Linea d'ombra - anno VIII - n. 55 - dicembre 1990

STORIE/BERTONI grande scienziato greco. E anche l'Egitto aveva forse dei segreti da rivelarle: non era forse la patria di Thot, il dio che sapeva contare?, Gopa si chiuse per mesi nella Grande Biblioteca. Lesse e rilesse una gran quantità di manoscritti. Incontrò i più grandi sapienti della città, quasi tutti discepoli del Maestro di Samo. Le loro conoscenze, la loro scienza dei numeri la meravigliarono. Ma un giorno s'azzardò·a discutere con loro della sua teoria. Parlò loro della possibile esistenza di un decimo numero che potesse essere insieme il massimo del vuoto e la pienezza del pieno, come la stanza vuota attorno alla quale erano state costruite lç piramidi: un numero che, per sua propria essenza, potesse negare tutti gli altri ma che, per i suoi effetti, potesse portarli allo zenith della loro potenza. Un numero che fosse l'alfa e l'omega, la misura delle cose, di tutte le cose e, contemporaneamente, la loro negazione. Un numero che fosse la Cifra dell'Universo, il suo segno evidente eppure enigmatico. Dapprima le elucubrazioni del monaco indiano vennero derise, poi ci si arrabbiò. Certi zelatori di una setta particolarrnente fanatica divennero perfino minacciosi. Gautama dov,ette cercar salvezza nella fuga. La nave sulla qualè Gopa si era freuolosamente imbarcata raggiunse un porto della costa indiana. Gautama s'incam1nino verso settentrione per raggiungere Gwalior. Evitò la città e il Grande Ashram, e si stabilì in una grotta in località Nasik Ghat, su una collina sovrastante la città. Dapprima accettò la visita di alcuni sapienti, venuti da varie . regioni del paese e perfino dall'estero per porle qualche fcbbri~e domanda sui suoi lavori, il cui interesse e il carattere scandaloso si erano propagati a partire da Alessandria a tutte le comunità scientifiche del mondo. Poi si stancò e sbarrò la porta a tulli, meno che a un giovane che tutti chiamavano l'Arabo e che veniva dalla provincia del Khawarizm. Le sue ·forze andavano rapidamente declinando. Il tempo stringeva. Doveva affrettarsi a dare una .figura alla luce che l'abitava, prima che la morte non la trasportasse nell'etere del nirvana, dove avrebbe avuto la consolazione di ritrovare l'anima dei genitori, del fratello cui aveva preso l'apparenza, del Maestro Aryabhata che l'aveva aiutata nel nascere a se stessa. Si sentiva come sollevata da un'ondata confusa, imperscrutabile, che la portava verso un punto lontano e luminoso, ma che non era fatto né d'acqua né d'aria, era solo un impalpabile fluire. Lungo questo Fiume del tempo si levavano grandi scogliere bianche in forma dei nove numeri. Invano le sue unghie cercavano di aggrapparsi alle loro asperità. Il flusso si muoveva inesorabile, il punto luminoso èresceva e in esso fu proiettata, un prisma di luce la catturò. Vi si mescolavano i colori fondamentali e, all'improvviso, vi erano come neutralizzati, scomparivano. L'arcobaleno si divideva, il non-colore irradiava in fasci traslucidi che non avevano inizio né fine. Dietro di lei, le scogliere in forma di numeri precipitarono in quest'occhio di luce e aceompagnarono la sua caduta senza fine, nel vuoto siderale ... Gopa si svegliò di soprassalto. ~i asciugò meccanicamente il sudore della fronte e si levò in piedi. Seppe immediatamente dr aver trovato la natura del Numero mancante e che non le restava che dargli una forma, prima che la morte, già in agguato alle soglie della grotta, venisse a cercarla. Nonostante l'età avanzata, i suoi gesti erano precisi. Per prima cosa, si tolse il turbante che le stringeva il capo e lo gettò con forza il più lontano possibile. Poi si liberò delle fasce che le stringevano il magro seno. Si passò sulle labbra screpolate una pillura rossa e si accinse a truccarsi il povero volto pieno di rughe, come una 72 ragazza che si prepara a un matrimonio lungamente atteso. Sì, come una donna pronta ad accogliere uno sposo misterioso e desiderato. Le viscere le dolevano. Un vortice imperioso le muoveva il ventre che non avrebbe mai potuto aver figli. Mai nessun uovo sarebbe germogliato nella sua matrice disertata, nessuna metamorfosi avrebbe proseguito il suo ciclo ... Gopa preparò dei secchi di pillura bianca e coprl metodicamente i muri della grotta con .il segno che poteva mater~alizzare il Numero mancante, che decise di chiamare Sunya: infinito, vuoto, spazio. Aveva scelto la forma di un altro vuoto: l'uovo che mai avrebbe genninato. Il cerchio che il suo ventre mai avrebbe imitato. Quando i· muri della grotta furono coperti di segni, Gopa tracciò per terra un grandissimo cerchio di fonna ovoidale, trascinò il letto al centro di quello, e vi si distese per esalare l'ultimo respiro.L'ultimo pensiero fu per l'Arabo del Khawarizm che avrebbe interpretato il messaggio e l'avrebbe reso noto in eterno ... li suo corpo si piegò a prendere la posizione del feto, e poco a poco sembrò restringersi. I sospiri che le uscivano dalla bocca dischiusa si fecero più tenui: una specie di cicaleccio: La pelle rugosa si distese. Il cranio si coprì di ima peluria setosa. Gli abiti caddero in polvere. Un cordone ombelicale le spuntò dal centro del ventre. E nella matrice della grotta l'embrione intese lo sciaguattiodel liquido amniotico cullarlo con las~adolce risacca. Copyright Chams Nadir, 1990. DI VARI BRANI Roberto Bertoni Leggeva un articolo di Diego MaJJeri, intitolato Lessemi 6'.el nulla e contenente il seguente brano: "in ogni lessico è riscontrabile, oggi, un nulla semantico. A tale nulla ribatteremo con avvaloramenti del nulla per pervenire a un altrove dei ·segni, per arrivare alla chiarezza oscurando ciò c'he si presenta falsamente_ luminoso e chiaro, per delineare il vero essere nella luce il buio e nel buio la luce". Posò, smarrito, la rivista con l'articolo di Maneri sul comodino: quel brano ambiguo ... erano tempi di postmoderno, erano tempi di pensiero debole; alcuni scrittori della sua generazione formatasi nel '68 lanciavano ponti tra il passato e il presente, ma nei più avvertiva conversioni alla logica della classe dominante, lo irritava la neocritica che bandiva l'ideologia dàlla letteratura,. smarrendo in ultima analisi la vita; più che i criptici "avvaloramenti del nullà" di cui parlava Maneri ci si dovevano augurare, pensò, pienezza e d~marcazione. - Eppure Maneri, inviandogli la rivista, aveva allegato una lettera facile e garbata, scritta su carta consistente con una stilografica dal pennino largo. Se Maneri era capace di tanta chiarezza, perché inseriva oscurità' nell'articolo? Se la china della critica letteraria procedeva di quel passo, pensò, sarebbero. svaniti il senso e i produttori del senso: in una montaliana aria di vetro ... in un non essere ... Si scosse, pre~e dal cassetto del comodino una velina e una biro, scrisse: "Caro Maneri, la ringrazio del suo articolo, che mi ha fatto ·dubitare delle 'mie certezze estetiche". Esitò, doveva aggiungere qualche altra frase

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