IL CONTESTO negozianti, tra un regolamento di conti e l'altro. Quello che in seguito si è saputo di Verzotto, politico corrotto, finanziere disinvolto collegato con Sindona, poi rifugiatosi a Beirut, dimostra quanto sia distante dalla possibilità di intervento del cittadino comune il livello di questa grande criminalità, con le sue misteriose connessioni. Inutilmente si cercherebbe in queste popolazioni del tutto pacifiche, fino a poco tempo fa, la stimmata antropologica dell'attitudine alla violenza; ed è altrettanto inutile incitarle a una ·generica rivolta morale contro la criminalità, come curiosamente ha fatto in occasione del- !' assassinio del giudice Livatino la massini.a autorità di quello Stato che non riesce a garantire le regole della convivenza civile: "È un 'illusione, e un alibi - ha scritto uno dei maggiori intellettuali isolani-invocare "rivoltemorali", quando si è istituzionalmente responsabili di un potere che di quella rivolta sarebbe probabilmente la prima vittima". Si giunge così alsecondo elemento di fondamentale discontinuità nella vicenda mafiosa, attinente alle occasioni che assistenzialismo e clientelismo danno alle organizzazioni delinquenziali. A ciò si lega la trasformazione forse più sconvolgente, cioè l'incremento della violenza, non tanto nella quantità quanto nella qualità dei bersagli che vengono colpiti. Il terrorismo mafioso serve a garantire il monopolio, soprattutto territoriale; per questo motivo esso si rivolgeva tradizionalmente contro i concorrenti ed eventualmente le spie. Persino i sindacalisti assassinati, nell'ottica della mafia "storica", andavano eliminati in quanto antagonisti nella gestione di certe forme di accesso alle risorse, come nel caso dei dirigenti di cooperative, e più in generale in quanto concorrenti nel controllo dei canali della mobilità sociale. Le classi superiori rimanevano fuori dalla sanzione massima, la morte, se non nei momenti di forte crisi politica in cui la frammentazione brigantesca prendeva il sopravvento sulle gerarchie mafiose. Tale prudenza nei confronti del vertice della piramide sociale distingue la mafia dal banditismo sardo o dalla 'ndrangheta. Per questo il sequestro di persona, utilizzato come strumento della lotta tra le cosche sino ai recenti rapimenti Corleo, Cassina, Vassallo, non diviene mai in Sicilia un sistema di accumulazione, secondo una linea ribadita dalla commissione di Cosa nostra. Rarissimo era anche, in passalo, che venisse assassinato un membro dell'apparato statale, ed in ogni caso ciò si verificava sempre ai livelli minimi e locali. L'assassinio Notarbartolo ri- . mane dunque un caso isolato per molti anni, sino agli anni Settanta del nostro secolo, quando simultaneamente al terrorismo politico il terrorismo mafioso prende a colpire con sconcertante · frequenza magistrati, funzionari di polizia, dirigenti di partiti, perfino un prefetto di Palermo e un presidente della Regione. Come per tempo ebbe a sottolineare Pio La. Torre, poi caduto anch'egli sotto il piombo mafioso, tra le due ben distinte facce del terrorismo italiano c'è un intenso scambio, non sapremmo se di tipo organizzativo, certo da rapportarsi alla logica di chi vuol spendere il sangue sul piano della politicaspettacolo per accreditare la propria ternibilità: non tanto verso una generica opinione pubblica, 16 quanto verso i gruppi concorrenti, cui bisogna dimostrare di essere i più forti, quelli che sparano più in alto, al bersaglio eccellente. La logica concorrenziale infraterrorista si palesò molto chiaramente all'epoca della corsa alla mili tarizzazione tra "Prima linea", "Brigate rosse" e altre organizzazioni consimili, e poi tra gli stessi gruppi in lotta all'interno delle BR nei mesi del sequestro Moro. Come non vedere un eguale meccanismonell'improvvisaautoritàconseguita dai mafiosi catanesi nei confronti delle altre frazioni di carcerati, subito dopo quella che dall'interno stesso di Cosa nostra venne chiamata "operazione Carlo Alberto", l'assassinio Dalla Chiesa che a torto o a ragione venne attribuito agli alleati catanesi? Peraltro l'effetto di dimostrazione del terrorismo politico dovette agire anche in un altro senso. I terroristi, in quanto esponenti di un presunto anti-Stato, trattano alla pari con i rappresentanti dello Stato vero in una presunta lotta per l'egemonia. Negli ultimi trent'anni, i mafiosi si sono assuefatti a considerare la politica e le istituzioni non più una sfera superiore cui guardare per protezione o per esigenze mimetiche, ma come uno dei campi essenziali per la vita e la prosperità delle cosche. Un più i?timo contatto del mondo delinquenziale cqn la politica-affari, con la politica-assistenza, con l'accumulazione tnlffaldina che è specchio della caduta del senso dello Stato e della disintegrazione della rappresentanza di interessi collettivi, ha fatto cadere ogni complesso d'inferiorità della subcultura mafiosa nei confronti della cultura alta dei ceti dirigenti. In questa fase estrema della democratizzazione della violenza, entrando in una contrattazione tra pari, tutti sono sottoposti alla sanzione violenta, in un gioco che si allarga a dismisura e dal quale ormai nessuno può pensare di rimanere fuori. · Vecchiae ·nuovaantimafia Vittorio Villa 1) Unità e trasversalità nella lotta contro la mafia È ormai da tempo che il fronte antimafia è squassato da roventi polemiche sul modo di concepire e di mettere in pratica la lotta alla mafia. Dico subito, a scanso di equivoci, che si tratta di polemiche opportune e salutari a patto, però, che non si limitino a scrostare la superficie delle questioni o, peggio ancora, aoffrire coperture a mere lotte di potere o a giochi partitici. Non la pensa in questo modo chi ritiene, e si tratta di una opinione molto diffusa all'interno dei mass media e delle forze politiche, che le polemiche sul fronte antimafia siano comunque dannose, perché spezzano la necessaria unità nella lotta contro la mafia. Da questo punto di vista, ad esempio, ogni presa di posizione che suoni come una critic;i. agli atteggiamenti e ai comportamenti, dei partiti politici di maggioranza o delle componenti più conservatrici della magistratura viene subito bollata, nella migliore delle ipotesi, come pretestuosa e ingiustificata. Si pensi al modo come sono state interpretate le polemiche "Mcli/Falcone" di qualche tempo fa: come scontri fra personalità dal carattere suscettibile ovvero, ancora, come fratture derivate da ambizioni personali o da ansie di "protagonismo". Si tratta di una tendenza che va decisamente criticata, se non altro perché i suoi esiti, tutt'altro che inconsapevoli, sono quelli di intimidire e ridurre al silenzio le sempre più rade voci che si levano contro il conform_ismoimpe-. rante delle forze politiche e culturali dominanti. Con ciò non voglio dire, a scanso di equivoci, che tutte le discussioni e le polemiche che hanno per oggetto la lotta alla mafia siano giustificate e opportune (Orlando docet...); dico soltanto che, per capire se lo sono o meno, bisogna entrare in profondità nel merito delle questioni sollevate e non limitarsi a scatenare un "fuoco di sbarramento" pregiudiziale. Ma vi è un'altra importante ragione che milita contro la tesi della "unità a tutti i costi" contro la mafia: gli è che questo "appello all'unità" nasce su1 di un equivoco di fondo, che riguarda proprio la nozione stessa di "unità". Il fatto è che l'unità delle forze politiche e sociali contro la mafia non può essere un postulato o un punJodi partenza da cuimuovere, ma piuttosto un eventuale risultatodaraggiungeree daverificare sulla base delle scelte di valore di carattere politico-culturale e delle strategie e dei comportamenti concreti posti in essere dal le forze in campo. Considerare l'unità come punto di partenza significa accontentarsi di un unanimismo difacciata, e dunque di una unità soltanto apparente, pronta a sfilacciarsi in qualunque momento. Del resto, che l'unità delle forze politiche e sociali contro la mafia sia un risultato eventuale, e comunque estremamente dubbio e problematico, è una cosa che dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti, quantomeno di coloro che non sono disponibili a letture "interessate" e di parte della realtà socio-politica circostante. Ricordava di recente Norberto Bobbio le responsabilità delle immutabili classi dirigenti delle regioni meridionali, classi dirigenti che hanno di fattoconsentito allamafia di svilupparsi sempre più prepotentemente. Considerare, al contrario, l'unità come un punJodi arrivo significa, tra le altre cose, rinunciare a entificare partiti, istituzioni, associazioni, ecc. e dunque rifiutare di attribuire loro supposte "volontà" o "intenzioni" collettive. Il fatto è che questi enti sono composti da singole persone, con la loro cultura, le loro ideologie, i lori interessi, ecc. È sulla base delle scelte di fondo e dei comportamenti concreti conseguenti (e non aprioristicamente, sulla base della logica della appartenenza), posti in essere dai singoli soggetti, che si misura la volontà di "schlerarsi contro la mafia". Non mi pare si possa mettere indubbio, e del
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