in ultima analisi sembrano essere prevalentemente quello che proprio loro dicono : cioè l'espressione di un conflitto fra il successo crescente nello sforzo di adeguamento ai ritmi capitalisti e ai valori "europei" di una parte dell'Italia del Nord, e il carattere inefficiente e largamente parassitario di gran parte delle strutture pubbliche nazionali (dal governo stesso ai grandi Enti), ancora dominate dalle tradizioni e dalle caste del notabilato meridionale. Il fatto è però, anche qui, che le "leghe", pur non essendo certamente un prodotto del razzismo, ma di ben altri fattori storici, tendono a produrre razzismo. E questo non può che sollevare qualche inquietudine. La difficoltà di coesistenza degli autoctoni con gli immigrati nonitaliani, che è un problema relativamente nuovo per l'Italia, induce la pubblicazione di documentazioni, e di alcuni 'tentativi di sistematizzazione del problema. I tentativi correnti ·di interpretazione del tema generale non sono però sempre molto soddisfacenti. Gli allarmi sul razzismo in Italia funzionano prevalentemente come un richiamo generico alla tolleranza; essi soccombono quindi molto volentieri a generalizzazioni e semplificazioni pedagogiche e moralistiche, le quali impediscono di esaminare e di capire i concreti conflitti storici e strutturali che stanno alla base dei conflitti interetnici. (Le eccezioni non sono numerose: fra queste, vorrei citare uno scritto di Enrico Pugliese sul "Manifesto" del 26 ottobre scorso.) Altre volte sono carenti non le idee e gli inquadramenti, ma soprattutto le informazioni. Proprio qui il libro a cura di Laura Balbo e Luigi Manconi I razzismi possibili (Feltrinelli 1990) riempie un vuoto e si raccomanda per l'accurato panorama documentario sulle vicende-soprattutto politiche - relative alle nuove convivenze nel nostro paese. Il volume è composto di una breve introduzione e di quattro scritti originali. Cominciando dal fondo, occorre notare innanzi tutto i pregi dei due brevi saggi in appendice, veramente acuti e densi: uno di Marina Forti, e uno di Bruno Nascimbene (con note e bibliografia), dedicati ai diritti degli stranieri, che fanno schematicamente il punto sulle vicende successive alla entrata in vigore delle norme del 1990. La parte più impegnativa del libro è però quella centrale, scritta da Manconi: anche questo saggio è pregevole soprattutto per il suo contenuto di cronaca e di analisi dei fatti politici recenti relativi al problema degli extracomunitari; esso contiene peraltro una certa quantità di osservazioni interpretative e classificative acute e interessanti, per quanto talora disorganiche, che riguardano fra l'altro il campo della psicologia. Quanto allo scritto iniziale, di Laura Balbo, è il più scorrevole e brillante, e si può ben dire che una certa sua colloquialità non fa mai velo all'intelligenza. (Una sola nota critica, forse marginale e forse no : si sarebbe voluta qualche motivazione a sostegno di un giudizio più volte dato per scontato dall'autrice, secondo cui l'Italia sarebbe un sistema sociale compattamente "monoculturale", in rapporto al fatto - peraltro ovvio - che esso è "biancocentrico": dove viene fatto di osservare, da parte del lettore, che un concetto del genere andrebbe visto in un'ottica comparativa, non assoluta, e non andrebbe comunque concepito in termini - metaforicamente e letteralmente - "bianco/nero". Ad esempio il nostro paese, drammaticamente spaccato com'è fra Sud e Nord, è certamente più omogeneo per cultura che non l'India o l'Indonesia, ma è molto meno omogeneo che moltissimi altri paesi più vicini a noi come la Francia, o anche la Germania, o il Giappone, o persino la Svizzera - le cui quattro comunità etniche compongono un paese assai più culturalmente unito dell'Italia - e ciò con precise conseguenze sui conflitti ora dilaganti. Considerarl9 monoliticamente monoculturale tout court, insomma è opinione che semplifica un po'troppo le cose.) La cronaca sociale e politica di Balbo, Manconi e collaboratori ha un limite che salta agli occhi alla lettura. Questo limite peraltro non è un difetto del libro rispetto alle sue premesse, ma un confine che gli autori potrebbero aver anche assunto consapevolmente. La loro documentazione critica, per quanto preziosa e accurata, richiama infatti alla mente la.battuta di Altan secondo cui "qui facciamo la cronaca, perché fare la storia costa troppo". La scelta di non analizzare il problema del1'immigrazione in Italia su uno sfondo storico e in termini di conflitti economici e strutturali, produce il rischio di descrivere benissimo gli alberi e arbusti e i funghi che ci compaiono davanti, cioè i singoli ILCONTESTO ·eventi, senza saper mai dire come appare il bosco, né il paesaggio: cioè in sostanza finisce col rinchiudere il tema nei limiti tipici della · dimensione estemporanea e frammentata del giornalismo. Il tema del razzismo in Italia, esaminato in una dimensione combinata di psicologia e sociologia poco sistematiche e di denuncia altrettanto nonsistematica di singoli eventi e di cronache politiche, richiama il bisogno di un discorso di maggiore spessore. Benissimo per la cronaca e la denuncia e le posizioni attuali dei partiti, ma - vien da chiedersi - la storia dov'è? E, se è per questo, dov'è la geografia, beninteso in senso politico moderno? Da un lato vi sono gli squilibri storici interni dell'Italia, di cui bisognerebbe pur dire qualcosa dato che proprio qui contano parecchio; da un altro lato c'è la situazione demografica particolarissima dell'area mediterranea con l'evoluzione politica ed economica del Maghreb e la politica dei nostri governi verso i paesi islamici, e la tragedia dell'Africa Nera - per non ricordare qui che alcuni temi-, così come, congiuntamente, c'è da ricordare l'utilizzazione dell'Italia da parte di moltissimi immigrati in quanto uscio d'ingresso e cortile di parcheggio per l'Europa. Cose come queste andrebbero almeno citate come il.terreno reale, il paesaggio vero, su cui assume un senso l' "emergenza immigrazione", di cui altrimenti si può capire abbastanza poco. Ora, il paesaggio di cui gli alberi fanno parte viene abitualmente identificato con il problema generale astratto del razzismo come categoria mentale e attitudinale. Ma questo è un tema interpretativo, che andrebbe posto dopo un esame degli eventi storico-politici che determinano situazioni di intolleranza etnica come quelle attive in Italia, e ~ non al posto di esso. È certamente giusto esaminare il razzismo, a un certo punto, anche da un punto di vista strutturale universale, perché è certo che in esso agiscono schemi mentali, e comportamentali, e sociali che sono tipici e vanno spiegati: ma questo esame non può sostituire, nel caso specifico, un esame della vicenda storica e geografica che determina la situazione italiana. (Si può osservare per inciso che se si vuole esaminare il razzismo nella sua matrice generale, cioè come fenomeno psicologico tipico, allora bisogna fare rif~rimento a concetti e temi tecnici, che tantissimi Vignetta di Altan (Ouipos). (70S6\AN\O ç A~t. IL DIALOGO NORV,SUD. OKS\. St. i(J NOtv D\ç?1A C.t,, lO fACC\O NOt<.D S1U rA )UD. 23
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