centofiori perioddiciionformazione eanalisui vl olontariato acurdaellabranca italiandaeSl ervizCioivile Internazionale Redazione Amministrazione: DirezioneNazionaleSCI Viadei Laterani28,00184Roma (Tel.06/7005994) Il ServizioCivileInternazionale organizzacampidi lavoro neiseguentpi aesi: EUROPA: Austria/Belgio(Vallone)/ Belgio(Fiamming)o/Bulgaria/Cecoslovacchia/Danimarca/Finlandia/Francia/ Germania/Grecia/InghiltereraGalles/ Irlanda/Irlanddael Nord/Italia/Lussemburgo/Norvegia/Olanda/Polonia/Portogallo/Scozia/Spagna/Svezia/Svizzera/ Turchia/Ungheria/UnioneSovietica/ Yugoslavia/NORD AMER/CA:Canadal U.S.A.IOCEANIA: Australia/ASIA e AFRICA Azione nonviolenta RIVISTA MENSILE DEL MOVIMENTO ~ONVIOLENTO di formazione, informazione e dibattito sulle tematiche della nonviolenza in Italia e nel mondo Abbonamento annuo L. 22.000 da versare sul c.c.p. n. 10250363 intestato a: Azione Nonviolenta via Spagna, 8 - 37123 Verona IL CONTESTO Ancorasulla "guerra giusta" Nanni Salio Le ragioni di dissenso rispetto alle valutazioni fatte da Norberto Bobbio sulla guerra del Golfo sono già state ampiamente esposte sia da . chi è stato suo allievo e ha fatto buon uso dell'insegnamento ricevuto, sia da chi non ha perso il semplice "buon senso", i'ndispensabile per compiere scelte corrette in questi frangenti. Non mi risulta tuttavia che sinora sia stato affrontato il ''nocciolo duro" dell'impianto argomentativo su cui si regge la tesi di Bobbio. Egli si è più volte richiamato alla classica dicotomia weberiana tra etica della responsabilità e etica della convinzione per sostenere che siamo in presenza di un dilemma tragico. Questo è il primo e forse più grave "errore" concettuale di Bob bio, dal quale discendono gli altri. La sua filosofia è tuttora ancorata a una analisi dei fondamenti etici che da tempo si è rivelata assolutamente inadeguata. La condizione sulla quale si fonda l'etica della responsabilità è infatti quella della "prevedibilità dell'esito delle nostre azioni" e più in generale delle nostre scelte. Ma come è facile constatare dopo pochi giorni dall'inizio formale della guerra (quella reale è molto precedente e risale a ben prima dell'invasione irakena del Kuwait) nessuno è in grado di "prevedere" questi esiti e di utilizzare una qualche "unità d_imisura" per valutare anche solo in termini "utilìtaristici" quale scelta comporti il "male minore". In termini più espliciti, siamo in presenza di decisioni prese in "condi- . zioni di ignoranza", nelle quali non è possibile appellarsi ali' etica della responsabilità. Su questo argomento esiste oggi un'ampia letteratura che purtroppo non è conosciuta in modo adeguato da scienziati sociali e da cultori delle scienze naturali. Eccezioni di spicco sono, tra ·i primi Herbert Simon, tra i secondi David Collingdrige. Da tempo, molto prima dell'era nucleare, la guerra è diventata un <::asoparticolare della più ampia classe di problemi Srf/S/ (scienza-tecnologia-società) e quella che si sta combattendo nel Golfo ne è una conferma clamorosa: la sofferenza degli esseri umani è quasi totalmente scomparsa dalle nostre valutazioni (salvo quando faccia comodo per mobilitare e manipolare la macchina del consenso) e la guerra è diventata un'operazione "chirurgica" (peraltro impossibile), tecnologica, "scientifica" ·(lo erano anche i campi di sterminio), compiuta da una· nuova categoria di "macellai" definita con un termine asettico e di moda: i "top gun". Come è possibile compiere "scelte razionali" in condizioni di ignoranza? Questo dovrebbe essere il compito della filosofia, come rièorda Hans Georg Gadamer ("Il Mattino", 21-1-91 ), ·che tuttavia non suggerisce una risposta adeguata. Ma sin dall'inizio di questo secolo, quando si verificò la "perdita della certezza" (Kline) di poter fondare la "regina delle scienze esatte", la matematica, su basi univoche e inconfutabili, sappiamo che la scienza non si basa sulle "certezze", bensì sull"'errore". Sembra invece che solo nelle scienze sociali, quanto meno secondo la diffusa aspirazione, sia rimasto questo sogno neopositivistico di "certezza assoluta" e di "onnipotenza conoscitiva". Molto più modestamente, la scienza ci insegna che !"'unica cosa certa" è che possiamo sbagliare. Ma gli errori che commettiamo in laboratorio scientifico sono poca cosa rispetto a quelli che possiamo com- .piere quando applichiamo le nostre conoscenze e le nostre "convinzioni" per risolvere problemi · sociali così gravi come quelli di una guerra e così . complessi come i "venti e più conflitti" che si interse.cano nel Golfo (Galtung). Saremo razionali, responsabili e autenticamente ispirati da principi etici se, consci dei nostri. limiti, sceglieremo soluzioni e corsi d'azione che in presenza d'errore, verificabile solo a posteriori (a "esperimento" compiuto o in corso), ci permetterebbero di "tornare indietro" sui nostri passi, di "correggere gli errori" che man mano si presentano. Questo è il significato rigoroso, laico, della bella espressione "la guerra è un'avventura senza ritorno" .. All'etica della responsabilità, diventata un semplice paravento delle proprie convinzioni, ·occorre sostituire un'etica dell"'errore", un'etica apparentemente "debole", ma non nel senso dato a questo termine da Vattimo, bensì nel senso di un'etica fondata sul principio "minimo" della correggibilità degli errori che oggi è garantito solo dalla nonviolenza del forte. . Il se.condo "errore" di Bobbio è il riduzionismo, la pericolosa trappola nella quale cade facilmente la cultura occidentale, che assume varie forme: filosofico, storico, epistemologico. Sui primi due casi sono intervenuti coloro che hanno criticato la ristretta con- _cezione di guerra giusta intesa solo come guerra decisa da un'"autorità legale (condizione necessaria ma non sufficiente) e come guerra che prende in considerazione una unica "sezione temporale'.' isolata dal contesto storico delle . infinite ingiustizie perpetrate nel Medio Oriente. Al riduzionismo epistemologico si contrap- .pone la modernacultura scientifica che riconosce nella complessità, .nella globalità e nella non linearità alcune delle caratteristiche dell,a maggior parte dei fenomeni reali. · È vero: la pace è "una questione di paradigmi" (Balducci, "L'Unità", 21-1-91). Al paradi!Jma della "pace negativa", che prepara la guerra in tempo di pace poiché si fonda sulla dissuasione e la minaccia militare, occorre sostituire il paradigma della nonviolenza costruendo concretamente la dissuasione, la · difesa e la resistenza nonviolenta. Non averlo capito è l'ultimo e tragico "errore" commesso non solo da Bobbio ma, chi più chi meno, un po' · da tutti noi.
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