' . IL CONTESTO maggiore efficacia. Egli mostra con dovizia di controargomentazioni come la lotta satyagraha offra buone probabilità di successo e come uno dei pericoli insiti nella scelta della violenza sia la deumanizzazione sia dei soggetti che la praticano sia dei fini che si perseguono. I riferimenti storici sono tanto numerosi che forse non occorrerebbe tornare su tale questione se non fosse così radicata la convinzione di essere nel giusto quando si lotta contro l'ingiustizia ricorrendo alla violenza. Aggiungerò agli argomenti portati da Pontara un ulteriore contributo, che a mio parere dovrebbe essere sempre tenuto presente da coloro che giustificano il ricorso alla violenza diretta come il m;;tleminore, ricorrendo quindi al principio dell'utilitarismo metodologico. La tesi che intendo sostenere è la seguente: non è possibile dimostrare in modo rigoroso dal punto di-vista razionale che si possa valutare quale corso d'azione porterà a una riduzione complessiva della violenza (diretta e strutturale), quando si debba decidere in una situazione sufficientemente complessa (come sono nella quasi totalità dei casi le situazioni nelle quali ci si viene a , trovare nella lotta politica). In altre parole, l'argomento secondo cui è possibile scegliere tra due corsi d'azione sulla base del "calcolo delle probabilità" (che sta alla base del principio dell'utilitarismo metodologico) per stabilire quale dei due avrà più possibilità di successo (efficacia dell'azione) e porterà alla maggior riduzione della violenza è una tesi non fondata in termini razionali. È infatti ampiamente verificato nelle più diverse sedi di indagine e da autori di formazione culturale assai differente (Offe, Simon, Antiseri, Feyerabend, Collingdrige) che le decisioni prese nelle circostanze che qui ci interessano sono decisioni in "condizioni di ignoranza", ,nelle quali l'unica cosa certa è che "possiamo sbagliare". In questi casi la decisione razionale è quella che consente di diagnosticare per tempo gli errori man mano che si manifestano e di correggerli. Le scelte che rendono "non correggibili" gli errori sono da consiMERIDIANA RIVISTA QUADRIMES7RALE DI STORIA E SCIENZE SOCIAll direttore: Piero Bevilacqua n. 7 - 8 MAFIA, ''NDRANGHETA,· CAMORRA Saggi storici e sociologici di Salvatore Lupo e Rosario Mangiameli, Paolo Pezzino, Marcella Marmo, Giovanfii Raffaele, Chiara Lupani, Paola Monzini, Lidia Barone, Saverio Mannino, Giovanna Fiume, Piero Fantozzi, Diego Gambetta, Adrian Lyttelton, Gabriella Gribaudi. Un fascicolo: L. 22.000 (doppio L. 44.000) Abbonamento annuo (tre numeri): L. 60.000 I versamenti in ccp devono es~ere effettuati sul conto n. 14324883, intestato a IMES, · Via Brigata Cantanzaro 6. L'abbonamento decorre dal numero successivo a quello in corso. Redazione e amministrazione: Meridiana, Via Alessandria 37, 00198 Roma, tel. 06/8543498; fax 8546425 derarsi non razionali. In altre parole ancora, è necessario scegliere una strategia d'azione che consenta la reversibilità in presenza di errore. Questa strategia la ritroviamo proprio nell'approccio del satyagraha gandhiano fatto di "esperimenti con la verità". La condizione necessaria, ma non sufficiente, del "non uccidere" consente la reversibilità della nostra azione. Non siamo invece certi degli altri esiti delle nostre azioni. La violenza diretta è controllabile, in linea di principio, sebbene non reversibile qualora si opti per essa. La violenza strutturale è un "processo" che si manifesta nel tempo e pertanto risulta maggiormente reversibile con "prove ed errori", a maggior ragione se il sistema sociale è costruito su "piccola scala", in modo tale da non comportare effetti di "trinceramento", ovvero effetti secondari, perversi, non intenzionali, di misura tale da introdurre costi (ed errori) non correggibili. Mentre esiste "l'unità di conto" della violenza diretta, è più difficile misurare quella strutturale. Ma innome della promessa di eliminarequest' ultima si sono costruite le "piramidi del sacrificio" (Peter Berger, Le piramididel sacrificio, Einaudi, Torino 1982) su milioni e milioni di c~daveri immolati alla nostra presunzione di onnipotenza. E questo uno degli ostacoli che ancora oggi impedisce di "vedere" la nostra come l'altrui violenza, diretta e/o strutturale. La scelta della nonviolenza comporta un cambiamento paradigmatico. Ci si deve rendere conto che da un punto di vista strettamente ed esaustivamente razionale non possiamo dimostrare quasi alcunché in termini di teoria generale (teorema di incompletezza di Godei) e che le nostre scelte e decisioni sono prese in condizioni di ignoranza e per convinzione, ovvero per "fede". Ma di fronte al dilemma se aver "fede" nella violenza oppure nella nonviolenza, è ragiof!evole, razionale ed eticamente corretto scegliere quest'ultima. E per questa ragione che Capitini considerava se stesso e i suoi seguaci non tanto tout court dei nonviolenti quanto dei "persuasi della. nonviolenza". · Mirn,Mega 5/90 Anna Maria Ortese Dove il tempo è un altro Una delle più sigrJ,ificativevoci della nostra letteratura traccia per la prima volta la sua pa_rabola artistiéo-esistenziale in un documento di prof onda . . ' intensita.
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