomparsa, avvenuta il 13 gennaio scorso. Ma soprattutto perché, anche a proposito di questi o testo, si è espressa quella "insoddisfazione continua" che per anni ha tormentato le vicende dell'ultimo, e ancora inedito, romanzo di Pratolini. Le poche righe che qui pubblichiamo sono dunque stralci della lunga conversazione di otto anni fa, sopravvissuti, per così dire, a quella ·spietata insoddisfaziQ{le.Rappresentano soprattutto un modo per ricordare l'amico e lo scrittore, un primo modo: su Vasco Pratolini e sulla sua sottovalutata importanza'tomeremo nei prossimi numeri della rivista. Per quali vie, secondo lei, si diventa scrittori? Attraverso quali esperienze e quale "apprendistato'!? Se devo parlare della mia esperienza, devo dire che io ho sempre scritto; e anzi, intorno a questa convinzione mi sono costruito una specie di mito, che forse posso spiegare con la mia biografia. Da piccolo io vivevo con i miei nonni, e.quando mia nonna andava a lavorare come domestica era costretta a portarmi con sé. Allora mio nonno, vecchio anarchico che però conosceva padre Pistelli (al tempo assessore alla cultura del comune di Firenze e, come scopersi poi, dantista di fama) pensò di farmi entrare con un anno di anticipo nel collegio degli Scolopi, in prima elemèntare. Io a quel momento sapevo già leggere e scrivere, e nella mia personale mitologia mi convinsi che fosse stata mia madre a insegnarmelo prima di morire, quando io avevo quattro anni. E fu perché sapevo già scrivere che un giorno, disubbedendo al maestro nel fare le aste, ricevetti una bacchettata sulle dita, proprio come in Cuore. Quando il maestro si voltò, gli tirai dietro il calamaio che era sul banco. Per fortuna non lo colpii, ma costrinsi mio nonno ad andare da padre Pi stelli per giustificarmi. E fil allora, tra l'altro, che entrai per la prima volta in Palazzo Vecchio. Vedete un po' in che occasione ... Più tardi, quando avevo otto o nove anni, già a volte marinavo la scuola per stare con gli amici, ma anche perché non mi piacevano le lezioni di matematica e di disegno; alle lezioni di italiano invece andavo sempre vol~ntieri, e quando c'era compito facevo dei temi bellissimi. In terza classe ebbi una menzione particolare per un mio tema: fui terzo su settanta e ricevetti dal sindaco di Firenze la pergamena che attestava il premio. E così salii di r.iuovoin Palazzo Vecchio. Racconto questi aneddoti solo per spiegare come lo scrivere e anche il leggere siano sempre stati per me naturali. Più leggevo e più imparavo a leggere bene, nel senso di saper scegliere. E u·na grande possibilità di leggere 34 l'avevo proprio quando accompagnavo mia nonna a fare i servizi da domestica, perché, specialmente nei periodi estivi, potevo accedere alle biblioteche delle case dove lei lavorava. E ricordo che fu così, per esempio, che scoprii Gargantua! Dunque,per scrivere è importdnte leggere, e leggere "bene". Ma cosa leggeva lei da giovane? In giov~ntù la mia pl~iade italiana fu composta da Tozzi, Jahier, Palazzeschi ... In particolare verso quest'ultimo ho avuto un rapporto di ammirazione: ho scritto alcuni articoli su di lui e ho potuto conoscerlo di persona. Addirittura ricordo che una delle prime cose che scrissi a quattordici-quindici anni iniziava così: "Come son belli Palazzeschi e il sole!"; più che un ricordo, è un'immagine, una convinzione della fantasia. E poi fui anche influenzato da Tozzi - e dai tozzismi più macroscopici, come doventa anziché diventa ... Lei ha frequentato il gruppo delle Giubbe Rosse, che a Firenze, tra il' 30 e il' 40, ha animato la vita culturale. Come vi arrivò? Nel 1936, nell'autunno,, dopo che fui dimesso dal primo sanatorio, conobbi Elio Vittorini, cui erano piaciuti certi miei aiticoli apparsi sul "Bargello", e cominciai a frequentarlo - lui • era del 1908, aveva cinque anni più di me. Vittorini andava alle Giubbe Rosse, e.io, che mi guardavo bene dall'entrare nel locale, lo aspettavo camminando in su e in giù lungo il marciapiede; per andare insieme a comprare qualche rivista francese, per avere le ultime notizie sulla guerra di Spagna. Dentro al bar tutti naturalmente si chiedevano: "Ma chi è quello che va avanti e indietro?" Passarono dei m°esi,io rientrai in sanatorio e quando me ne uscii completamente ristabilito, Vittorini mi presentò al gruppo. Conobbi Montale, di cui in verità non avevo letto ancora niente, sia perché i suoi libri si trovavano solo in biblioteca, e io sinceramenFcito di Luco Carrò (G Neri)

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