o la risposta sarebbe risultala troppo sbrigali va; decise di esemplificare con un poeta, scrisse: · "Leggendo il suo articolo ho pensato a questi versi di Franco Fortini tratti da Per tre momenti: '( ...)Sono ~o I che la mia forma effondo/ in quella definita forma e ingenuo credo / realtà la metafora'. I versi di Fortini non ci dicono se la realtà sia metaforica e indefinita, o, viceversa, definita e melaforizzabile, ma l'inciso 'ingenuo' ci spinge a non fidarci delle metafore in quanto esse non coincidono col reale. Devo ammellere di concordare con Fortini e di sentirmi distante dal panorama neoermeneutico e di decostruzione in cui lei, Maneri, pone l'ambiguità, che, credo, costituisce il punto focale della sua argomentaziooe. Ho lctlo comunque il suo lavoro con inLeresse", ecc. Posò la velina e la biro, sbadigliò, spense la luce. Nell'oscurità pensò ai dubbi acri e alla coerenza di Fortini. QHanlo a sé ... • gli pareva che il mondo si fissurasse in minimi baratri più insidiosi di espliciti abissi; orientarsi significava ormai seguire crene di avvenimenti di poco conto, collegandoli con fili lenui; il presente gli p~eva insoddisfacente ... Riaccese la luce. . Luce ... Maneri e l'"essere nella luce il buio e nel buio la luce" ... Spense la luce, riaccese la luce, si alzò dal lcuo, andò nello studio, prese da uno scaffale The turning point di Friljof Capra, trovò il brano che cercava:. "A livello subatomico la materia non esiste con certezza in luoghi definiti, tutt'al più rivela tendenze a esistere; e gli eventi del livello atomico non si verificano con certezza in Lempi definiti e in modi definiti, bensì mostrano tendenze a verificarsi. Tali tendenze, nelle formulazioni della meccanica quantistica, vengono espresse come probabili Là". Rimase perplesso dal brano di Capra: suppose, anche al · livello atomico, di non esistere; se non esisteva doveva dare STORI E/BERTONI ragione a Maneri e agli "avvaloramenti del nulla". Riprese la leuera per Maneri, sedè alla scrivania, iniziò a scrivere sui paradossi di una non esistenza atomica e subatomica. Scrisse in un flusso, inserì una formula di saluto, posò la penna, rilesse. Copiò a macchina quanto aveva scritto, stracciò la bozza e la gettò nel cestino dei rifiuti, rilesse le ventuno pagine che aveva dattiloscritto, pensò che· se non esisteva lui non esisteva neppure la sua scrillura: .ache scopo dunque conservarla, a che scopo affidarla a un futuro; ogni scrittura, pensò, era un messaggio lanciato sul vuoto. Cosa dico, si disse, non ogni scriltura bensì la sua scrittura si buttava nel niente. Guardava il proprio dauiloscritto con drammaticità immeriLala, dispose i ventuno fogli uno accanto ali 'altro in tre file: sembravano un mazzo di carte scompaginato, i fogli lo guardavano. Si accostò aila finestra con una sensazione di sfarsi ... Guardò fuori: dapprima leggero inquietante, poi cupo trionfale un tuono e l'eco del tuono frammista a pfoggia; un fulmine che dileguava nella dissolvenza lo imprigionò nel suo sparire; fulmine e tuono, pensò, aborrivano il superfluo: intervenuti imponendosi su ogni altro segno della perturbazioQe atmosferica che li aveva provocati, rapidamente si disperdevano, sarebbero tornati nelgiro di pochi istanti; quasi lo abbagliò la luce di un altro lampo, chiuse fa finestra, i fogli continuavano a guardarlo. Cosa gli passava per la testa, i fogli non guardavano; era lui, pensò, che guardava i fogli. Li lesse. Li rilesse. Coglieva, rileggendo, ogni tanto barlumi di senso, ma riscontrava per lo più un nulla dei significati. Doveva dare di nuovo ragione a Maneri, cedere a quello che Maneri chiamava "nulla semantico"? Si riaccostò alla finestra: la pioggia era cessata, tirava vento, giudicò il proprio scritto superficiale e manchevole, decise di non spedirlo a Maneri, decise di buttarlo via. · Cambiò idea, aveva già distrutto la bozza, non avrebbe distrutto il dattiloscritto, çoveva trovare un posto sicuro, non certo un cassetto apribile alla prima occasione, ma un luogo in cui i ventuno fogli da(tiloscritti potessero stare senza turbarlo, un luogo in cui li dimenticasse. Esplorò la casa, non trovò un nascondiglio adatto. Si infilò i calzoni, maglione, scarpe,cappotto, uscì in strada, nel buio. Pensava di inserire ~ ventuno fogli dalliloscrilti nella cassetta delle leuere di una persona di sua conosconza che abitava a pochi isolati di distanza e che forse non sarebbe risalita a lui. Si rimproverò di scrivere la notte; la notte, si disse, era fatta per dormire. Camminava nel buio. Camminava nel buio fondo, nel vento. Camminava in un buio che gli dava fastidio, tra le pozzanghere. In ogni caso, pensò, non era un buio eccessivamente fondo perché e 'era l'illuJninazione stradale; ma anche con l'illuminazione slrndale, valutò, non ci vedeva granché. C'era da aspcllarselo, pensò, mentre scivolava tra le pozzanghere in quel buio abbastanza fondo anche s~non con:ip_l~tam~nLefondo. In quel vento non lieve i suoi fogh erano_ fm,u _s~l!asfalto bagnato: alcuni, inzuppatisi, erano, ritenne, 1(legg~b1h. . · Con questo venlo, pensò; e fu il vento che alla fme disperse i fogli che non si erano bagnali, mentre lui inseguiva ora questo, ora quello. Rob~rto Bertoni (La Spezia I 952) insegna letteratura· italiana al Tinity College di Dublino ed è au!ore di Dossier Proteo (Il Bagatto). Di lui si veda uno scntto su Seamus· Heavey nel n. 42/1989 di "Linea d'ombra". 73
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