Linea d'ombra - anno VIII - n. 55 - dicembre 1990

sul finestrino e tese la mano guardandoci con ferocia. Chiusi il vetro bruscamente e allo stesso tempo rallentai la marcia per la gente che si affollava intorno alla macchina. Ci guardavanocon scherno, sarcastici. Il vecchio mi disse qualcosa che non capii bene.· - Che ha detto? - Non gli badare. - Non trovo l'uscita per Pachuca. Dove si va, cazw? ~lcune donne uscivano dalla chiesa. Nella piazza i venditori toglievano le bancarelle o le ricoprivano con unaplastica trc1sparente. U~a bottiglia ruppe improvvisamente il vetro posteriore. Com~ spm_toda un riflesso condizionato accelerai, ma solo per pochi metn. Parte del gruppo si aprì gridando; rimanemmofermi, altri contadini indietreggiarono verso il marciapiede.Notammo all_o~ache all'.angolo della strada era parcheggiata una Valiant gngia, metallizzata. Appoggiato allo sportello del volante c'era un uomo con una giacchetta di tela, che mangiava noccioline americane. Dentro, nei sedili posteriori, si intravedevanoaltri due tipi con il cappello e dai finestrini sporgevano due lunghe armi. Una scritta azzurro indaco attraversava da un lato ali' altro orizzontalmente, gli sportelli laterali: POLIZIA. Ci guardavan~ tranquilli. Uno di loro sorrideva. Era domenica pomeriggio. Con l'aria .più naturale del mondo chiedemmo alla fine la stradaper Pachuca. Un ragazzo ci disse di tornare indietroe girare dove fi~iva la piazza. Come le pattuglie texane dei film, invertii la marcia con due movimenti, e non con tre come si fa ingenere, · accel~rai con discrezione e ripresi la strada dalla quale eravamo venut1.Sapevo che stavamo andando nella direzione giusta: la rotta era verso oriente. Attraversammo il paese indiagonale. Un cavallosenzapadrone ci lasciò passare. Man mano che avanzavamo mi fermavo preventivamente agli incroci e poi sfruttavo l'inerzia della macchinaper andare avanti. Ali '.incrociosuccessivo, esattamentealle 9 e a un isolato di distanza, apparve improvvisamentela Valiant m~~llizzata, con la sua scritta azzurro indaco e quei tipi dentro. Eligio sembrava non accorgersidi niente. Ogni tantoprendeva un sorso dalla bottiglia del rum. Non parlava. Puntai lo sguardo di f~onte a me, alle 12 esatte della nostra immaginaria bussola giapponese, verso la sicura uscita di salvezza che ci aspeuava in qualche angolo remoto. · - Ehi! -mi disse. -Guarda. - Sì, sono gli stessi. Li vedevamo a ogni incrocio, dalraltra parte, a ogni isolato. Mantenevano la stessa direzione, seguendo con avidità la strada, e a ?gni incrocio, sulla sinistra, sul posto delle 9, riappariva la Vahant metallizzata. E le lettere azzurro indaco della scritta. A poco a poco e con fare disinvolto ci andavamo allontanando dall'abitato verso l'aperta campagna. La Valiant sembravache ci scortasse, che ci seguisse lungo le strade parallele ben tracciate, fino all'uscita dal paese. Quando prendemmo la strada per Pachuca: silenzio.Si udiva solo il rombo della macchina provocato dall'acceleratore e io avevo la sensazione che il mio corpo vibrasse. - Che stavi dicendo? - Niente, niente. Guardavo nello specchietto retrovisore. Niente,nessunosulle · 6, dicevo a me stesso, tranquillizzato. Nonostante il vetro scheggiato, riuscii a distinguere i fari di un camion che, invece di avvicinarsie cercare di superarci,andava perdendoterrenorispetto a noi. Eligio beveva, tutto concentrato in se stesso.Mi passò la STORIE/DAITCH boUiglia.Mandaigiùun sorso. - Guarda- gli dissi. - Là, forse le 10, nella piazza: l'orologiodiPachuca. Accesi fari.Ognitantoazionavoil tergicristallo. Il temporale era incerto. La piazzaera vuota. Continuammo verso sud senza fermarci.Aquell'oracircolavanopoche auto lungo la carreggiata. - Gliabbiamomessoqualcosa di più che solo paura. -A chi? -A quello. -Ah! Dopopiùdi un'ora rientrammo in città dalla parte di Indios VerdesEligioparlavameno di prima. Non mi veniva in mente nienteda dirgli. - Gli abbiamofatto qualcosa di più che batterlo - disse, pocoprimachelo lasciassiin un angolo del centro. Entraiinca~aconlacariatide in mano. La misi sul tavolo.Mi sdraiaisul divano,senza riuscire a leggere, fumando, senza far niente.Uscii.Nellapizzeriadi fronte ordinai una empanada e un caffè."Gliabbiamofattoqualcosa di più che batterlo...", pensai. Tornai in casa: il letto disfatto, i piatti sporchi in cucina; frammentidi gusciod'uovo appiccicati alla parete, secchi. Nonpotevodormire.Sentivonei timpani i battiti delcuore.Mi rigiravo.Davantiai miei occhi chiusi, stretti, si accalcavano Io sguardovitreodel vecchio nella piazza di Ixmiquilpan, le due case dai tetliconicisulle colline di Tijuana, il pezzo di pizza rancida.Tolsiunacoperta.Mi misi a pancia in sotto, contro il materasso,misilatestasotto il cuscino, e lasciai cadere il braccio sul tappeto. La miamano sfiorò qualcosa, un nastro di cuoio, piccolo,la fibbiadi una scarpa, un tacco alto di donna. Afferai i lacci,cercail'altrascarpa,accarezzai la suola. ·come se fosse un piede,lamiamanoeritròda dove uscivano le dita di Laura, il suo piede, le sue unghie senza smalto, i suoi piedi senza calze. Intrecciaile miedita ai lacci e li strinsi con forza, tremando nell'oscurità. CopyrightFedericoCampbell.Da Tijuanenens, JaquinMortiz 1989. CAMERAOSCURA SusanDaitch traduzionediDanielaDaniele 1. Immaginidi panico Date Ardennon guardava Flash Gordon negli occhi. Era concentrataaltrove,oltre la pagina, forse sul cruscotto di controllo.Erastancadi guerrestellari, annoiata amorte dei continui inseguimenti.Quasisempre era colpa di Ming il crudele..Ming il crudelechenonsi staccava mai dalla sua pista intergalattica perché nonvolevacedere, non voleva darsi per vinto, e la sua sete di vendettaaveva già raggiunto proporzioni ossessive molti riquadriprima. Fin a questo punto lei aveva sempre mantenutosudi lui un piccolo margine di vantaggio, cogliendolodi sorpresa,unepisodio dietro l'altro. Ruotando via in alto in uno spaziosemprepiù misterioso, Date per un attimo aveva pensatocheungiornoo l'altro un'altra impresa le sarebbe stata fatale.PropriomentreMing si preparava a farla a pezzettini con

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==