Linea d'ombra - anno IX - n. 57 - febbraio 1991

IL CONTESTO Foto di Augusto Cososoli (Teom/G. Neri). concreto, lontanissimo da ogni progetto organico di trasfqrmazione rivoluzionaria (il "modello di Poggibonsi"). Nel ribadire su "Micromega" questa interpretazione, Cafagna sembra piegarla a un fine diverso: allora cercava le ragioni di un risultato politico eccezionale e per certi versi - afferma lo stesso Cafagna - miracoloso; oggi dichiara che le cause del successo contengono quelle del declino. li difetto non è neJ, comprensibile, desiderio di spiegare il punto di approdo ma nel carattere modellistico del ragionamento e in un 'ottica riduttiva, che prende in considerazione quasi esclusivamente la_li.nea del gruppo dirigente del partito. La storia del Pci è caratterizzata per Cafagna da una impasse, che ne attraversa tutte le stagioni politiche e ne decreta, alla fine, il fallimento: l'incapacità di conseguire il potere "in forme rivoluzionarie ovvero entro procedure democratiche definite". L'osservazione è giusta ma dovrebbe costituire il punto di partenza dell'analisi non la chiave interpretativa. Secondo Cafagna - riduciamo all'osso il suo ragionamento, che è ricco di osservazioni stimolanti e acute - la tattica scelta e lasciata in eredità ai suoi successori da Togliatti fu un tattica temporeggiatice, la piu adeguata a garantire la crescita del partito non esponendolo al rischio di avventure insurrezionali e neppure a quello di una repressione eversiva; ma fu anche una tattica ' attendista poiché" non escluse, almeno fino al 1956, agli occhi dei militanti ma anche nei confronti degli avversari politici, la prospettiva di una conquista del potere di tipo rivoluzionario. Strumento di questa tattica era una risorsa politica, anzi la risorsa politica per eccellenza del partito: la rappresentanza dell 'Urss e del "campo socialista". Mutata la situazione int~rnazionale alla metà degli anni Cinquanta, la tattica ·del temporeggiamento non venne abbandonata; ma divenne alJora patologica l'ambiguità comunista, incapace di rinunciare alla sua principale risorsa politica ma al tempo stesso, scartata definitivamen,te la prospettiva rivoluzionaria, non in grado di compiere senza equivoci la scelta 30 democratico-riformista. L'obiettivo del Pci di-. ventò allora quello, puramente e semplicemente, di crescere, senza riuscire a prospettare un credibile sbocco di potere. Ci sono, in questa analisi, alcuneart.icolazìoni non convincenti. Non convince, in primo luogo, l'afferma- . zione che, nell 'ltalia del. dopoguerra, ci fosse una reale alternativa tra l'allineamento in forme democratiche agli Stati Uniti e la soggezione ali 'Urss: l'alternativa era una sola e To&liatti ne era fin troppo fortemente consapevole. E corretto quindi definire temporeggiatrice la tattiqt presce'lta ma assai discutibile accreditarla come attendista: l'attesa dell'ora X o di uno scontro. risolutore è quanto di piu lontano dalla prospettiva togliattiana; e a maggior ragione essa non vale, mutata fase e contesto, per i suoi successoi. La risorsa Urss è cerramente una chiave per spiegare comportamenti e crescita del Pci ma non dovrebbe essere utilizzata come un grimaldello, che agisce per tutto il cinquantennio repubblicano allo stesso modo. Qui le testimonianze di Ingrao e Chiaromonte integrano utilmente le osservazioni di Cafagna. Entrambi sottolineano come l'esempio sovietico - non· nel significato della rottura rivoluzionaria ma in quello della potenza antifascista, della vittoriosa resistenza di Stalingrado, della forza militaresia stato un ingrediente fondamentale della loro coscienza di comunisti: e c'è poco da dubitare della profondità con cui esso agf sull'intero corpo del partito quando era cosi fortemente intrecciato a esperienze di vita vissuta. Ma la risorsa Urss venne riempita in fasi diverse di contenuti diversi o, meglio, venne valorizzato ora uno ora l'altro dei suoi aspetti: negli anni dell'immediato dopoguerra prevalse una lettura del campo socialista come alternativa concreta e realizzata al capitalismo e come strumento dell'egemonia sulla sinistra; negli anni successivi al 1956 l'Urss venne identificata come la garanzia dell'equilibrio tra le grandi potenze e lo strumento "oggettivo" per la lotta anticolonialista e per sottrarre all'influenza dell'altra superpotenza i paesi in via di svilupp_o.Senza contare, ci torneremo piu avanti, che negli anni Sessanta e Settanta l'Urss fini di essere una risorsa per diventare un ostacolo. Ma l'obiezione piu forte all'interpretazione di Cafagna è che il suo modello non còntempla - salvo che per la fase del radicamento - una qualsiasi spiegazione dei motivi della crescita del Pci: è qui che la programmatica limitazione dell'analisi alle anomalie della tattica comunista non riesce a rendere ragione di un fenomeno storico unico nel panorama occidentale e quindi neppure del successo e del declino del·partito. Il difetto è speculare a quelli che esibiscono i testimoqi comunisti: per lngrao e Chiaromonte, gli errori prima o poi felicemente corretti e superati non mettono in discussione il ruolo decisivo del Pci come collettore e suscitatore di energie sane e positive, come difensore della democrazia e promotore del progresso sociale. Ingrao, in particolare, che entra piu direttamente nel merito, può criticare, a posteriori, giudizi inaccettabili (come quello di Togliatti sulla_repressione ungherese) e intolleranze nel ~ibattito interno e solidarizzare con le posizioni di Giolitti e del dissenso degli intellettuali nel '56; ma, in tutti i momenti decisivi, si ·sottrae allo scontro politico (sul caso del "Politecnico", nel '56, nel Comitato centrale del '61, ecc.) salvo a rivendicare l'ìmportanza di restare dentro il Pci per condurvi la battaglia. Dove emergono non tanto le peculiarità del carattere ma le ragioni di una scelta che non viene mai messa in discussione, neppure a posteriori: l'identificazione nel Pci dell'unica risorsa politica in grado di trasformare nella giusta direzione la società italiana. La tattica, dunque, le forzature e le timidez- • ze, gli errori plateali e i limiti intrinseci, ,di democrazia edi analisi, non sembrano influenzare inmodo diretto, almeno fino agli anni Settanta, il consenso al e la crescita del partito. In uno · scritto precedente, Cafagna aveva parlato di una "rendita di opposizione" di cui il Pci ha goduto lungo• il primo quarantennio repubblicano. Si può discutere se si sia trattato di una rendita o invece del premio ottenuto per avere comunque interpretato, in forme discutibili e inadeguate quanto si vuole, un'esigenza sacrosanta di opposizione. Certo non si può sfuggire a un confronto con i· costi e le storture dei processi di modernizzazione e con il modo in cui si sono (mal) governate le radicali trasformazioni della società italiana. È questo, ovviamente, un lavoro di ricerca non ancora fatto. Ma si può intanto osservare che il Pci riesce a superare la crisi del '56 se non di slancio certo senza eccessive difficoltà e ad accrescere la sua forza net"corso degli anni Sessanta: non solo perché, come vuole Cafagna, la grande maggioranza del partitò·è tetragona all'indign~zione per le vicende dei paesi dell'est (Polonia, Ungheria, Praga) ma perché il Pci capitalizza a suo vantaggio le contraddizioni e le ingiustizie prodotte dallo sviluppo e le stesse aspettative indotte dalla trasformazione. Si p1.1òanzi dire di piu: il Pci utilizza ogni occasione di crisi per.allargare la sua capacità di rappresentanza, moltiplicando i referenti sociali e modificando corpo del partito ed elettorato: dal partito operaio e contadino degli anni Quaranta e Cinquanta al partito. "interclassista» di operai, ceti medi, intellettuali degli anni Settanta. Ma gli anni Sessanta e Settanta richiedono

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