Rir.ensandoai movimenti. Bi ancio e previ~ioni iii unHbrorecente Gianfranco Bettin Luigi Manconi ha scritto un libro importante con questo suo Sof.idarietà, egoismo. Buone azioni, movimenti incerti, nuovi conflitti (Il Mulino, pp. 197, lire 18.000). È un libro che spinge l'analisi (e la teoria) dei movimenti collettivi fino a sponde prima non raggiunte, coincidenti con le esperienze maturate inquesti nostri anni. Esperienze poco esplorate finora dalla riflessione e dalla ricerca sociale e politica, che a lungo hanno vissuto della rendita accumulata ormai una ventina di anni fa con lavori classici come quelli di Touraine e di Alberoni (la più banale, quest'ultima, e la più equivoca, anche, delle teorie: quella del movimento come temporale estivo, fuoco di paglia o flirt, vitale e creativo nella fase insorgente e impacciato e vo.tato a snaturamento quando passa a "fare sul serio", istituzionalizzandosi o dissolvendosi). L'analisi dei movimenti collettivi aveva prodotto, subito dopo la stagione del. '77, gli ultimi contributi significativi; in particolare con Alberto Melucci, sul-doppio versante della ricostruzione dei percorsi storici dei movimenti e della classificazione e lettura delle forme nuove da questi assunte, nell'alternanza di "visibilità" e "latenza". Poi, a lungo, era sceso il silenzio. Il silenzio della teoria e delle ricerche e interpretazioni di sintesi, intendo, del tipo qui proposto da Manconi o, dopo il '77, da Melucci. Peraltro, tacevano i movimenti. Manconi dedica un capitolo fra i più suggestivi del suo libro al "sileniio dei movimenti" seguito al triennio '76- '78 giustamente individuato come fase spartiacque nella vicenda politica e sociale italiana. È il periodo in cui "i processidi,riorganizzazione dell'impresa e di ridefinizione della composizione di classe e, poi, l'affermarsi della cultura della differenza sessuale ·e l'emergere della contraddizione generazionale erodono le basi e le ragioni del modello movimento-operaio" (al quale in precedenza, per Manconi, pressoché tutte le forme di mobilitazione collettiva.si erano rifatte). È il movimento dei "non garantiti", negli stessi anni, a esprimere le trasformazioni in corso con maggiore intensità e radicalità. La sua fine, violenta, nell'autunnoinverno '77- '78, segna il passaggio a esperienze opposte di "clandestinità": quella àrmata e militare del terrorismo e quelle inerme, spesso disorientata se nQn disperata, di chi cercherà altrove, fuori dalla politica, altre forme e strumenti di espressione e costruzione di un'identità differente. È in questo passaggio, anche, che comincia a formarsi e ad assumere dimensioni consistenti lacoscienza ambientalista,più tardi protagonista di una forte e discutibile esperienza politica e di movimento. Il "caso Moro", nella primavera '78, produce un ulteriore esito di "latenza", estremizzando il distacco tra forme dominanti dell'azione politica (il terrorismo e la risposta Disegno di Marco Petrello. militare dello Stato) e percorsi appartati, "cars~ci"qella grandissima parte degli aderenti al movimento nei due-tre anni precedenti. Forse Manconi enfatizza un po' il "complesso di colpa" suscitato nella coscienza (o nell'inconscio) dei membri del movimento dal lungo psicodramma del "caso Moro". Forse, ancorché scossi in pròfondità dall'esito tragico e brutale della vicenda, molti vi avevano colto soprattutto la rivelazione che i margini di manovra e di espressione per un movimento così radicalmente antagonista e così irriducibile a compromessi di ordine politico si erano ormai bruciati. Non c'era più spazio, in politica. Nessuno aveva lavorato perché questo spazio ci fosse, o troppo pochi, e scarsamente efficaci. Come scrive Mancopi, "il movimento del '77 viene preventivamente e pregiudizialmente negato in quanto movimento. E, così facendo, gli si sottrae la possibilità di autodefinizione e di autoriconoscimento. (...) Una volta interdetta la possibilità di parlare un linguaggio comune, il movimento viene ricacciato in una condizione pre-sociale e pre-politica: e non certo perché privo dei requisiti propri di movimenti politici e sociali ma perché - piuttosto - la controparte, negando l'identità sociale e politica di un aspirante attere del sistema, intende cancellarne la stessa esistenza". Quando, a sinistra, si definiscono "untorelli" e "nuovi fascisti" gli aderenti al movimento; quando il Min1stro degli Interni, dopo scontri tra polizia e studenti e giovani, proclama in televisione: "Non permetterò che i figli dei contadini del Sud siano aggrediti dai figli della borghesia del Nord" (gli scontri erano avvenuti, in quel caso, a Roma, quindi al Centro: come la mettiamo? E il Ministro, ovviamente, era Cossiga, quello di "Non ho avuto paura di voi nel '7_7e non ho paura oggi!". Resta, benin~eso, IL CONTESTO che di lui si aveva paura, nel '77, e forse oggi ancora di più)- insomma, quando una simile clamorosa incomprensione della reale natura del movimento domina nei principali attori politici è evidente che lo spazio politico agibile si riduce e si inasprisce. Dopo il '77, solo nell'85 riemerge, per una breve stagione, un movimento· di estensione paragonabile a quella dei "non garantiti". Ma è. di natura diversa, studentesca e basta, molto · concentrato su questioni specificamente scolastiche e con venature generazionalcorporative: "Dateci la possibilità di emergere" è uno degli slogan memorabili. L'esperienza recentissima della "Pantera", con una maggiore presenza di studenti universitari, esprime forse un'elaborazione ulteriore, una maggiore criticità e maturità, di contenuti e di forme di aggregazione, di obiettivi, che probabilmente hanno cominciato a prodursi proprio attorno all'85. In altre parole è probabile che molti protagonisti della "Piµitera" '89-'90 abbiano mosso i primi passi, come Movimento collettivo, in quell'effimero '85. Subito ritrattisi, allora, da un terreno politico che li aveva, invece che presi a calci e spari come nel '77, molto blanditi e perfino celebrati in diretta Tv, sono forse rìemersi, nel tempo, più accorti nell'uso di strumenti di comunicazione - i famosi fax - e anche nell'uso di sé come medium. Manconi sottolinea molto questa caratteristica, tipica dei movimenti più recenti, e mutuata da tecniche e forme espressive non violente e spesso usate, peresempio,<lal Partito Radicale in Italia, di esprimere contenuti attraverso l'esibizione di sé. In verità, nello stesso movimento del '77 è a lungo esistita una corrente di questo tipo. Ne era forse la principale componente. Chiunque fosse stato a Bologna nel grande raduno d_si ettembre di quell'anno ne avrebbe avuto una lampante conferma. Ma questa corrente non riusciva a pesare politicamente e ogni volta che ·stav!l per riuscirvi qualcosa accadeva a risospingere la discussìone su poli roventi. Pochi giorni dopo Bologna e l'immenso, pacifico, creativo corteo che l'ha conclusa, l'omicidio impunito di Walter Rossi a Roma ha bruciato ogni margine residuo. Ho insistito molto su questo passaggio - che lo stesso Manconi giudica cruciale - proprio per sottolinearne il carattere di spartiacque nella vicenda dei movimenti. In quell'esperienza, in forme inaudite prima e mai più ripetutesi poi, convissero sia la ric_ercae la di- · mensione individuale e di gruppo, anche di piccolo gruppo, sia la tensione ampia, collettiva, di massa, la presenza diffusa e capillare, la capacità di rendersi visibile che sono, a mio parere, requisiti necessari perché si possa parlare di "movimento". L'esaurirsi di quell 'esperienza è causa di dispersione in'mille rivoli di quelle ricerche e pratiche di gruppo, fino alla loro atomizzazione estrema, e segna la fine di ogni "movimento" nella forma e nella durata che avevamo conosciuto per oltre dieci anni. E questo non avviene, come direbbe Albéroni (anzi, come ha ripetuto fino alla nausea), perché, finita la febbre dell'innamoramento, di fronte al matrimonio si è avuta paura, e cioè perché dallo statu nascenti non si è saputo 27
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