IL MAGGIORDOMO E IL SAMURAI Incontro con Kazuo lshiguro a cura di Paola Splendore I romanzi di Kazuo Jshiguro (nato nel 1954 a Nagasaki, dal '60 in Inghilterra, con studi a Kent, Canterbury e Norwich) sembrano tutti nascere da una doppia dislocazione della memoria, spaziale e temporale. I personaggi, uomini e donne immersi in un presente monco, fratturato, sofferto, oscillano confusamente v.erso un altrove lontano nel tempo, come in cerca di prove della propria esistenza, incapaci di dare un senso ai ricordi, di collegare un prima con un poi. La stessa estraneità verso il presente, la stessa cieca rivisitazione del passato, sono alla base dei tre romanzi di Ishiguro apparsi finora, l'ultimo dei quali, Quel che resta del giorno, è stato appena pubblicato da Einaudi nell'ottima traduzione di Maria Antonietta Saracino. Nel primo, A Pale View ofthe Hills (1982), di prossima pubblicazione in Italia, il suicidio di una ragazza riavvicina per qualche giorno la madre all'altra figlia, innescando per la madre ricordi e scene di una estate di molti anni prima, a Nagasaki, quando nel deserto dei sopravvisuti, obliquamente evocato, era riuscita a ricostruirsi degli affetti e attendeva la nascita di un figli_o.Un'esistenza sospesa, ancora stupefatta, quella di Etsuko, cui forse la giovane età impediva di capire appieno la devastazione delle vite degli altri, il senso di precarietà, di insicurezza, il desiderio diffuso di fuga. È a questo periodo che si rivolgono i suoi ricordi focalizzandosi come un'ossessione su due vièine di casa, una giovane donna e sua figlia, turbate da un'inquietudine che Etsuko non conosce. Nulla accade veramente nel romanzo: l'antefatto fa intuire un secondo matrimonio di Etsuko con un inglese, il trasferimento in Inghilterra e la nascita di una seconda figlia; poi la vedovanza e I~ distanza sempre maggiore delle figlie. Non ci sono spiegazioni o epifanie, .senon il ritorno nella memoria, di visioni allucinate di quella estate lontana, narrate in una prosa disadorna e priva di enfasi, come quella, in un flash brevissimo, di un giovane donna in un canale, dagli occhi vuoti e inquietanti, che mostra ai passanti il cbrpicino del figlio che ha appena annegato. Non sapremo mai la sua storia, come non sappiamo che cosa sarà degli altri personaggi; tutto resta sospeso e irrisolto come nella vita. Nel secondo, TheArtist ofthe Floating World, già apparso in italiano con il titolo scorciato de L'artista (Rizzo li 1988), la narrazione, ambientata nel primo dopoguerra, è condotta dal vecchio pittore Ono, divenuto famoso fin dagli anni Venti e Trenta per la rappresentazione del "mondo fluttuante" dei piaceri notturni di Kyoto, nella tradizione di Utamaro. Dopo la guerra, rispondendo forse in maniera opportunistica alla crisi dei val ori tradizionali, o forse per sprovvedutezza, Ono mette la propri a arte al servizio della causa nazionalista e vede di conseguenza alienarsi i rapporti con gli amici, i discepoli, le figlie, integrati nella realtà del nuovo Giappone industrializzato e americanizzato. Anche in questo caso, il tessuto della storia è esile, tutta affidata a una conversazione formale e reticente, su cui si innestano i ricordi di Ono, che mentre ricostruiscono efficacemente per il lettore-un clima culturale drammatizzando il con fii tto tra arte e politica, non riescono a chiarire al narratore le implicazioni delle proprie scelte. Ishiguro mette a punto in quest'opera un linguaggio letterario e -qnostile su cui interagisce l'altra sua matrice culturale, quella giapponese. L'abilità a suggerire le cose piuttosto che a dirle, la rappresentazione indiretta dei sentimenti dietro la formalità dei modi e I' eliminazione dal testo di qualsiasi elemento drammatico sono aspetti carat: teristici di molta letteratura giapponese. Così forse dal cinema giapponese, in particolare da Ozu, gli viene la tendenza a inquadrare dal basso, a ingigantire il dettaglio, a scrutare attraverso la facciata di piccoli mondi privati l'impatto della Storia nelle vite degli individui. Nel terzo romanzo, all'apparenza molto diverso dai primi due, si ritrova sia la costruzione su un doppio piano temporale, che I' osservazione della Storia attraverso uno sguardo limitato e volutamente 'basso', quello di un maggiordomo inglese. Quel che resta del giorno è il primo 62 Foto di Giovanni Giovannetti. romanzo inglese di lshiguro e tale non solo per motivi di ambientazione, ma perché in esso si esplora, con forti implicazioni ironiche, il senso stesso dell'essere "inglesi": "Noi chiamiamo questa nostra terra Gran Bretagna, e vi saranno sicuramente coloro i quali ritengono si tratti di un'abitudine in qualche modo presuntuosa. Pure, oserei dire che il panorama che si gode nel nostro paese basterebbe da solo a giustificare I 'uso di tale nobile aggettivo" (p. 36). L'aggettivo Grande sta a definire dunque l'unicità della sua bellezza, infinitamente superiore, perché sommessa, invisibilè, a quella di. paesi come l'Africa e l'America dove essa si trova volgarmente enfatizzata. Chi fa queste riflessioni, interrogandosi, per tutto il corso. del romanzo, sul significato della dignità e della grandezza personali è il maggiordomo di una grande casa inglese, ex-dimora di Lord Darlington, in cui lavora da più di trenta anni, e di cui fa parte quanto i muri e i mobili al punto che vi è rimasto anche con il nuovo proprietario, l'americano Mr Farraday, ansioso di esibirlo assieme alla casa come un altro pezzo "autentico" di antiquariato. Stevens è infatti l'astrazione del perfetto
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