POESIE TEDESCHE INEDITE scriffe nel mesi della caduta del muro a cura di Anna Chiarloni "I concetti che la DDR ha generato non muoiono con il crollo del paese, è con quei concetti e con quel linguaggio che siamo cresciuti - dico aW., incontrato per caso dopo quasi dieci anni - un linguaggio che ha segnato esistenze e biografie, locuzioni rituali, abbreviazioni magiche, che ha determinato sia le forme del conformismo che quelle della ribellione, tutta roba imparata a memoria che ti si stampava dentro condizionando la natura stessa della parola -dico a W., il quale, pingue ora, amaro e cinico, sbraita osceno e tracanna birra senza sosta, brindando rumorosamente col volto contratto dal disgusto: vuole inculare quelle troie che lo hanno rovinato -come dice lui. Avevo quindici anni quando il mio amico W., un po' più vecchio di me, mi fece leggere quei libri che avrebbero inciso sul mio destino, Freud. Dostoevskij, Sartre, lo Zarathustra di Nietzsche e Il lupo della steppa di Hesse, ci si ritrovava in una cantina aggiustata alla meglio, noi figli sbandati di alti funzionari, tutto questo quartiere centrale di Lipsia era popolato quasi esclusivamente di pezzi grossi con i loro rampolli-quasi sempre figli unici allo sbandomaschi e femmine che a quattordici anni già se la facevano in una cantina messa su in qualche modo come questa, si cominciava a star fuori di casa e a bere, ragazzi rovinati senza storia e senza scopo, 'lo Stato mangiatelo in insalata', 'vogliamo tutto e subito', i genitori annegati in quel!' alcol che ingollavamo anche noi, in quella stessa musica, negli stessi slogan, ultimi avanzi di una simbiosi con quei precetti che ci tenevano al guinzaglio - W. diede Ùn calcio a un silos di legno ghignando al rumore stridente delle assi fracassate, ed era come se stessero crollando le parole fatiscenti che quotidianamente sentivamo e leggevamo e dicevamo." Così inizia il romanzo autobiografico al quale Kurt Drawert, nato a Lipsia nel 1956, lavora dal maggio di quest'anno. Possiamo partire di qtii per tentare una ricostruzione dell'humus da cui è nato il gruppo di testine) suo insieme un diagramma generazionale del rapporto tra poesia e questione tedesca-pubblicati in questo numero di "Linea d'ombra". Lo sfogo di Drawert, nato dal bisogno di fare i conti con la propria storia di "galeotto" dimezzato, è violento. Troppo giovane per sentirsi eroe della tragedia nazista, ma anche per potersi in qualche modo identificare con coloro che nel primo dopoguerra si erano impegnati nella costruzione del socialismo - Drawert rappresenta una generazione di intellettuali cresciuta ormai ai margini dello stato, spesso in beffarda opposizione con la politica culturale di Honecker. L'epigramma di Mensching-un inedito del 1989-rivela bene la distanza che separava i giovani sia dal linguaggio delle cerimonie ufficiali esibite dalla gerontocrazia governativa, sia dalla vacuità della cultura mercificata di marca occidentale. Mal' opposizione di Drawert, volentieri segnalata a chi-come Heinz Czechowski-nel progetto DDR aveva creduto, era in fondo più radicale perché muoveva dal rifiuto di uno dei cardini del socialismo, ossia la priorità del riferimento collettivo: "A me, per esempio, caro Czechowski/ quello che davvero mi interessa è ormai solo/ la proprietà privata delle mie sensazioni/ e lo stato del cuore/ quando all'orizzonte sale cupa l'ora .../ .../ Dicano pure che mi manca qualche rotella_!io ~i son letto l'orario e ho fatto le valigie/ per mettermi in.viaggio verso il m10regno interiore", si legge in un testo del 1988, ora pgbblicato da_Suhrk~p nella raccolta di poesie non a caso intitolata Proprietà P; 1v~a. S1capisce che da questa prospettiva volutamente defilata da qualsiasi partecipazione politica - "A me piace la semplice vita della ~u<:<:a.._."recita l'incipit di un'altra poesia-l'esodo del settembre 1989 e 1 ~ 1 seg~ ?i "un altro autunno"possano venir osservati con sorniona apatia, quasi s1 trattasse di un fatto addirittura scontato. 48 È semmai il successivo, penoso trasformismo dell'apparato ormai agonizzante a sollecitare gli strali indignati di questà generazione. E qui s'inserisce anche il testo, d'impianto brechtiano, del berlinese occidentale Yaak Karsunke. Ma già nell'epigramma del giovane Lutz Rathenow affiora il quesito della propria identità storica. Il testo è datato. Nel febbraio del 1990 la DDR sta scomparendo, il partito muta sigle e volti, mentre lungo l 'Unter den Linden si svendono ai turisti stranieri le ultime vestigia del socialismo. La percezione di sé vacilla: "la pelle si stacca a brandelli" lasciando l'individuo inerme di fronte all'accavallarsi degli eventi. I testi che seguono lasciano intravedere realtà ben più complesse di quelle mutuate dalle immagini dei tedeschi orientali che si avventano sulle banane o sulla pornografia. Qui si sente la solitudine del soggetto che la caduta del muro dichiara maggiorenne definendolo contestualmente come prodotto di un errore della storia. I versi tracciano biografie disperse "tra le rive", come suggerisce un titolo di Annerose Kirchner. Prevale, in questa prima produzione poetica successiva al crollo del "socialismo reale", un senso di spossatezza, un bisogno di r_iflessionee di silenzio. La consapevolezza della perenne disponibilità umana a indossare sempre nuove uniformi ideologiche conduce Walther Petri a interrogarsi, con esiti non dissimlili dal coetaneo tedesco federale Jiirgen Theobaldy, sul senso stesso dell'esistenza. Centrale è il bisogno di svincolarsi da un lessico normalizzato, sottolineava Drawert. Un problema, quello del linguaggio tradito, che con allusione al soffocante empito nazionalistico occidentale, emerge anche nei versi sarcastici di Ursula Krechel. Ma se gli autori occidentali si pongono come outsiders di un sistema che usurpa la parola, e quindi in aggressiva posizione di denuncia, a est -proprio in quanto intellettuali org_anicìdi un progetto per ora fallito - si fatica a uscire da un'afasia interiore: "Il muro è caduto/ il muro resta dentro di me" scriveva Volker Braun nel novembre del 1989. La bocca - a lungo "reticolata" (Durs Griinbein) - si nega al linguaggio o sillaba cautamente idiomi diversi: coeur, heart, herz si legge nel testo recentissimo di Hinnerk Einhom, al suo primo viaggio verso la Francia. Ma come affiora all'orizzonte l'immagine di un confine, il passato murato si ripropone in modo bruciante. Frequente ricorre nei più vecchi il tema della caducità del testo ideologico. Le sicure letture marxiste- attraverso le quali si era formata nel dopoguerra la generazione di Heiner Mtiller e di Heinz Czechowski -non reggono l'impatto con gli ultimi eventi. Lo stesso Kunert, che pure non si è lasciato sorprendere in loco dal crollo del "socialismo reale" - si trasferì infatti nella Germania Federale dopo l'espulsione di Wolf Biermann (1976) - ripercorre nella sua Biografia la febbrile ricerca giovanile di un testo capace di dare un senso alla storia. Czechowski, Mtiller, Kunert: rispetto a Drawert è, questa, la generazione dei padri. Certo, non sono i burocrati rievocati nella sua prosa autobiografica - ché, anzi, di questi furono spesso le vittime - ma si tratta di intellettuali che nel socialismo, almeno inizialmente, avevano creduto. Più dolorosa quindi la riflessioni!, anche su episodi geograficamente lontani - come la strage di Tien An Men - dai quali ci si sente tuttavia chiamati in causa. Si confronti in questo senso la sospesa grazia calligrafica con cui il tedesco federale Jtirgen Theobaldyrievoca la rivolta degli studenti cinesi nel giugno del 1989: qui l'immaginè si allontana librandosi nel segno di un saluto a distanza, in Mtiller invece si somma ad altre tragedie della storia del comunismo, avvitandosi in una dolorosa autocritica che investe il senso stesso della parola poetica.
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