Linea d'ombra - anno IX - n. 56 - gennaio 1991

INCONTRI/BARTH Uniti, essere catalogati come autori che appartengono alla categoria del socia/ realism, e pure non mostrare alcun interesse per la politica. Pensate a Styron, ad esempiq, o a Updike, che è un. reazionario. Comunque, da un punto di vista politico, gli serittori che si pongono dei problemi formali svolgono un'azione positiva; non so se la si possa classificare come attività politica, perché mi pare che così si estenda un po' troppo il significato del termine "politico". Forse è meglio dire che tutto ciò è più importante da un punto di vista umano che politico. In questo senso mi è piaciuta molto la dichiarazione fatta una volta da Calvino, quando ha detto che in politica si considerava un agnostico. Credo che questa sia l'unica dichiarazione politica che uno scrittore possa fare. Mettiamola cqsì: il romanzoha un compitomorale? Su questo problema ha detto cose molto interessanti il roman- · ziere John Gardner; la sua teoria in proposito era molto stimolante, ma la mia impressione è che Gardner non fosse in grado di organizzare retoricamente la sua argomentazione. Quella teoria aveva bisogno di un divulgatore più capace, dnvece l'idea è sembrata molto _povera: lo scrittore che la difendeva non era abbastanza bravo. Come autore postmoderno io vengo accusato di essere interessato soprattutto alla forma; eppure la narrativa che preferisco è proprio quella che si pone dei problemi morali. Qualche nome? Rabelais, Sterne nel TristamShandy, o Diderot in J acques il fatalista: tutti questi autori hanno una fortissima dimensione morale. Però non sono d'accordo sull'idea che questo debba necessariamente essere l'obiettivo di uno scrittore. Secondo John Gardner, per esempio, la dimensione morale è una specie di a priori al quale tutti gli scrittori dovrebbero adeguarsi. No, la cosa non mi va. E comunque, anche Le millee unanotte hanno una dimensione morale. · I suoi studenti le c·hiedonomai come sifa a costruireu,Ìbuon · romanzo? Sì, e io rispondo che è necessario coltivare l'immaginazione, i cui limiti costituiscono spesso una limitazione, un ostacolo alla 46 creazione. Come ho già detto, ai miei corsi di scrittura creativa partecipano studenti fortemente ispirati da Carver e dai minimalisti, che si pongono ansiosamente il problema di fare qualcosa di nuovo, di superare questi modelli. Una volta Barthelme mi disse che il postmoderno è durato quanto un semestre all'università, e. che quando è morto la notizia ha impiegato soltanto venti secondi a fare il giro della terra. Bene, questi scrittori a cui io insegno a scrivere nei miei workshop, sembrano in preda a un'ansia simile a quella descritta da Barthelme, la paura che tutto stia finendo, e che sia necessario fare immediatamente qualcosa di nuovo dal punto di vistaformale. In definitiva, si può insegnare a qualcuno a scrivere un romanzo? · Il problema di cosa si possa insegnare, rispetto a\ postmoderno diventa difficile: il testo è un qualcosa che davvero non può. essere insegnato. Per lo stesso motivo ho anche detto che forse la nostra cultura non ~a più bisogno di vedere produrre dei testi come Finnegans Wake, con tutte le relative qifficoltà formali. Forse sono stato troppo deciso nel fare questa affermazione; ma a ben pensarci uno dei compiti del romanzo postmoderno, o perlomeno di quello che io intendo come romanzo postmoderno, è di restituire alla scrittura una certa dimensione democratica, che col FinnegansWake mi pare fosse andata perduta. In questo senso il romanzo postmoderno non è più un romanzo sperimentale. Nella storia della letteratura, i grandi ·romanzi sono sempre riusciti a mettere in scena dei grandi problemi, senza richiedere una guida ali~ lettura o un testo che spiegasse al lettore, dal di fuori, a cosa stava andando incontro. · Qualesarebbe allora il compito del romanzo? Compito del romanzo è quelloche già vediamo nella costruzione del Don Chisciotte: colmare la frattura che si c~ea tra scrittori come James Joyce. da una parte, e James Michener Disegno di Michele Valdivia.

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