Linea d'ombra - anno IX - n. 56 - gennaio 1991

E lo capisci? Sì, e ho fatto quattro o cinque viaggi in Russia. Per esempio sono andato a visitare una delle tenute di famiglia. E ho cercato le tracce del nostro passato, le case, i palazzi, le ville di campagna. Sono tornato a cercarne i resti. Quando hai cominciato? Credo di aver iniziato in modo esplicito poco dopo avere compiuto i trent'anni. Ma la vera origine risale a molto tempo prima. Se provieni da una linea ereditaria divisa, non c'è niente che tu possa dare per scontato. È tutto un po' come un rompicapo. Tuo padre parla il russo e tua madre non ne conosce neanche una parola, mangi cibi russi e vai alla chiesa russa, ma non capisci bene perché. È molto normale trovarsi in una situazione simile alla mia. Praticamente tutta la gente che conosco ha origini miste. Non c'è nulla di sostanzialmente problematico in questo. Credo che investigare abbia piuttosto a che fare con altro, che sia un modo di esplorare le proprie più profonde relazioni edipiche con le persone che più si amano. E lo si fa attraverso una serie successiva di schermi, perché la relazione che abbiamo con i nostri genitori ci è per lo più invisibile, intrecciata in nodi troppo stretti perché possiamo capirla. Ma se ci mettiamo a ricercare attraverso i nonni o i bisnonni, allora in qualche modo possiamo girare intorno a un presente che ci è impenetrabile. Si cominciano a capire le forze che hanno dato forma a nostro padre e da lì si comincia a capire qualcosa della propria forma. lo sono comunque molto diffidente rispetto · all'idea che si sia trattato di una ricerca della mia identità, perché per me tutto continua a essere un puzzle. Continuo a non sapere con precisione che cosa tutto questo abbia prodotto su di me e sulla mia personalità. Certe cose sono ovvie: per esempio io sono molto nostalgico e malinconico di temperamento e talvolta penso che sia un fatto genetico e che abbia a che fare con il mio lato russo. Non sono sicuro che le origini spieghino qualcosa della nostra identità. In realtà credo che quello che all'epoca stavo facendo fosse piuttosto un girare attorno a mio padre, che adoravo e che è stata l'influenza più forte della mia vita, e che a quel tempo stava a sua volta (ma l'ho capito soltanto dopo) girando attorno a suo padre. Dunque un figlio stava girando attorno a suo padre e un altro figlio stava girando attorno a un altro padre e a poco a poco i due cerchi si sono incontrati e entrambi siamo arrivati a capire che tutti e due volevamo capire il nostro passato russo. Via via che era andato invecchiando, per lui era diventato sempre più importante. Mio padre era per eccellenza il modello del professionista nord americano assimilato. C'erano stati periodi in cui dalla sua voce non trapelava il minimo accento. Ma con l'età, l'accento aveva cominciato a •ricomparire. Era diventato più russo, andava -più spesso in chiesa, era diventato più osservante. Dunque stava girando all'indietro e io lo seguivo. Credo che non si sia trattato d'altro che di un modo di avvicinarci e di dare maggiore profondità al nostro affetto. La nostra relazione si era andata sviluppando attraverso una serie di attrazioni e repulsioni, bisogna dire, non aveva avuto un andamento continuo. Il fatto che io non parli il russo è un segno delle mie resistenze, dopo tutto. INCONTRI/IGNATIEFF Aveva cercato di insegnartelo? No, no: di nuovo, con grande intelligenza, mio padre si era detto no, no, è tutto cambiato, è tutto diverso, è tutto finito. Ci sono state ben poche presenze russe nella nostra infanzia: un'icona su una parete, un ritratto ad acquerello di mio padre eseguito nel 1917 a Kislovosk, un samovar d'argento sulla tavola da pranzo, una spilla di zaffiri e diamanti di mia madre e quasi nient'altro. Qualche libro, qualche Turgenev, qualche Tolstoj. Piccoli frammenti in una casa nordamericana. E a poco a poco, nel corso del tempo, ho rimesso al loro posto quei frammenti. E naturalmente c'erano delle fotografie, la cosa più importante, fotografie di mio padre in un costume da marinaretto, la racchetta da tennis in mano, in mezzo a un giardino. E quello è mio padre, pensavo, non è possibile. E quella è la prima guerra mondiale. Poi ho avuto dei figli e sono tornato a guardar~ quelle fotografie e mi sono detto: ecco da dove vengono le loro facce. Un puzzle. L'idea di capirci qualcosa, facendo tutto questo? C'è la possibilità di risolvere tutto attraverso lo studio? Non lo so. Ne dubito. L'ho fatto, ho scritto il libro. Con che effetti? Mi ha fatto sentire più russo, mi ha fatto sentire che avevo compiuto un dovere nei confronti della mia famiglia. Che ero stato l'unico della mia generazione ad aver preso sul serio la famiglia e a metterla tra due copertine. Per conservarla, per non lasciare che le cose andassero perdute. Adesso ho qualcosa da tenere e da trasmettere ai miei bambini. Mio padre è morto un anno fa e è stato un grande sollievo per me sapere che il libro esisteva, perché lui potesse sapere che lo avevo .ascoltato. Che lui in tutti quegli anni aveva raccontato e che io lo avevo ascoltato. Anni fa, in una puntata dedicata alla psicoanalisi, del bel programma Voices, da te curato per Channel 4, durante un dibattito traBrunoBettelheime George Steiner, quest'ultimo ha accusato la psicoanalisi di essere uno strumento negativo proprio perché ci ha insegnato a parlare troppo, a non avere segreti, a non rispettare più il silenzio. Se la domanda non è troppo personale, mi piacerebbe sapere qual è la tua posizione in proposito e qual è stata la tua relazione con la psicoanalisi. No, niente affatto. Sono lieto di risponderti. Non sono mai stato analizzato. Il mio incontro con la psicoanalisi è stato, inizialmente, puramente intellettuale, Ho cominciato a leggere seriamente Freud per la prima volta, quando insegnavo nel programma di Socia! Studies a Harvard, agli inizi degli anni Settanta. Come istruttore giovane nei corsi per studenti graduate, mi era richiesto di insegnare Il disagio della civiltà e, più tardi, Il futuro di un'illusione. In altre parole, sono arrivato a Freud andando al contrario. Ho cominciato insegnando la teoria sociale del tardo Freud, ancora prima di sapere qualcosa del Freud analista. Poi c'è stato un secondo incontro con Freud, durante la cosiddetta ora di punta intellettuale del femminismo, quando a Londra si andavano svolgendo interessanti dibattiti sull'incontro tra psicoanalisi, femminismo e linguistica. In quel periodo lavoravano sul complessissimo capitolo linguistico di L'interpretazione dei sogni, per vedere in che senso si potesse affermare che Freud stava seguendo l'idea che l'incoscio sia strutturato come un linguaggio e quale linguaggio l'inconscio 57

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