r STORIE/DJAOUT MARE ARABILE Tahar Djaout tradu1ione dì Fal;io Gambaro r._•uu: ._ I ·"'!.,, ~ . .i'· La strada sale, cintura polverosa conficcata nel corpo del villaggio bianco e rosa, le cui case, viste da ·1ontano,sembrano dadi sparpagliati caduti dalla montagna a strapiombo che solo un caso ha arrestato nella loro corsa, fissandoli per sempre ài fianchi spelati. Per via della sua larghezza eccessiva, la strada occupa uno spazio sproporzionato e quasi ridicolo in questo borgo raccolto di pescatori: è una riga generosa che divide il villaggio in due agglomerati asimmetrici. È solo verso i contrafforti della montagna che la strada comincia a spezzarsi, poi a perdersi del lutto, vinta dai fittì filari degli eucalipti... ' La strada, deserta di uomini e di rumori, riempita solamente dallo sgocciolio ininterrotto della sabbia, si copre di poivere sotto la luce fredda e scialba di dicembre. Parte dalla riva, urta le case e si perde nel grigiore degli alberi scolpiti nella nebbia. Dall'interno dello smercio di bevande (che gli habitués chiamano sempre "caffè", come per discolparsi di una inclinazione che sanno vagamente riprovevole), situato sul marciapiede destro della strada venendo dalla spiaggia, si possono sentire distintamente le masse di schiuma infrangersi contro il parapetto. Il rumore però diminuisce e muore rapidamente, e tutto raggiunge l'atonia di una giornata livida di fine autunno. Persino i due specchi del bar sembrano velare un frammento persistente del!' estate sotto lo spesso vapore venuto di nascosto dall'esterno per rimproverare la vivacità e il calore dello smercio. Lo specchio fiume - osserva ii vecchio - che trascina un autunno brullo e amaro come la solitudine fiume dove navigano innumerevoli volti incartapecoriti e da dove escono gesti immensi efalsi che si aggiungono ai gesti e alle voci della sala dove la birra accende come una kermessè senza fine fino alle prime ore della notte quando gli habitués cominciano ad andarsene uno ad uno sulla punta dei piedi come dei bambini ali' improvviso costretti a rispondere ai rintocchi esterni della campana e obbligati a raggiungere quella bruma làfuori che lifa stranieri l'uno ali' altro. 74 "È un rifugio", pensa il vecchio entrando ogni giorno nel bar, sorprendendosi che in un ·villaggio così piccolo possano esistere due mondi diff~renti che si voltano completamente le spalle, due mondi separati dalla soglia dove il nome dello smercio - che emana come un odore di ricci di mare schiacciati - risalta a grandi lettere regolari su un fondo giallastro. Prima ancora che il solito cameriere spaccone si avvicini per prendere l'ordinazione della sua prima birra, egli si sente vivere intensamente, vacilla di gioia e d'amicizia per tutti . Come un morso lancinante conficcato nella memoria, le masse di schiuma vengono ancora a infrangersi con violenza contro il parapetto - e la gioia del vecchio svanisce nella pesantezza dell'aria fumosa dello smercio. Si avvicina allora all'altro vecchio (quello che ha lasciato la sua gamba in eredità al mare), che sta molto afflitto e molto innervosito dal rumore del mare quando sputa il suo astio e la sua furia contto il p·arapettodi cemento sbrecciato e roso dal sale. Si guardano con una certa amarezza e, senza avere bisogno di parlare, indovinano i_loro pfnsieri e le loro inquietudini reciproche. L'uomo senza una gamba è sempre il primo a rompere il silenzio. "Il mare è irritato", dice. Poi tacciono e pensano entrambi alla pesca. Si ricordano di quelle giornate iridate di fine primavera, quando, sporgendosi dal bordo della barca, si possono vedere immensi banchi di sabbia incrostati di attinie e ciottoli multicolori sui quali sfilano i pagelli. Più lontano, alcune donzelle scivolano sul fondo brunastro, scavando le acque glauche con i loro riflessi cangianti. E si ricordano il pizzicore del sole sulle loro braccia è sul torace pieno di sale e ioruo. Il sole all'inizio solleticante e piacevole finisce per diventare insopportabile, si ha voglia di grattarsi - fino a scoprirsi le ossa- gli arti, il torace, la testa per estirpare l'ultimo cristallo di sale che cuoce a fuoco lento nel sudore. Talvolta sotto la pelle sembra accendersi un braciere inesorabile ... A quel punto qualcuno lascia il bar esitando un poco, e dall'esterno la bruma fredda si riversa all'interno come un lenzuolo funebre. Ma ormai i vecchi non fanno più attenzione a nulla. Seduti allo stesso tavolo, bevono in silenzio. Bottiglie stappate, bottiglie completamente vuote si ammucchiano alla rinfusa davanti a loro. L'uomo senza una gamba sente la sua testa appesantirsi, un formicolio percorre lentamente le sue membra già intorpidite. È felice. L'ondata soporifera e benefica oltre che la testa invade ora tutto il corpo; si infiltra minuziosamente nelle vene e cerca ogni più piccolo nervo per neutralizzarlo. Lui guarda la birra che schiuma abbondantemente; prima cJj versare il resto, agita leggermente la bottiglia per ottenere il massimo di schiuma. Allora si mette a considerare con attenzione le bolle prolifiche che scoppiano talvolta come delle minuscole novae. La schiuma finisce per immobilizzarsi e diventare compatta, prendéndo la forma di un pezzo cJj neve solidificata, di un minuscolo iceberg galleggiante in un mare color avena. Ormai la birra non fa più alcun effetto sulla testa, la bocca e gli arti dcli 'uomo senza una gamba. Al massimo si sente chiamare
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