Spionaggioanni Trenta tra Romae Mosca Marcello Flores Ecco finalmente un libro (Giorgio _Fabre, Roma e Mosca.Lo spionaggio fascista in Urss e il caso Guarnaschelli, Dedalo 1990, pp. 370, L. 28.000) da discutere, che si apprezza pur non sempre condividendolo, che pone problemi seri di interpretazione e metodologia, che affronta un periodo cruciale e pieno di contraddizioni non ancora sufficientemente esplorate, che gira attorno a temi vasti come il fascismo, l'Urss, il partito comunista. Per la prima volta., questa è la novità più consistente, la questione dello spionaggio fascista è analizzata in modo diretto, sulla base di una ampia documentazione in gran parte sconosciuta, cercando di collegare il tema del rafforzamento dello stato fascista con quello della repressione comunista e antifascista. Si tratta di vicende caratterizzate da.una "ambiguità delle situazioni", come sottolinea l'autore, che dovrebbe essere tenuta costantemente presente dagli storici di questo periodo: "mai come in questi casi ci si muove nelle sabbie mobili del doppio gioco, del tradimento, dell'ambiguità dei testi, dell'informazione lacunosa e problematica". . È proprio questa ambiguità che occorre indagare più a fondo, e che a volte, per amore di ·coerenza e di compiutezza, lo stesso Fabre, forse, non riconosce del tutto. Proprio la stima per il lavoro da lui svolto mi suggerisce di discutere le riserve e i dubbi che la ricerca suscita piuttosto che di sottolinearne i pregi. Anche se devo ricordare almeno le osservazioni più che pertinenti sulla diplomazia italiana e sui suoi carattep, sulla storiografia e memorialistica (da Vita-Pinzi a De Felice), sul ruolo e la figura di Attolico che muta la strategia del!' amb~ciata fascista a Mosca. La ricostruzione dei singoli avvenimenti, la giustapposizione dei documenti e del materiale ritrovati negli archivi fascisti, la sottolineatura delle contraddizioni quando non addirittura delle menzogne che hanno accompagnato le vicissitudini storiografiche legate al caso Guarnaschelli, illuminano a sufficienza sulla necessità di fuoriuscire dalle categorie con cui finora si è affrontato questo problema, le categorie, cioè, con cui i contemporanei - fascisti, esuli, comunisti italiani, autorità sovietiche - lo hanno fotografato e tramandato. Fabre utilizza, a proposito di Guarnaschelli, il termine di ravveduto: probabilmente il più esatto, se non lo ponesse come ultimo gradino di una scala formata da "pentiti, spie, traditori". È infatti più a livello linguistico che interpretativo, più sul versante delle "sensazioni" e delle simpatie emotive che su quello propria~ mente storiografico che il resoconto di Fabre non è del tutto condivisibile; in quello che suggerisce più che in quello che verifica. Al fondo, credo, vi è la valutazione-tutta morale e politica, più che storiografica - che CONFRONTI il rivolgersi all'ambasciata italiana a Mosca, cioè all'ambasciata fascista, costituisse di per sé una colpa, un'onta incancellabile, ampiamente giustificatoria degli atteggiamenti sospettosi e delatori dei comunisti italiani e dei comportamenti repressivi degli agenti e funzionari sovietici. Dal momento che alcuni - parecchi? - antistalinisti (e cioè critici dell'Urss divenuti tali a Mosca o a Odessa tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta, nel mezzo di quello sconvolgimento sociale prima ancora che politico che fu il primo piano quinquennale e la collettivizzazione) divennero spie o informatori del regime fascista in cambio della salvezza in Italia, non si può condannare chi sospettò di.tutti gli antistalinisti, chi suppose che dietro ogni critico si nascondesse un traditore in l;lttO o in potenza. Il risultato, accanto - lo ripeto - a documenti, prove, informazioni di grande valore e · interesse, è quello di giustificare nel suo complesso il comportamento dei comunisti italiani in Russia, di legittimare l'idea che non vi fosse spazio reale che per parteggiare con gli uni o con gli altri (almeno per gli italiani a Mosca: o con il regime di Stalin o con il fascismo). Fabre non dice questo esplicitamente, anzi sottolinea come il destino di alcuni bordighisti e trotskisti fu più facile e felice di quello di Guarnaschelli o anche di un redivivo come Dante Comeli. Ma si tratta di una conclusione suggerita più e più volte, che trova il suo epilogo nella esposizione, per nulla critica, anzi lievemente solidale, della posizione espressa da Togliatti nel 1931, in occasione delle polemiche sul caso Ghezzi. Per Togliatti "la dittatura è una conquista della rivoluzione" che vadifesaconogni mezzo, e "chiedere le prove per la condanna di Ghezzi vuol dire sostenere che ogni singolo atto del governo dei soviet deve essere sottoposto a un controllo pubblico. È evidente che a una richiesta di questo genere non possono essere favorevoli altro che i nemici del regime dei soviet e della dittatura proletaria". In (½Uestaprosa di Togliatti è concentrato tutto il suo stalinismo, la sua lontananza da Gramsci, la sua gesuitica giustificazione della repressione e più tardi del Terrore. Ed è a fronte di questo atteggiamento, oltre ben inteso che della realtà dell'Urss di quegli anni, che Guarnaschelli e altri - in modo più o meno ambiguo e risoluto, più o meno antisovietico e più o meno filoitaliano - si ravvedono, ovverossia trovano nell'ambasciata italiana l'unico punto di riferimento su cui far leva per sperare di tornare in Italia. Che antifascisti di provata fede abbiano 33
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