SAGGI/CONSOLO Borgese, Brancati, ancora lui (con la sua corrosiva ironia che però a ogni passo, a ogni rigo tracima nel comico più irrefrenabile e fragoroso. Il quale, si sa, è la controfaccia del tragtco, categoria primigenia del sentimento), Savinio, Flaiano, Calvino, Sciascia ... Tu,ttiscrittori giunti i~ Italia, dopo un più o meno lungo soggiorno all'estero, valicando le scabrose e impervie Alpi del grande pensiero europeo, pensiero che, partendo dalle cime di Montaigne e Cartesio, trovava la sua più prossima catena negli illuministi, francesi, tedeschi o inglesi, a cui si innestava l'Appennino italiano. Tornati, temprati e agili, quegli scrittori guardavano la realtà (la realtà italiana) con gli occhi limpidi, con mente sgombra da superstizioni o mitologie. Scrittori nei quali la voce si appoggiava sulla nota della ragione, si modulava nel timbro dell'ironia. Nota e timbro poi, in ognuno espressi con più o meno calore e passione, con più o meno leggerezza o grazia, facevano sì che la frase conoscesse cadute o interruzioni per cbrti circuiti (nessuno" di questi scrittori ha una Duèhessa di Leyra mai scritta, ma qualcuno può aver lasciato incompiuto, per il compiersi della sua vita,! giganti della montagna o Paolo il caldo), che la frase fosse sempre uguale in qualsiasi genere letterario, racconto o saggio, o su qualsiasi platea, libro o giornale (poteva solo a volte, la voce, per eccesso e compiaGenza di bravura, incanalarsi nei labirinti senza uscita del puro divertimento o dell'eleganza acrobatica, fino a perdersi negli infiniti echi di se stessa). Fra gli scrittori sopra citati il caso più miracoloso ci sembra quello di Leonardo Sciascia. Miracoloso perché sorto in un luogo estremo come la Sicilia, in un paese sperduto e spoglio della provincia di Girgenti come Racalmuto, in un periodo oscuro e ingrato come quello nostro fra gli anni Venti e Quaranta (e ci soccorre sempre Brancali, per capire proprio quella provincia e quel tempo,conLanoiadel '937econSogno di_unvalzer). Come ha fatto, Sciascia, a venir fuori da quel luogo e da quel tempo? "Dal momento in cui appresi a leggere, credo di aver letto - tra gli otto e i quattordici anni - tutta la carta stampata su cui riuscivo a mettere le mani. Non era molta: non più di trecento libri in tutto, nel giro della mia parentela. Ma tra questi trecento ce n'erano una decina che furono per me importantissimi" dirà a Marcelle Padovani nell'intervista Sicilia come metafora. E quei dieci libri bastarono, oltre ad aprirgli gli occhi sul mondo, a insegnargli a procedere sicuro sul mare della cultura, a scansare tutti gli scogli e le secche delle carte inutili e divagatorie. Da quei libri comincia l'avventura o il destino di lettore di Sciascia. Di lettore totale, di intellettuale che ha letto e domina "tous les livres". Libri che, distillati, si trasferiscono nelle sue pagine (di riscrittura egli parlava) senza portare segni molesti di fatica, olezzi di letteratura o pesi d'erudizione. Crediamo che a dare aria e luce, verità alle sue pagine, a far coincidere la carta con la terra, la scrittura con la vita, sia intervenuto in Sciascia, spalancato davanti ai suoi occhi avidi di leggere e di capire, quell' affascinante ma tremendo, amato ma sibillino libro che è la Sicilia. E da qui partiva, dalla Sicilia "siciliana", che egli faceva nascere con la dominazione musulmana, da questa realtà, da questa storia: analizzandola con i chiari e sicuri strumenti della ragione, con la passione della libertà e con l'ideologia della verità. Man mano poi che l'Italia, l'Europa, questa nostra epoca, nelle oscurità, nelle atrocità, nel sonno e nella sconfitta della ragione, andavano somigliando alla Sicilia, ecco che i suoi racconti, i suoi pamph40 lets, i suoi saggi si facevano specchio e denuncia della nostra società. Quaderno si chiamava la rubrica settimanale tenuta da Sciascia sul giornale "L'ora" dall'ottobre 1964 al novembre 1968, rubrica qui ora raccolta in volume. E il nome quaderno, al di là del senso letterale, dei quattro interventi mensili che lo giustificano etimologicamente, al di là della versione francese cahier che in tanti altri sensi lo fa risuonare, quaderno vògliamo credère alluda al pirandelliano Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Ma quaderno anche nel senso di diario, di lettere al direttore, come quelle che dal suo volontario esilio oppositivo di Caltanissetta inviava Brancali alla rivista "Omnibus". All'inizio del 1964 Sciascia aveva pubblicato Morte dell'inquisitore. "Così, all'immagine di un antenato ideale, l'eretico fra Diego La Matina, sarà materialmente e simbolicamente collegata la rappresentazione attuale del paese natio posta da Sciascia a fondamento dell'intera opera sua" annota Claude Ambroise. E a Racalmuto aveva già scritto, Sciascia.Le parrocchie di Regalpetra, Gli zii di Sicilia, Il.giorno della civetta, Il consiglio d'Egitto; a Racalmuto scriverà tutti i suoi libri a venire: in un paese, in unà zona, in una condizione ereticale, di eresia nei confronti del potere, della cultura dominante, forte com' egli è, e sicuro, di una sua cultura, di una sua verità. Anche questo Quaderno, queste corrispondenze sono inviate da Racalmuto; sono, esse, un capitolo delle sue lettere luterane, dei suoi scritti corsari, del suo empirismo eretico. Sono spunti di conversazioni, di polemiche che gli sono fomiti da eventi politici, da condizioni storiche e sociali, da fatti di cronaca, più o meno "nera". E soffermandoci al "più", e in Sicilia, e a Gela, dove, oggi 28 novembre 1990- giorno in cui stiamo scrivendo questa notai giornali annunciano in prima pagina, la mafia ha compiuto una strage, che otto assassinii e sette gravi ferimenti sono stati perpetrati durante la notte in quella infelice cittadina, dobbiamo sottolineare la corrispondenza del 3 aprile 1965 di questo Quaderno. In essa Sciascia polemizza con il giornalista o sindacalista Fidia Sassano, che dalle colonne dell'"Avanti!" rimproverava allo scrittore una pessimistica visione nella soluzione degli annosi problemi della Sicilia. E portava, il Sassano, come fatto concreto e tangibile a cui appuntare speranza e ottimismo, il "colosso europeo" che era a quel tempo il complesso petrolchimico dell'ENI a Gela (era davvero un convinto sostenitore delle "magnifiche sorti e progressive"). Ma i frutti di quel colosso, e così pure i frutti degli altri colossi di Priolo e Melilli, che niente hanno avuto a che fare con la realtà siciliana, se non nel senso dello sconvolgimento ambientale, sociale, economico e culturale che quei paesi hanno subito, così come aveva preconizzato Sciascia, sono le stragi di ieri e di oggi della mafia, della malavita organizzata, a Gela e altrove. Per la quale malavita, un famoso giornalista di un'autorevole testata nazionale, non immaginando che possano esisterne altre, invoca una soluz_ionedi tipo militare, vale a dire uno stato di assedio delf'Isola. Come se quest'Isola, trattata da sempre come colonia, non fosse stata da sempre assediata: dalla violenza del potere industriale e finanziario del nord, dalla violen7.amafiosa del potere politico di Roma e del suo corrispettivo di Palermo. Poteri contro i quali Sciascia aveva scritto per tutta la sua vita, contro i quali "s'era rotta la testa", come il capitano Bellodi de Il giorno della civetta.
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