Linea d'ombra - anno IX - n. 56 - gennaio 1991

LA POLITICA DEL ROMANZO Incontro con John Barth a cura di Roberto Cagliero John Barth, nato nel 1930,ha cominciato a scrivere nella primametàdegli anni '50. Ha insegnato "creative writing" innumerose università, e numerosi scrittori americani sono stati suoi allievi. I suoi romanzi, tra i primi a essere etichettati come 'postmoderni', costituiscono ormai uno dei punti di riferimento della tradizione letteraria contemporanea; mentre i suoi saggi La letteratura dell' esaurimenJo (1967) eLa. letteratura della pie- , nezza (1980) hanno svolto un ruolo fondamentale nel dibattito sul romanzo america- Foto di Gianni Schicchi. no contemporaneo. Sono tradotti in italiano su "Calibano", 7 (1982). Forse, come sostiene Franco La Polla, per la presunta difficoltà di alcune sue opere Barth è destinato a diventare uno di quegli autori "più citati che letti". l suoi romanzi tradotti in italiano sono La fine della strada, Rizzoli 1966 (tr.A. Buzzi); Il coltivatore del Maryland, Rizzoli 1968 (tr. L. Bianciardi); L' operçigalleggiante, Longanesi, 1968 (tr. H. Furst); Giles ragazzo-capra, Rizzoli, 1972 (tr. L. Erba); e La casa del- ['allegria, Rizzoli, 1974 (tr. P. F. Paolini). In uscita The last vojage of Somebody The Sai/or, che verrà tradotto presso Leonardo in La casa dell'allegria; una bellissima frase ci ricorda che è ormai "troppo tardi per impedire che la calotta polare si sciolga. Venezia sprofonda; il Sudamerica esplode". Come a dire che il postmoderno, borgesianamentc, è la condizione in cui tutto è già successo. Abbiamo incontrato lo scrittore a Bologna, dove ha tenuto una conferenza dal titolo I limiti dell'immaginazione. Mi pare che quando qualcuno cerca di tracciare una mappa del romanzo americano contemporaneo, sifinisca sempre con un nulla di fatto. In Italia molti credono che dopo Hemingway ci siano solo i beat e i minimalisti, che pure qualche anno fa lei ha definito come "l'equivalente gringo del boom del romanzo latino americano". Adesso cosa ci suggerisce? Non credo che si possa parlare di direzioni specifiche e riconoscibili, perlomeno non per quella letteratura che prende seriamente il proprio compito. Secondo me quella che è stata chiamata letteratura postmoderna, termine con il quale sia gli scrittori sia i critici intendono le cose più qisparate, costituisce ancora un "movimento" pieno di vitalità. Anche se alcuni di questi scrittori sono morti, per esempio Calvino, ce ne sono molti altri che continuano a lavorare in quella direzione: sono i soliti tipi sospetti, la cui popolarità non ha mai superato una cerchia ristretta. E quando sento Susan Sontag o William Gass parlare di crisi del postmoderno, non credo che si riferiscano allo stile di Calvino o di Garcfa Marquez; credo invece che parlino degli scrittori realisti, dei minimalisti. Mi riferisco naturalmente a Raymond Carver ò a Frederick Barthelme, il fratello più giovane di Donald Barthelme, che fra l'altro è stato un mio studente. Nella narrativa di questi autori non si trova alcuna eco della tradizione •letteraria, le allusioni sono bandite. A parte Hemingway ... Certo, Hemingway è il loro compagno segreto. I minimalisti, che appartengono alla corrente del realismo, provano la stessa avversione di Hemingway per certi generi come il fantastico; però bisogna ricordare che proprio uno scrittore come Carver, nell'ultimo periodo, aveva cominciato a muoversi nella direzione del fantastico. I mfoimalisti, peraltro, sono comicamente ossessionati dalle marche di oggetti; non vi parleranno mai di un paio di scarpe puro e semplice: si sentono in dovere di citarne sempre la marca; i loro personagg~ non vanno mai in macchina, ma salgono su una Toyota color rosa. Parlano sempre dijunk, di spazzatura: vogliono a tutti i costi mettere in scena l' American Trash, l'America come grande contenitore di spazzatura. Ecco dunque gli oggetti della vita americana, i titoli dei programmi televisivi. Certo, fra quattro o cinque anni saranno necessarie le note a pié pagina per poterli leggere. Ma per adesso sembra che tutti vogliano imitarli, o comunque superarli. Così i miei studenti americani producono racconti post-minimalisti, e sono ossessionati dall'idea di fare qualcosa di nuovo proprio a partire dai minimalisti. Un mio.allievo sta scrivendo un romanzo basato su un'idea meravigliosa: le segreterie telefoniche. Ha registrato migliaia di messaggi. Voleva intitolare il libro Dopo il segnale, ma io gli ho suggerito Beep. Lui voleva almeno chiamarlo Beep beep, ma proprio perché vanno di moda i titoli da minimalisti, gli ho spiegato che un beep era più che sufficiente. Come si può fare il punto, allora, sulla forma del romanzo contemporaneo? Dal punto di vista formale tutti i tipi di scrittura, si tratti di autori realisti, minimalisti, fantastici, massimalisti o altro, devono rispondere a uno stesso imperativo, quello della qualità. Di recente Tom Wolfe ha pubblicato un saggio nel quale attacca me e Donald Barthelme (e a dire il vero anche Franz Kafka, cosa di cui sono molto onorato) per avere voltato le spalle alla grande tradizione del romanzo americano che appartiene al socia/ realism, termine con il quale Wolfe intende la grande tradizione che dalla scrittura vittoriana di Thackeray arriva a Theodore Dreiser e a Sinclair Lewis; peccato però che questi siano tutti scrittori di secondaria importanza (quando Thackeray finisce un capitolo dicendo che "le parole non possono descrivere ...", nulla ci vieta di ritenere che un'immaginazione più forte, per esempio quella di Dickens o di Dostoevskij, avrebbe potuto benissimo descrivere in modo indimenticabile quella stessa scena); certo, a questo filone appartengono anche autori bravi come John Updike, che pure ci dà una visione sociologica della letteratura. Di scrittori bravi e di meno bravi se ne trovano all'interno di qualsiasi tradizione. Ma allora la politica del romanzo in cosa consiste? Bisogna ricordare che è possibile, e soprattutto negli Stati 45

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