marzo, mercoledì santo, giorno per sempre memorabile in questo paese, in nome del re Ferdinando IV, è stato abbattuto questo terribile mostro..." (24.10.1964) La vista degli occhi · "Quant'è brutta la vista deglÌ occhi!" è, in Sicilia, un modo proverbiale di esprimere la condizione, e la pena, di chi può soltanto da lontano, e macerandosi nel desiderio, contemplare l'abbondanza, laricchezza, labellezza.Con accentuazionecomica lo si dice al passaggio di una bella donna oppure quando, di una donna, lampeggia un nudo dettaglio. Ma più spesso, con tono doloroso, di fronte all'altrui ricchezza e privilegio; ed anche a giustificazione di chi attenta ai beni altrui. È insomma il grido della povertà e del desiderio: quando si è talmente poveri, o talmente pieni di desiderio, da maledire quella facoltà della vista per cui certe cose del mondo entrano a sollecitare, a provocare, a tentare i sentimenti e gli istinti. Questo modo di dire popolaresco, e il ricordo di quel bellissimo racconto di AnnaMaria Ortese che si intitola, nel libro li mare non bagna Napoli, Un paio di occhiali, avevo in mente mentre visitavo, a San Cataldo, i cinque ragazzi i cui occhi, dalla nascita spenti da una cateratta, hanno acquistato la vista grazie ad un ardito intervento operatorio del dottor Luigi Picardo. Ma in questo nostro tempo in cui i libri, anche quelli buoni, durano, se non lo spazio di un mattino, non più dello spazio di una stagione, non saremo molti a ricordare, dopo undici anni, il racconto dell'Ortese: che è la storia di una bambina di debolissima vista cui finalmente, con grande sacrificio per le ottomila lire che costano, la famiglia si decide a coi:nprareun paio di occhiali; e quando per laprima volta la bambina li mette, ecco la miseria del vicolo, della casa, delle persone che la circondano balzare nel suoocchio netta, precisa, terrificante: un urto, un capogiro, un delirio. E forse, in termini diversi, con diversi riferimenti o ricordi, ·anchequelli che erano con mepensavano la stessa cosa: che questi Disegnodi Selçuk, do Eclols de silence, le Monde 1990. SAGGI/SCIASCIA ragazzi entrano sì nel inondo della luce e viene da pensare, per questa loro scoperta, ai versi del Manzoni: "Come la luce rapida/ Piove di cosa in cosa,/E i color vari suscita/Dovunque si riposa", ma entrano anche in un moqdo in cui la secolare esperienza dei diseredati ha distillato questa espressione disperata, quasi una bestemmia: "Quant'è brutta la vista dègli occhi!". E credo che di ciò un po' tutti, di f!onte ai cinque ragazzi, avvertiamo un senso di responsabilità o di colpa. Poiché vengono da un lungo, oscuro viaggio; e noi non abbiamo unmondo sufficientemente luminoso, cioè sufficientemente giusto, da presentare loro. I messaggi degli inquisiti L'anno scorso, nei giorni in cui, presso l'editore Laterza, usciva il mio libretto sull'Inquisizione e sul caso di fra Diego La Mattina, mi sono trovato a Roma a visitare, alla GaHeriadell '0belisco, la mostra del polacco Marian Warzecha. C'erano molte signore e letterati, e pittori: ma di colpo, tra i quadri delWarzecha, iomi sono sentito come doveva sentirsi il vecchio Pitrè tra lemura del carcere di palazzo Chiaramonte, nei mesi che vi passò a decifrare le scritte dei prigionieri. Perché il mondo di Warzecha, .nato a Cracovia nel 1933, era proprio quello su cui Pitrè si era chinato attento e pietoso: il mondo del carcere, il mondo dell 'Inquisizione. Tra il 1664 e il 1964, nel corso di tre secoli, tre secoli in cui erano passati Cartesio, Kant, l'Enciclopedia, la Rivol uzione Francese, i Risorgimenti nazionali, il Manifesto di Marx, non era dunque accaduto nulla che togliesse all'uomo il peso atroce dell'fnquisizione? Benché nella presentazione del catalogo non se ne facesse parola, non c'era dubbio che i quadri di Wari:echa ossessivamente ripétessero i graffiti e le scritte di un carcere. I dati di una particolare esperienza venivano così portati fuori, di fronte a cdloro che si credevano liberi: e assurgevano a sig~ificato di una · condizioneancora, e per tutti, ttuale.Un avviso, un ammonimento. Si capisce che parlo dell'Inquisizione in senso lato, senza distinguere tra quella religiosa e quella politica (e del resto quella religiosa, di ieri, era anche politica; e quella politica, di oggi, è in certo modo religiosa). Distinzione che, naturalmente, va fatta in sede storica: m~ sul piano umano, quando cioè l'uomo viene privato della libertà, offeso nella sua integrità fisica e morale, inquisito nei suoi sentimenti e nei suoi pensieri, è chiaro che non c'è distinzione e che monsignor J uan Lopez de Cisne,ros,il dottor Himmler, Beria e quanti altri si sono trovati, in tempi remoti o a noi vicini, ad opprimere e ad annientare la libertà del pensiero altrui, appartengono alla storia - folta purtoppo, e continua - del disonore umano. ,. Chi dunque si trova a visitare le tre celle ora riscoperte nel palazzo dello Steri, non senza attuale inquietudine raccoglie i inessaggi dei prigionieri di due secoli or sono: voci di dolore, di rassegnazione, di fierezza, di- ironia; espressioni figurative di fede,di nostalgia, di fantasia. E si è in prima sorpresi dal fatto che in un luogo in cui, secondo le accuse, dovevano raccogliersi i campioni dell'eretica pravità, i bestemmiatori, i rei di pratiche e commerci col diavolo in persona, restino tante espressioni di --- devozione, di preghiera. "Voi solo S. Giovanni mi guardate con 43
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