IL CONTESTO Per certi versi si riaffacciano addirittura alcuni tratti del1 'ancien régime, come la venalità delle cariche e la confusione tra patrimonio pubblico e privato. Un recente studio sulle strategie adottate dai prelati della Roma seicentesca per accedere agli incarichi pubblici consegna immagini molto familiari agli attuali lettori delle cronache politiche italiane. Anche allora i patrizi che volevano intrapre'ndere la carriera politico-amministrativa dovevano fare molta attenzione al rapporto tra le spese necessarie per accedere alle cariche pubbliche e gli introiti che potevano ragionevolmente attendersi dalla loro gestione. Dovevano per esempio calcolare che "le cariche venali di minor' conto, come i protonotariati o i posti da abbreviatore, non erano molto redditizie: sulla carta fruttavano il 4- 5%, nella realtà spesso non arrivavano ali' 1%. Più remunerativi erano gli uffici camerali: il presidentato e i chiericati rendevano, sempre sulla carta, il 7-8%. ,Decisamente redditizi dovevano essere invece l'ufficio di auditor Camerae e quello di tesorerie generale, che fruttavano più del 20% 3. Oggi per certi versi, le cariche si acquistano col denaro come allora. Certo, il denaro da solo non è sufficiente, ma, si.badi bene, non lo era neppure nell'ancien régime. Come avverte il prelato romano Andrea Santacroce in una lettera del 5 novembre 1698, "il solo denaro non basta per fiancheggiare le persone e gli appoggi fanno tutto" 4. Per i '</nuoviprelati" - i moderni imprenditori-politici - la politica e gli affari sono tutt'uno. Non esiste un confine preciso tra l'una e gli altri.Essi affiancano molto spesso all'attività politica vere e proprie iniziative imprenditoriali, normalmente alimentate da commesse pubbliche. Fondano società a responsabilità limitata o per azioni, spesso con l'aiuto di famigliari in veste di prestanome, entrano in consigli di amministrazione di società pubbliche, sono controllori · e controllati, appaltatori e appaltanti. Qualche tempo fa si scoprì per esempio che a Torino tutti i segretari dei partiti della maggioranza facevano parte dei consigli di amministrazione delle società (in parte pubbliche, in parte private) che gestivano autostrade. Po.co più tardi risultò che una società appena costituita che si contendeva l'appalto comunale per i parcheggi era esclusivamente formata da uomini politici presenti in consiglio comunale. E sto parlando di Torino, non di Gela. Conosco poco i legami tra la politica e la criminalità organizzata nelle regioni del mezzogiorno, ma' ho la netta impressione che i ·meccanismi di fondo - la politica affaristica o l'intreccio tra politica e affari - siano esattamente gli stessi. Ciò che cambia è l'ambiente, non il modo di fare politica. E se la seconda repubblica fosse già cominciata? Da molto tempo si discute· sulle riforme istituzionali e sul passaggio alla seconda repubblica. Il presupposto di queste discussioni è ovviamente che viviamo ancora nell'ambito· della prima repubblica. Se guardiamo alla sua costituzione formale, il ragionamento non fa una grinza. Ma se guardiamo alla costituzione materiale, ossia ai fondamenti politici della repubblica, la continuità appare molto dubbia. La caratteristica essenziale dello stato nato dalla resistenza era quella di reggersi su partiti di massa, radicati nella società, dal cui concorso ci si aspettava, come recita anche il testo d.ellacostituzione formale, la determinazione "della politica nazionale". I partiti rappresentavano il). principale fonte di legittimazione dello stato, non il canale privilegiato di partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Lo stato italiano era in·somma uno "stato di partiti". Non è difficile constatare come la progressiva chiusura dei partiti dall'interno delle istituzioni (la loro "statizzazione", si potrebbe dire), la loro trasformazione in partiti-collocamento e 26 l'invasione delle loro strutture da parte di imprenditori politicoaffaristici abbia modificato radicalmente i tratti della nostra costituzione materiale. Come riconosce apertamente un personaggio politico che indubbiamente se ne intende,"i partiti sono oggi -considerati soltanto delle macchine per fare carriera, e non più dei soggetti politici. Dunque chi non è legato a certe carriere non ha nessuna ragione per aderirvi 5...Paradossalmente le accuse contro la partitocrazia stanrio toccando il culmine, proprio nel momento in cui il processo di svuotamento dei partiti sta giungendo a compimento e la loro capacità di agire come "soggetti politici" appare in netto declino. L'illusione ottica deriva dall'attribuire alla situazione odierna, per una sorta di inerzia, circostanze proprie della fase precedente. Capita così di scambiare la presenza persuasiva dei partiti nelle istituzioni per compattezza, il controllo sulle nomine per il controllo sulle scelte, la capacità di fare e disfare coalizioni· per la capacità di determinare le politiche pubbliche. La politica italiana si è ormai scissa in due sfere distinte, e largamente indipendenti: quella della politica partigiana, in cui si decidono le alleanze, gli equilibri e i rapporti reciproci tra le forze politiche, che è ancora dominata dai tradìzionali partiti, e quella della politica sostanziale, in cui si decidono le scelte che interessano la collettività, che è invece il risultato di negoziazioni settoriali (e trasversali rispetto ai partiti) tra i nuovi imprenditori politico-affaristici, i rappresentante degli interessi, gli esperti e le burocrazie pubbliche. L'apparente onnipotenza dei segretari nazionali dei partiti non deve trarre in inganno: Anche il più compatto dei partiti italiani (il partito socialista) si basa su una sostanziale divisione del lavoro: al segretario nazionale spettano in esclusiva le mosse e le contromosse nel campo delle scelte-di schieramento (compreso il diritto a repentine svolte); in cambio, i suoi rappresentanti nelle istituzioni sono liberi di agire nei propri ambiti secondo le loro mutevoli convenienze. Il risultato complessivo è quello di una crescente delegittimazione della classe politica nel suo insieme, dei partiti storici e, in definitiva, dello stato, di cui il successo delle leghe è solo una spia. È anzi probabile che la discussione sulle riforme istituzionali che si è aperta nei primi anni Ottanta rappresentasse il riflesso (non del tutto consapevole) del fatto che la prima repubblica (quella fondata sui partiti storici nati dalla resistenza) era ormai tramontata e che si trattava di trovare regòle in grado di dominare la nuova situazione. Non sembra però che le proposte finora avanzate si misurino effettivamente con i nuovi termini del problema. Vagheggian0 esecutivi forti, modelli di democrazia all'inglese, ma senza indicare chi e come riempirà il .vuoto lasciato dagli antichi.partiti di massa. In tale situazione è assai probabile che le riforme istituzionali finiranno per generare effetti inattesi, indesiderati o controproducenti. Naturalmente la questione è oggettivamente di difficile soluzione. È impossibile (né forse desiderabile) restaurare il vecchio regime partitocratico. Ma nessuno sembra oggi capace di indicare un modello al quale tendere, a partire dalla situazione attuale. Note l F. Coen, Affari e politica: quali risposte alla questione morale, in "Mondo Operaio, n. 4,.aprile 1983; cit. in F. Cazzola, Della corruzione, Bologna, Il Mulino, 1988. 2 M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione, Torino, Einaudi, 1967, pp. 60-61. 3 R. Ago, Carriere e cliéntele nella Roma barocca, Bari, Laterza, 1990. 4 Ibidem, p. 22. 5 Intervento dell'on. Guido Bodrato al forum di repubblica sotto il titolo "Città europea con lln governo mediterraneo", "La Repubblica", 19 novembre J 990, pagine torinesi.
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