STORIE/CAMPBEU -All'inizio facevo il mantenuto, ma siccome non manca la concorrenza, come tu sai ... Le nubi più cariche e nere che pochi minuti prima avevo visto sopra quasi tutti gli edifici cominciavano a spostarsi lasciando un vuoto oscuro a nord della città. Non riuscivo a vedere le montagne che circondavano ia valle, ma potevo immaginarmele. Mentre Eligio parlava pensai che non era lui che non sapeva ascoltare: io stesso gli rivolgevo uno sguardo di attenzione, di interesse completamente falso, come uno che ascolti un pilota automatico, che mi dava l'opportunità di vagare con i miei pensieri impunemente e in tutt'altra direzione. Non riuscivo a seguire il filo di ciò che mi stava dicendo, quando improvvisamente, per mantenere a galla la conversazione, osservai: -Tuia? - Come? Sì, ma è stato dopo. - Se vuoi andiamo- gli dissi. - Ho sempre avuto voglia di andare da quelle parti e di ritornare passando per Pachuca. Ed era vero. A parte le mappe, non sapevo esattamente dove si trovava la valle del Mezquital, né Ixriliquilpan, né avevo visto le cariatidi di Tuia. Avevo sentito parlare della candelilla: ma a mala pena sapevo che era qualcosa che gli indios otomfes raschiavano per fare le funi, una specie di foglia di agave o qualcosa di simile, da cui estraevano la cera. Sapevo qualcosa anche dei campi di ortaggi irrigati con le acque di fogna della capitale. Montammo sul Volkswagen e uscimmo dalla città attraversando Naucalpan. Eligio mi chiese di fermarci un attimo per comprarsi delle sigarette. Fermai la macchina di fronte a un negozio di liquori. Eligio tornò quasi subito con un sacchetto in mano e una bottiglia di rum. Riprendemmo la strada verso Queretaro. In fondo, in un punto di fuga mutevole e difficile da distinguere, le nubi avanzavano spesse in direzione contraria alla nostra, probabilmente spinte da un vento molto alto e non solo per effetto della nostra velocità. Lasciai cadere la conversazione perché non volevo che si accorgesse che lo seguivo appena e perché all'improvviso vedemmo ai lati della strada gruppi di persone senza fretta, donne e bambini che uscivano dalla chiesa e, un po' più avanti, diverse macchine parcheggiate di gente della capitale che veniva a vedere il nucleo archeologico. Solo più tardi, quando percorrendo il centro abitato riconoscemmo il sentiero in salita, mi resi conto, dalla terra plumbea e da una piccola figura di cariatide che un ragazzino vendeva e che sembrava fatta di sabbia pietrificata, che i casermoni ali 'ingresso dovevano sicuramente essere una fabbrica di cemento. Era pieno di polvere, inoltre. Non c'erano scarpe, né piedi, né capelli, né visi che non fossero ricoperti di polvere. Aleggiava un odore m9lto forte che all'improvviso svaniva, come se nel paese avessero problemi con le fognature. Ci inerpicammo per il sentiero verso le cariatidi. Le avevo viste in cartolina. Su un promontorio erano allineate diverse colonne. E poi le figure allungate, molto più alte di quanto immaginassi: gli Atlanti. ' - Una casa semicostruita? - gli chiesi. - Erano due case, nei dintorni di Tijuana. Abbandonate. Avevano il tetto color mattone, di tegole, leggermente conico, rotondo, come i cappelli di paglia cinesi, molto carine se le avessero terminate. Le pareti di cemento, senza intonaco. Dicevano che erano di certi amici molto noti nella zona, che erano in carcere; e per questo non le avevano finite di costruire. Di certi fratelli, contrabbandieri. I Brothers, li chiamavano. - Sbruffoni o mafiosi? - Di tutto, facevano di tutto. Molto abili. -Ahi! Speriamo che non ci prenda la pioggia ... più avanti. - Che importa ... 90 Tornammo al Volkswagen, dopo aver ripercorso in discesa la collina polverosa e aver comprato un portacenere di sabbia dura · con la cariatide di Tula. In basso risuonava un altoparlante. Dedicavano canzoni. Uscimmo lentamente da Tuia, mentre dietro di noi si diluivano o si modulavano meglio per la distanza le parole di un corrido... , Avevano i cerchioni dell'auto pieni di erba malsana Emilio Varela e Camelia la Texana Lasciammo Tuia diretti verso nord. Non girammo mai a destra e intanto calava la sera. Il terreno era piatto, terso, ampio, orizzontale, come una immensa laguna prosciugata. Credevo che le valli fossero degli avvallamenti immensi, passi con altipiani isolati in fondo, circondati da montagne, forse per la V di valle o per il fatto che com'era verde la mia valle la si contemplava dall'alto. Invece in lontananza l'orizzonte si perdeva o si annuvolava, una specie di pampa circolare. Fiancheggiavàno il bordo della strada delle piste che giravano verso la montagna. Il ciélo si scuriva di nuovo. Non so.per quale associazione di idee o di colori o per uno di quei casi che capitano quando guidi su una carreggiata, soprattutto se il percorso è privo di interesse e rettilineo, pensai al sistema di orientamento che usavano i piloti dei caccia giapponesi durante la guerra del pacifico: si basava sulla disposizione circolare da destra a sinistra dei numeri dell'orologio. Lo dissi a Eligio. - Di fronte sono le 12, alla mia sinistra le 9, a destra le 3. E, dietro, naturalmente, le 6. Per esempio, qui, forse le 2, dobbiamo girare verso Pachuca, o verso Ixmiquilpan, non so bene. Vcdi? Lì, dove sono forse le 11, c'è quella vacca. Entrammo lentamente nel paese successivo. Non riuscivo a capire se era Ixmiquilpan. Speravo che qualche indizio, anche minimo, ci indicasse che andavamo nella direzione giusta. Ricordavo vagamente che da lì le acque di fogna tornavano alla capitale trasformate in peperoncini, pomodori, cipolle, insalata ... e si completava così, generosamente, il ciclo della vita e dei rifiuti. In mezzo alla strada, sperduti, senza sapere esattamente in che parte del mondò ci trovassimo, ci si avvicinò un vecchio; picchiò Federico Campbell (Tijuana, Messico 1941) è autore dei racconti raccolti in Tijuanenses, di un romanzo a fondo poliziesco ma di taglio sperimentale, Pretexta, di un volume di Conversaciones con escritores spagnoli e di un saggio su uno scrittore italiano da lui molto amato, Leonardo Sciascia (La memoria de Sciascia, 1989), È anche insegnante di giornalismo (sta approntando un manuale di giornalismo, e saggi sul rapporto tra reportage e romanzo, tra giornalista e scrittore), ed è un polemista instancabile e coraggioso; molto presente nel dibattito culturale e politico messicano di oggi. I racconti di Tijuanenses-ai quali andrebbe aggiunto un testo pubblicato più tardi e a parte, rievocazione della figura della madre e dell'ambiente della famiglia Campbell a Tijuana- descrivono tutti una specifica realtà di confine, quella !Tail Messico, "terzo mondo", e la California ricca, dove tantissimi messicani sono emigrati negli ultimi anni e che apparteneva un tempo al Messico, come il Texas, il New Mexico, l'Arizona e altri stati Usa. Sul ·confine, molti sono i romanzi e film statunitensi, notissimi anche da noi. Conosciamo invece moltò poco l'altro punto di vista, quello del Sud, che Campbell ci aiuta a catturare in modo assolutamente non folkloristico. Il racconto che pubblichiamo, è tratto da Tijuanenses, un libro che si spera di veder presto tradotto anche in Italia. Federico Campbell, nostro amico, diventerà nostro collaborator~ abituale dal Messico. (Goffredo Fofi)
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