Linea d'ombra - anno IX - n. 56 - gennaio 1991

CONFRONTI Moralecontromoralismo. Il futuro della teologia secondoHéiring Alberto Gallas Amolti cattolici "medi", frequentatoridelle parrocchie e delle messe domenicali, Bemard Haring è noto per aver tenuto a lungo una rubrica su "Famiglia cristiana" - uno dei settimanali a più alta tiratura in Italia, pur vendendo più copie sul sagrato delle chiese che nelle edicole-dove rispondeva alle domande su questiorù di etica e di teologia morale poste dai lettori. Ricordo un suo incontro a Venezia con gli studenti della FUCI (l'organizzazione degli urùversitari cattolici inserita nell'Azione cattolica), negli anni caldi del post-concilio, in cui un mio compagno di allora nella militanza ecclesiale, Nico Romanelli, gli chiese pe~ché mai lui, un teologo di punta, scrivesse su una rivista "moderata" (ma il ruolo di "Famiglia cri.stiana" e del suo cugino mensile "Jesus" nella formazione dell'opinione pubblica cattolica· è, ancor oggi, troppo complesso e, anzi, contraddittorio per esser fotografato con questa_etichetta). La risposta fu: semplicemente perché non esisteva, in Italia, nes~unaltro foglio a larga diffusione su cui scrivere di quegli argomenti. Sono stati proprio alcurù di questi articoli, brevi e chiari, dedicati alla contraccezione, in cui si negava che per un cattolico essa rappresenti sempre e comunque una "colpa", aprovocare uno dei numerosi interventi della Sacra congregazione per la dottrina della fede - diretta allora dal cardinal Seper e oggi da Ratzinger -contro di lui. La storia di un conflitto lungo, doloroso, anche se conclusosi senza condanne, viene ripercorsa da Haring - che è voluto restare sempre a pieno titolo denJro la chiesa cattolica - nella lunga intervista rilasciata a Sante Licheri e pubblicata col titolo Fede storia morale (Boria, Roma 1989). In Appendice al volume -nel quale affiora qua e là qualche concessione al narcisismo, che il lettore è disposto a perdonare subito - è raccolto il carteggio con le autorità romane: una lettura qualche volta addirittura divertente, per la goffaggine e i fraintendimenti quasi surreali di cui alcurù accusatori romarù sanno dare prova. Più recente è la polemica di Haring con il moralista Caffarra (su quest'ultimo vedi "Linea d'ombra" n. 50, p. 32) a proposito della "coscienza creativa", cioè sul ruolo che spetta alla coscienza nell'individuare il "bene" e il "male" (cfr "Il Regno-Attualità", 8/1989). È stato uno scontro, non concluso, non solo tra due modi di concepire la fede, ma tra due visioni del mondo: da una parte l'idea di una verità oggettiva capace di essere tradotta, sul piano etico, in norme univoche e principi assoluti, dall'altra l'idea che la verità, pur non nascendo semplicemente dal "consenso", non essendo cioè solo soggettiva, è afferrabile soltanto per approssimazione, tanto più quando venga considerata sul piano dei comportamenti 32 Foto City Limits. tiorali. Per i problemi etici "storicamente condizionati" non esiste una soluzione definitiva, ma semplicemente la soluzione "di volta in volta migliore e tollerabile". In un altro volume, l'ultimo da lui pubblicato, Teologia morale verso il terzo millennio (Morcelliana, Brescia 1990), Ha.ring fa largo uso di una delle sue formule preferite, "reciprocità delle coscienze", per disegnare il profilo di un'etica non legalista, verso cui auspica proceda il cammino futuro della chiesa. La vita è "dialogo, rapporto, interazione", ciascun uomo, nella ricerca del vero, del bene, del bello, deve fare proprio anche il punto di vista dell'altro. Il modello di riferimento è Gandhi, con la sua integrazione di satyagraha (forza della verità, parresìa) e ahimsa (amore), che gli ha permessodi vivere, insieme, la fedeltà "alla propria coscienza... e all'arte di risvegliare la coscienza degli altri". Ha.ring si serve di queste idee per andareoltre l'ambito personale della coscienza e investire quello della critica politica, mettendo sotto tiro i processi di autolegittimazione abituali ali' interno delle strutture gerarchiche e ovunque si dia un'autorità dotata di potere decisionale, sia di natura religiosa che laica: "Una delle maggiori minacce del genere umano è costituita da quelle persone e da quei gruppi di potere che si trincerano in una pseudo-innocenza e autogiustizia, alpunto di sacralizzare ogrù tipo di violenza, di tortura, di guerra insensata". Un contributo specifico all'individuazione delle radici di questi processi, Haring lo dà, in quanto teologo morale, con la critica al modo autoritario, impositivo e anche violenJocon cui una lunga tradizione ha presentato le conseguenze etiche del vangelo. È la morale che si gioca tutta tra l'ordine e il divieto. Quanti, credenti e non, non risponderebbero che questa è la forma tipica della morale religiosa? Nel caso del cristianesimo, paradossale è il fatto che questa morale pretenda di collegarsi all' annuncio evangelico, dove la polemica contro 1'assolutizzazione della legge e delle norme e la loro sacralizzazione occupa un ruolo centrale, e contribuisce a determinare lo stesso tragico destino di Gesù, su cui si abbatte la reazione violenta delle autorità religiose costituite da lui direttamente prese di mira: "Guai a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi· insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!" (Vangelo di Luca, 11,48). Una morale fondata autenticamente sul Nuovo Testamento si presenta invece come esortazione, consolazione, incoraggiamento, o, più propriamente, come paràclesi. Non: tu devi, ma: tu puoi portare frutto nello spirito. Questo è un punto rilevante per il dialogo ecumenico, perché si connette alla secolare polemica sulle "opere". Ha.ringnon accoglie la distinzione tra"imperativo" e "indicativo", cara alla teologia protestante del Novecento ma, discutendo con Bultmann, cerca di fare un passo ulteriore nella stessa direzione di marcia. Paràclesi sta a dire che l'impegno morale originatodal vangelo non è uno sforzo imposto dal precetto, compiuto per guadagnare dei meriti, maè un agire suscitato dalla forzaattrattivadel volto di Dio, che si colloca nella sfera della gratuità; per questo la morale evangelica è costitutivamente nonviolenta. Nessuno può operare, e tanto meno essere chiamato a farlo, in conformità alla volontà di Dio, se in ciò non trova gusto. Sembra quasi di risentire la critica del giovane Hegel al "tu devi" kantiano, in nome della sensibilità. Come aveva già visto il salmista: "quanto amo la tua legge, Signore ..." (Salmo 119, 97). Nelle pagine di ambedue i volumi che stiamo esaminando emerge continuamente il problema del rapporto tra credenti e non credenti in ordine all'agire morale. Le risposte sono sempre date sulla linea della solidarietà, che si collega all'idea di reciprocità delle coscienze. Anche il legalismo è un problema comune, e interessa credenti e non credenti in modo trasversale. Un cristiano che vive con coscienza libera la sua fede può incontrare un noncristiano dalla coscienza vigilante: costoro si troveranno urùti da "una coscienziosa solidarietà nel cercare la verità e soluzioni ai problemi vitali secondo verità". Ma un altro cristiano, che vive secondo un'idea eteronoma della morale, può incontrare un noncristiano che vive "sotto la legge", condizionato dalla pressione del suo ambiente. Si avrà allora "un contrasto clamoroso tra due super-io". Teologia morale verso il terzo miIIennio si chiude con una.pagina in cui il vecchio teologo (Haring è nato nel 1913) sembra voler affidare il suo testamento spirituale ai moralisti del futuro. Solo chi conosce la "bellezza attrattiva della pace", vi leggiamo, sarà capace "di unire allosmascheramento delle ingiustizie una grande compassione con chi è caduto nella trappola .di violenza o di viltà". Parole di raro sapore gandhiano.

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