IL CONTESTO calma e condannano nettamente i disordini e le violenze dei giorni precedenti - anche loro usano termini come "vandali" e "hooligani". Del resto dicono esplicitamente che una democratizzazione troppo veloce potrebbe avere gli stessi effetti di una pistola nelle mani di un bambino che non sa usarla. Ma i giovani che stanno intorno si fanno avanti per conto loro e dicono: "I preti devono parlare così perchè sono uomini di pace, ma la gioventu pensa che il più grande hooligan sia lo Stato, e che le manifestazioni di Skutari non possono essere viste come vandalismo. Senza un po' di hooliganismo non ci sarà democrazia ..." E poi ognuno vuole raccontare ciò che ha visto: i manifestanti si sarebbero diretti contro la centrale del partito e il "museo dell'ateismo", e solo dopo essere stati bloccati dalla polizia si sarebbero verificati atti violenti. E la dinamite, di cui effettivamente qualcuno ha fatto uso, non sarebbe stata impiegata contro negozi o edifici, ma per far saltare lo zoccolo del busto di Enver Hoxha - dopo averlo tirato giù con una corda "e averghpisciato sulla testa" (come ci -vieneripetuto pit volte da diverse persone durante la Messa, con grande soddisfazione). Si parla di molti arresti (2-309, qualcuno dice 1000), di 17 morti (qualcuno sostiene che della dinamite sia esplosa anche all'interno della sede della polizia, dopo gli arresti, e abbia fatto una strage) e di parecchi feriti gravi. È difficile sapere se tutto ciò corrisponda alla realtà o meno: ci viene dato un elenco di feriti e con i nomi di 40 arrestati, ma nessun elenco dei morti. È assai difficile trovare il modo più giusto e responsabile per reàgi"re(soprattutto dopo quanto è avvenuto un anno prima in Romania!), e così decido di passare la lista dei nomi agli studenti di Tirana, e di informarne le 4 ambasciate della Cee. Nella seconda conversazione con don Jubani - alla quale esplicitamente non vuole che partecipino i giovani, mentre vi assistono due giornalisti italiani - il vecchio sacerdote esprime nuovamente idee molto nette e ferme, con l'autorità e la sicurezza (quasi anche l'impudenza) che gli derivano dalla sofferenza, dalla prigionia e dalla tortura: "Io non ho più nulla da temere, se prima sono stato una volta sacerdote, ora lo sono cento volte, e non guardo Ìn faccia a nessuno". Condanna e vorrebbe moderare ogni genere di radicalismo, ripete la sua relativa fiducia in Rarniz Alia, al quale per il momento non vede alternative. Non si pronuncia sugli scontri e sulla repressione, minimizza e tende a smentire, e· è comunque assai preoccupato che tutto degeneri inviolenza. Non si mostra entusiasta del nuovo partito democratico, sembra preferire l'idea che presto debba nascere un partito democristiano (di cui durante la Messa ci hanno parlato alcuni giovani cattolici) e non ha paura di eventuali tensioni o integralismi religiosi in un paese con il 70% di musulmani e con i cristiani divisi tra cattolici e ortodossi. La sua visione degli sviluppi in Albania è orientata al lungo periodo: per lui i turchi, i serbi, i russi e i cinesi hanno - in ordine temporale - rovinato il popolo albanese, e il comunismo lo vede come una specie di peccato collettivo, dovuto non tanto a un dittatore, quanto alla viltà e all'incapacità degli intellettuali noncomunisti che avrebbero lasciato ai comunisti il monopolio della resistenza. Per aprire un nuovo capitolo nella storia albanese occorrono innanzitutto il timor di Dio e una nuova educazione. Gli domandiamo, tra l'altro, un parere sullo scrittore Ismail Kadaré che poche settimane fa ha scelto l'esilio volontario: come altri nei giorni precedenti, anc~e lui non vede in Kadaré una credibile alternativa al regime, e questo non tanto per la sua fuga in un periodo cruciale (che lui, anzi, ritiene orchestrata dal regime), quanto perchè lo ritiene culturalmente troppo omogeneo al comunismo albanese. Non si vuole esprimere su cosa lui si aspetta dal Papa ("non devo io insegnargli nulla, lo sa bene lui") e si mostra fiducioso sul futuro del cristianesimo in Albania; dice che i preti cattolici àttualmente sarebbero probabilmente 32, e che al sud c'è anche un certo risveglio ortodosso; non ritiene probabile la nascita di un fondamentalismo islamico. 22 Dalla lunga conversazione con questo sacerdote, e anche da osservazioni di alcune altre persone a Skutari, mi si rafforza l'idea che per molti la fede religiosa sia vista come una sorta di affidabile cartina di tornasole per distinguere chi è autonomo dal regime e dalla sua cultura, e chi no; ·uno spartiacque tra opportunisti e autentici oppositori. (Poi sapremo da altra fonte che nel sud del paese si sono verificate alcune liturgie ortodosse, che si sarebbe fatto vivo un "pope", e che anche tra i musulmani vi sarebbero manifestazioni di religiosità.) Il pomeriggio e la sera andiamo a trovare diverse famiglie albanesi nelle loro case (assai modeste): cosa impensabile, anche questa, sino a pochi giorni fa. "Sappiamo che domani in fabbrica ce ne chiederanno conto, ma ora non abbiamo più paura", ci dicono gli uomini, mentre le donne appaiono meno convinte di tanta spavalderia.. · 17-12-1990, lunedì - Ormai è difficile e un po' doloroso lasciare questo paese e questo popolo di cui abbiamo condiviso una settimana cruciale. Una studentessa ci dice con le lacrime agli occhi: "ora che non ci sarete più, ci sentiremo meno protetti". Tutti vorrebbero affidarci dei piccoli incarichi e commissioni, ed essere soprattutto sicuri di non venire dimenticati. L'addetto stampa del nuovo partito (Gene Pollo, un giovane molto preparato che aveva partecipàto qualche mese prima a un incontro dei Verdi a Vienna) ci assicura che ora il riconoscimento legale del nuovo partito è alle rorte e si mostra scettico sulle notizie così tragiche da Skutari. Per strada incontriamo anche il prof. Paschko, ormai con l'aria indaffarata e importante del politico. In un 'ultima seduta con i 4 ambasciatori compiamo un esame conclusivo comune della situazione: c'è accordo che oramai in Albania un nuovo fiume si è aperto un varco, e non potrà essere ricacciato indietro. Tutti riconoscono che le condizioni per un ampio dialogo nel paese non sono cattive, e che la Comunità europea vi può dare un importante contributo. L'Albania non • merita di essere isolata dall'Europa: né a livello ufficiale, né a livello della società civile. Tutti sono assai consapevoli che un "pericolo rumeno" può essere incombente: sia nel senso del bagno di sangue, sia nel senso di una selva di mini-partiti che in fondo garantiscono la continuità trasformista delle vecchie strutture. E c'è anche un certo consenso sull'esigenza che la Cee ora si interessi attivamente e presto dell'Albania- solo uno dei quattro ambasciatori appare più scettico. 19-12-1990, mercoledì - Ho la fortuna di poter riferire, a caldo, alla Commissione Politica del Parlamento europeo, a Bruxelles, sulla mia visita in Albania. Tutto appare già un po' più lontano: a noi viene servito caffè o tè, e l'Albania è un punto ali 'ordine del giorno, insieme a molti altri. Ma parecchi colleghi ascoltano con un'attenzione e simJ?atia che non è di routine, e testimonia della loro consapevolezza che stiamo trattando di un importante cambiamento in corso verso il quale abbiamo una responsabilità e delle opportunità da giocare .. Nella stampa si parla della ~epressione e dei processi per "vandalismo", e di 300 arrestati. Poche ore dopo ricevo una insperata telefonata da Tirana: gli studenti comunicano che il nuovo partito è effettivamente legaliz- ·zato, e che dispongono di un telefono, anche per chiamare ali' estero. E che sabato (22~12) faranno una nuova manifestazione, di contentezza per gli sviluppi in corso e per chiedere l'amnistia per i processati. Un'altra fonte ci conferma che ci sarà la prevista Messa nella notte di Natale a Skutarl. Io, a mia volta, sono lieto di poter comunicare che sabato anche a Roma si svolgerà in solidarietà un sit-in di studenti davanti all'ambasciata albanese ...
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==