CONFRONTI inimmaginabile per i loro equivalenti italiani. Significa anche che se si tiene conto dell'accesso al mercato della casa, il famoso "sorpasso" della Gran Bretagna da parte dell'Italia deve ancora avvenire, anche se la tendenza è indubbiamente quella (un fatto più significativo è semmai che il reddito pro capite della Lombar~ dia superi adesso quello del Sud-est inglese. C'è stato indubbiamente un peggioramento nelle condizioni di accesso al mercato della casa per i giovani inglesi, ma ci vorranno più di vent'anni prima che gli inglesi comincino ad avvicinarsi a una situazione paragonabile a quella italiana. La tenuta del solidarismo familistico italiano, tanto cara ai turisti stranieri, si basa innanzi tutto sul mercato della casa. Gli italiani non hanno mai avuto bisogno di una Thatcher. La Thatcher ce l'hanno sempre avuta. Un aspetto più generale che meriterebbe di essere chiarito è la posizione dell'Inghilterra come un altro paese o come l'altro paese per eccellenza. La curiosità per l'Inghilterra non è nata e non è cresciuta in Italia (e in gran parte d'Europa) per puro caso. L'Inghilterra fu il primo paese a fare la rivoluzione industriale. Per moltissimi anni continuò a essere il primo paese in moltissimi campi. È stato insomma il laboratorio del mondo moderno. La scelta del confronto con l'Inghilterra non è quindi per nulla casuale o neutrale e neppure un incidente biografico. E uno dei punti di passaggio obbligati per chiunque voglia capire il mondo moderno. Nella discussione sugli hooligans Eve osserva che "controlli più stabili e onnicomprensivi non sono del tutto positivi, e c'è talvolta un senso di libertà nella vita inglese che è molto prezioso, ma che, come si è visto, crea anche dei problemi". È una osservazione che illustra perfettamente l'ambiguità (e quindi anche il lato positivo) di molti aspetti della vita inglese che appaiono arcaici agli stranieri e agli inglesi più sofisticati. Capire gli inglesi vuol dire proprio capire queste ambiguità. Barrio d~lle meraviglie Scrittori spagnoli d'oggi Danilo Manera La Spagna va Da quasi un decennio, questa Spagna finalmente arrivata alla democrazia incuriosisce in modo sempre più massivo, dal turismo agli affari. Si plaude al "miracolo" capace di trasformare una provincia impacciata e sonnolenta in un paese che moltiplica produzione e scambi, concede prestiti, diffonde look e programma faraoniche fiest:?s cultural-sportive. Poco importa se tanta effervescenza nasconde (oltre alla greve e non liquidata eredità franchista, col suo tronfio apparato militar-poliziesco e i danni arrecati al paesaggio naturale e morale) seri problemi sociali e ambientali, di prassi politiça, etica economica e qualità e indipendenza dell'informazione. L'euforia delle energie liberate, della carta bianca al mercato, ha prevalso sulla difficile opzione di gestire uno sviluppo più sostenibile e immaginato per lo specifico nazionale proprio in base alle potenzialità rimaste a lungo inespresse. Cambiando in fretta alcuni radicati tratti di costume, la Spagna si è allineata agli stati europei cosiddetti più avanzati, avviandosi ad ass~merne spensieratamente anche le caratteristiche meno nobili. E dunque sempre più a portata di mano, simile a noi e comprensibile. Si è destato così un considerevole interesse anche per la vita culturale spagnola recente. L'immagine artistica della Spagna viveva soprattutto sugli allori delle arti figurative e della straordinaria stagione poetica del primo Novecento, cui si erano andati aggiungendo singoli fenomeni importanti nel campo della musica e del cinema. Da ultima, aprendosi un varco tra la lussurreggiante presen~a latinoamericana, si fa strada la narrativa (mentre si profila già l'incontro n_onpiù solo casuale con la saggistica, da cui verranno molte sorprese). Se la letteratura italiana, soprattutto tramite l'intellighenzia barcellonese, giungeva tempestivamente in Spagna, ora si può contraccambiare grazie al nuovo dinamismo delle case editrici spagnole (che hanno moltiplicato le collane, imparando alla svelta sia la confezione accattivante del prodotto medio o basso sia gli sconsolanti meccanismi promozionali in uso) e grazie allo sbarco di editori italiani tra i media dei nostri "cugini". I tìtoli di narrativa tradotti da noi, ben rari fino a pochi anni fa, sono comunque, aumentati tanto da permettere una sommaria carrellata citando preferentemente libri accessibili al lettore italiano. Va da sé che non mi propongo di essere esaustivo, 28 ma solo di informare su alcuni aspetti di una scena letteraria che appare per molti versi più vivace di quella che ci circonda, benché si debba già confrontare con l'appiattimento e involgarimento consoni alla corrotta opulenza di fine secolo, in grado d'erodere ogni identità e densità culturale (un segnale preoccupante potrebbe essere la crescente difficoltà d'indicare opere che affondino nella realtà sociale immediata e bruciante, di fronte al proliferare di schemi che si prestano invece all'elusione-evasione verso l'usa e getta più trito o lo sfoggio solipsistico). Due casi rumorosi Il primo è il Nobel 1989 a Camilo José Cela,personaggio onnipresente da mezzo secolo nella vita letteraria, con un opaco rapporto col potere e atteggiamenti di irritante vanità. La porzione più convincente della sua opera copiosa ed estremamente diseguale - a parte una splendida relazione di viaggio, Viaje a la Alcarria (1948) - è quella che interpreta una Spagna scomparsa, ma rivelatrice di costanti ancora attive. Mi riferisco alla storia racappricciante dell'antieroe emarginato di Lafamiglia di Pascual Duarte (1942, Einaudi 1982), di cui più che i crimini importa la lotta per arrivare a dirsi, o al mondo di barbarie, sensualità e trivialità ritratto nel tragicomico e torvo grottesco dei quadretti di El gallego y su cuadrilla (1955) o ancora all'umanità senza speranze di L'alveare (1951, Einaudi 1990): una Madrid meschina e sbandata, in un freddo inverno dei primi anni Quaranta, brulicante di poveracci, prostitute più o meno improvvisate, imbroglioni e bambini che cantano motivetti in strada per un soldo. Cela non è fatto per seri vere romanzi in senso tradizionale, né dà risultati apprezzabili in testi sperimentali (come Oficio de tinieblas 5, del 1973). Non gli fanno in genere troppo onore nemmeno i racconti: francamente stadenti gli Undici racconti sul calcio (1963, Leonardo 1990) e non molto più invitanti quelli di Divieto di accesso ai non addetti ai lavori (Marcos y Marcos 1989). La sua dimensione narrativa ideale è quella dello sciame o torrente di episodi, più o meno collegati tra loro e prolungabile all'infinito, versione elaborata del modulo popolare noto in Spagna come "cuento de la buena pipa". Ma anche qui, col tempo, le sue pagine tumultuose e torbide si sono fatte estenuantemente monotone (nomi e toponimi si ripetono in maniera assillante), ad
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