Linea d'ombra - anno IX - n. 56 - gennaio 1991

UN MAZZO DI CARTE Penelope Lively traduzione di Maria Luisa Bignami Lei gli faceva passare notti insonni. Giaceva lì sveglio a desiderarla, a bruciare per lei, con la stanza immersa nell'oscurità piena della sua voce, del suo viso e del suo corpo rotondo e pieno. Si alzava e apriva la finestra nella speranza che l'aria rinfrescante della notte gli facesse bene; accendeva la luce e allungava la mano a prendere un libro. I libri erano decisamente terapeutici, certi libri; era una nuova prospettiva sulla funzione della letteratura. Ci voleva qualcosa di famigliare, ma che continuasse a suscitare interesse. I russi erano i migliori. Turgenev, Cechov. Calmava la carne con La vecchia casa e In primavera. Che lei naturalmente non aveva letto; con quasi assoluta certezza non' aveva letto. Lavorava alla reception di una ditta di consulenti di managemenJ. Stava seduta in mezzo a piante artificiali e a comode poltrone di pelle a rispondere al telefono col suo tono chiaro e sicuro; distribuiva i visitatori dalle poltrone di pelle agli uffici dei consulenti, giovanotti tirati a lucido, con il suo stesso tipo di voce. Egli le conosceva, quelle voci; le aveva sentite durante l'infanzia, nei negozi delle cittadine del Suffolk, ai concorsi ippici e più tardi, naturalmente, a Oxford. Voci da banconota da cinque sterline, le chiamava sua madre. Voci che sopravvivevano alle guerre e alle rivoluzioni, che risuonavano negli anni; non si poteva non provare una certa ammirazione. Come avesse potuto finire soggiogato da una tale voce, non riusciva a inunaginarlo; considerata spassionatamente, gli faceva venire i brividi. Se chiudeva gli occhi, il senno gli tornava - quasi. Ma poi, riaprendoli, vedeva il suo perfetto viso rotondo, i suoi capelli biondo cenere, la sua carne ... Ah, la sua carne, nella quale desiderava tanto affondare i denti come in una pesca - no,.una pescanoce, una succosa dorata pescanoce striata di rosa ... E al diavolo la voce. E quello che diceva. "Onestamente, non so che cosa ci vedo in te...". Il tutto accompagnato da un bacino sulla guancia, un colpetto affettuoso, o qualche altro gesto propiziatorio. A letto la voce gli diceva che era orribile, tremendo, che veramente lei doveva essere matta, che non riusciva a capire che cosa stesse facendo. E quando lui glielo spiegava (aveva venticinque anni, dopo tutto, era ora che desse un nome a queste cose, dicesse pane al pane ' e vino al vino) lei gli metteva una mano sulla bocca e gli appoggiava il viso sul collo, ridendo. "Smettila!" gli diceva, "Nick, ti proibisco nel modo più assoluto ... non ti ascolto, d'accordo?" Aveva sempre da fare, stava sempre per schizzare via da qualche parte, per il fine settimana, o a incontrare un vecchio amico, o per andare dal parrucchiere. E quando c'era, era assolutamente troppo cara per lui: Ronnie Scott, bar alla moda, teatri. Gli disse che doveva assolutamente comperarsi una macchina, solo una cosa di seconda mano, una piccola Renault o che, e quando lui le confessò che non se la poteva permettere gli sgranò in faccia gli occhi ed ebbe una risata incerta. Quando, sporadicamente, lo presentava ai suoi amici, sottolineava la sua eccentricità. "Nickè così intelligente," diceva. "Lavora in una straordinaria rivista che vende circa dieci copie perché è troppo originale perché qualcuno la capisca." E gli amici alzavano gli occhi al cielo e mormoravano. "È il tipo dell'intellettuale originale, non gli importa nulla delle cose. Riesce a vivere assolutamente in qualsiasi modo, non è meraviglioso?"; e gli amici sorridevano con indulgenza, o non sorridevano. Era un giocattolo, se ne . accorgeva- un divertissement intrigante, tenero, lievemente problematico. A volte lei faceva cenno al fatto che i suoi abiti o il suo comportamento non erano all'altezza. Gli regalò un pullover costoso, che lui perse. Si augurava che se ne andassè da quella tragica camera d'affitto e si trovasse un vero appartamento - sarebbe stato facile fargli ottenere un mutuo, il suo padrino era a capo di una immobiliare. Quando lei conosceva gli amici di lui, era brillante e garbata e, dopo, diceva che non riusciva proprio a immaginare perché continuasse a frequentare gente di quel tipo, certo erano ìnolto interessanti in un certo senso e però ... Egli supponeva, nei momenti più tranquilli, che gli sarebbe passata. Nel frattempo non vi era nulla da fare se non bruciare. 82 Ella disse: "Devi conoscere la nonna. L'adorerai. È il tipo che fa per te. È una tutta libri. È la persona letteraria della famiglia. Sua madre, vedi, la bisnonna - non che io l'abbia mai conosciuta, è morta prima che io nascessi - comunque, faceva parte di una specie di gruppo, scrittori famosi eccetera, conosceva assolutamente tutti. Ha delle lettere di Galsworthy e di Tennyson eccetera. Voglio dire, la nonna ce le ha." "Tennyson?" disse lui. · "Credo. Comunque di quel tipo di gente. La nonna ha una straordinaria biblioteca. Ti impressionerà. È un personaggio incredibile. Comunque, andiamo tutti da lei domenica a pranzo - ci andiamo una volta al mese, tutti - e anche tu puoi venire." "Dove?" disse lui. "Henley, naturalmente. <;:iandremo in macchina con papà." Suo padre era a capo di una di quelle ditte la cui funzione è così irreale che sembrano esistere solo per maneggiare denaro, senza connessione con una cosa concreta come un prodotto specifico -petrolio, o mattoni, o scarpe, o detersivi. Ci sarebbero anche stati, spiegò, lo zio Dickie, che era un banchiere, e sua moglie, e la mamma, naturalmente, e un altro zio che lavorava da Cluttons e sua moglie. E due cugini .. "Cluttons? L'inunobiliare?" "Be' -compra-vendita, in realtà. Comunque tu verrai con noi e.loro· andranno per conto loro. Oh, e di solito ci si veste abbastanza bene per la nonna. Non dico giacca e cravatta. Solo un informale a posto, capisci?" Lo capì arrivando a casa di fei: il padre indossava pantaloni con la piega ben fatta e una camicia a collo aperto appena stirata, uscita fresca fresca dalla vetrina di Simpsons. La mamma aveva una cosa elegante e setosa. Li aveva già incontrati una volta; questa volta lo salutarono con appena una sfumatura eccessiva di interesse. Il padre aveva aperto il cofano della macchina: "Scusa, Nick - non posso darti la mano, olio dappertutto. È un piacere vederti. Ottimo. Un paio di minuti e partiamo. Perché non vi sedete dietro, tu e Charlotte?" Il cofano si chiuse con il tonfo proprio qi una tecnica costosa. "Mai stato su una di queste?" Nick disse che non c'era mai stato. "Be'; credo che ti piacerà. Questo è il nuovo modello, naturalmente. Iniezione, servosterzo, sospensioni idrauliche tutto quanto. Molto divertente da guidare. Ti piace guidare?" Nick disse di no. "Be'. Quando avevo la tua età avevo una vecchia Lancia. Faceva circa quattro chilometri con un litro - una macchina assurda per un giovanotto al verde: Un gran divertimento, però. Dunque, ci siamo tutti, vero? Andiamo, allora - la nonna ce la farà pagare se la facciamo aspettare." In macchina, Charlotte gli toccò i calzoni all'altezza del ginocchio con quello che egli riconobbe come un gesto di ammonimento. Non aveva i pantaloni puliti. Aveva avuto l'intenzione dilavarli, ma aveva rimandato sino all'ultimo. Aveva la camicia pulita, ma non stirata. Spostò di un poco il ginocchio e guardò il retro della testa della mamma di Charlotte, su cui i capelli sembravano essere stati sistemati uno per uno. Charlotte allontanò la mano dal ginocchio di lui, la fece scivolare nella sua e gli solleticò il palmo. Londra fuggiva via in silenzio; stucco bianco, ringhiere nere, e lucidi battenti di porle cedetterç il posto a cartelloni che reclamizzavano whisky e linee aeree. Di quando in quando il padre di Charlotte schiacciava un bottone; i finestrini si alzavano e abbassavano, del!' acqua veniva spruzzata sul vetro anteriore, dell'aria soffiava in modo discreto. "Dinuni un po', Nick-che cos'è che fai? Non me lo ricordo bene. Giornalismo, giusto?" Nick spiegò. "Interessante, immagino," disse il padre di Charlotte dopo un momento. "E dopo questo che cosa farai, in futuro?"

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