IL CONTESTO credono sia sufficiente conoscere "alla buona", ma che in realtà sono assai più interessanti, precisi, curiosi e complessi, e assai meno ovvi, di quanto creda il non-psicologo. In pratica, cioè, bisogna cominciare col far riferimento soprattutto al problema, oggi assai dibattuto, della costruzione sociale della conoscenza, e in quest'ambito riferirsi al tema psicologico - che è ben preciso e complesso -.dell'atteggiamento in generale, come fenomeno psicosociale basilare e, di qui, a quegli atteggiamenti pàrticolari che sono gli stereotipi, e da essi a quegli stereotipi particolari che sono i pregiudizi, e specificamente ai pregiudizi etnici, e di qui ancora alla loro funzione nelle dinamiche e negli equilibri di gruppo e di comunità, e - infine - alla loro attivazione aggressiva in circostanze psico-sociali di un certo tipo, dove entrano in giocò in modo spiccato anche altri fenomeni del tutto specifici come la scissione e la proiezione. Questi temi che ho delineato sono i titoli dei vari capitoli di una possibile descrizione della struttura psicologica generale del razzismo: e insisto sul fatto che molti aspetti di questa struttura sono diversi da quello che il profano crede sapere attraverso l'intuizione e il semplice buon senso. Dunque, se ci si vuole addentrare nel campo della psicologia, non basta improvvisare una serie di osservazioni marginali, sia pure azzeccate e intelligenti: bisogna essere un poco. più sistematici e avere qualche seria dimestichezza con precisi settori di questa disciplina). · Anche al di fuori del libro di Balbo e Manconi si può osservare, che il tipo di trattazione corrente del problema, cronachistica e di buon senso, presenta l'ambiguo vantaggio di non discutere mai la questione più elementare, cioè in cosa consista il problema stesso di cui ci si sta occupando. È anzitutto il problema dell'immigrazione? È invece anzitutto-e non è affatto lo stesso -il problema del razzismo risorgente? È esso invece, ed ecco una terza ipotesi, il problema di un apparato statale e civile inefficiente, soprattutto nel Sud, per cui il tema del razzismo non potrebbe essere altro che un aspetto di un nodo più grave, quello che consiste nella conflittualità che deriva non tanto dalla immigrazione quanto dalla corruzione e dal degrado della vita pubblica? Nessuno ha finora chiarito se il problema di fondo sia in primo luogo strutturale oppure all'opposto culturale, di conflitti materiali oppure invece di mentalità: cioè se esso vada visto preferibilmente nel suo versante oggettivo (relativo cioè alle tensioni e ai conflitti di interessi che nascono inevitabilmente quando si verifichi una massiccia immigrazione di nuovi poveri in un paese squinternato come il nostro), o se vada visto invece nel suo versante soggettivo, cioè come dilagare - per i motivi più diversi - di una "psicologia dell 'intolleranza etnica" (leggi: razzismo) fra persone che invece potrebbero • benissimo andare d'accordo' fra loro. Nel primo caso sono necessari provvedimenti politici, amministrativi, assistenziali; nel secondo caso provvedimenti educativi e rieducativi, e cioè di natura puramente pedagogica, o di addestramento, o - a essere ottimisti - di semplice esortazione alla tolleranza. Di qui nasce la mancanza di chiarezza su un punto ulteriore, più spinoso e molto pratico e preciso: quello se sia bene o no porre una barriera assai più alta e rigida, quantitativa ma soprattutto qualitativa, rispetto ali' arrivo di extracomunitari nelle terre italiche. Questa barriera attualmente non funziona o funziona male, ma non se ne parla molto, forse in attesa che il governo agisca; e non si è lontani dal vero se si osserva che sono molto più numerose le persone che ritengono che questa barriera andrebbe posta, che le persone che hanno il coraggio di dirlo apertamente. In particolare, i democratici di sinistra, come Manconi, se la cavano, in genere, affermando che. l'Italia è certamente in grado di assorbire ancora molti altri immigrati prima di arrivare a una vera soglia di non~ricettività e d'intolleranza; ma questo loro parere, che è comunque discutibile, è un modo per accantonare il problema e per mettersi, ma solo temporaneamente, al riparo da ogni rimprovero di mancanza di solidarietà col terzo mondo. Questo parere, infatti, sposta solo la questione della soglia di un paio d'anni ne li 'immediato futuro, beninteso a voler essere ottimisti. Troppo comodo, vien fatto di dire: perché allora non occuparsene subito? La severità di Manconi verso le posizioni dei repubblicani del Pri sarebbe stata più attendibile se egli avesse sostenuto che, oltre a non essere d'accordo sulle loro tesi di fondo (che sono allarmiste sul problema dell'immigrazione oltre che xenofobe in generale e anti-arabe 24 in particolare), egli è addirittura d'accordo con le tesi opposte, ovvero con ciò che si sostiene in taluni ambienti cattolici e della sinistra, e cioè che bisogna abbracciare una sorta di internazionalismo evangelico, in pratica una politica di frontiere aperte. Però Manconi sa che questa posizione aperturista è - a dirla con brutalità - una irresponsabile sciocchezza: ma evita di prendere posizione, probabilmente perché non vuole essere accusato di essere antidemocratico e sciovinista, se non razzista lui stesso. Egli non ama i repubblicani, come non Ii ama chi qui scrive, ma io sospetto che egli sia, come me e tanti altri, più prossimo alle tesi repubblicane· di quanto non voglia e non vogliamo ammettere. Probabilmente pensa anche lui quello che pensa ogni persona sensata, e cioè che il nostro paese non è in grado di accogliere un numero rilevante di immigrati extracomunitari, perché I'Italia è minacciata dalla prospettiva di una conflittualità ancora meno governabile di quella attuale, col rischio che si vanifichino le già fragili prospettive di miglioramento della giustizia sociale, in particolare nel Sud. A partire da tutto questo, è giocoforza avanzare un'ipotesi: cioè che il problema del razzismo non è in Italia primario, ma secondario. Il problema primario è infatti quello dell'immigrazione in un paese sgangherato e già lacerato all'interno. Da noi, lo sappiamo, si producono e scorrono fiumi di miliardi, ma ospedali, scuole, università, burocrazia, edilizia agevolata, uffici e centri di tutela sociale, sono quasi ovunque in una situazione di cronico disastro. In questa situazione l'immigrazione, beninteso di mano d'opera non qualificata, non solo rischia di allontanare le prospettive di risanamento e di contribuire - non da sola, certo - a portare I'Italia al collasso, ma ha l'inconveniente aggiuntivo di tendere a spostare il terreno della protesta e della rivendicazione popolare su temi regressivi, e tipicamente sull'ostilità verso gli stranieri. In ogni caso si può sostenere che da noi il razzismo emerge, e, se le cose vanno come ora, emergerà sempre più acutamente come conseguenza (certo non correggibile con gli inviti alla civiltà, alla tolleranza e al civismo) di contraddizioni oggettive, non già soggettive. Il razzismo, una volta di più, non è dunque tanto una causa quanto una conseguenza. Trattarlo come un problema autonomo serve solo a creare un falso unanimismo esortativo che non intacca le radici vere dell'intolleranza fra meridionali e settentrionali, extracomunitari e italiani. Nota. Vorrei ringraziare Mario Miegge, al quale debbo la messa a punto di alcune idee di questo scritto. UNA RISPOSTA Laur.a Balbo e Luigi Manconi Il nostro libro espone in modo circostanziato le proprie intenzioni, l'ambito storico-politico a cui si applica e il periodo considerato: estate '89-estate '90. Questo perché con l'autunno 1990 si chiude una fase: "pensiamo che in questo momento di passaggio sia possibile influire, in qualche misura, sull'esito. Ciò che facciamo è un'operazione di in- . grandimento dei tratti di questa fase, dei suoi processi e attori, evidenziando dettagli, elementi di sfondo, complicazioni che rischiano di sfuggire" (p.9). Ci si può rimproverare dunque questa scelta o dissentire da come la si è perseguita, maci sembra singolare criticare il fatto di non aver compiuto una scelta diversa. Lo faremo dopo, Io faremo altrove, lo faranno altri, ma cosa c'entra col contenuto del libro? E non solo: come diciamo e ripetiamo insistentemente, il nostro non è un libro sul- /' immigrazione né sugli·immigrati. È un ibro sulle reazioni in atto - e su quelle che si possono intravvedere, scorgere, cogliere - tra gli italiani che si misurano, volenti o nolenti, con la questione dell 'immigrazione. Dunque, il libro intende studiare I"'impatto" tra italiani ed extra-comunitari nella fase da noi (e non solo da noi) ritenuta cruciale: appunto il periodo che va dall'estate '89 all'estate '90. Jervis riconosce che questo è "un confine che gli autori potrebbero anche aver assunto con-
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