JAIME GIL DE BIEDMA E LE ILLUSIONI DELLA POESIA Giovanna Calabrò Quasi un anno fa moriva a Barcellona Jaime Gilde Biedma. Il suo nome richiama iilla mente quello di tanti altri: Goytisolo, Barrai, Castellet, Ferrater, Valente, un gruppo, una generazione inquieta di poeti, critici, romanzieri, che ha animato, negli anni oscuri del franchismo, la scena culturale spagnola. Da quasi vent'anni aveva smesso di scrivere versi. La sua ultima raccolta, pubblicata nel 1968, si intitolavaPoemas p6slumosc una delle poesie del volume aveva un titolo altrettanto significativo e deliberato, Despues de la muerte de Jaime Gilde Biedma. Un "palese" artificio letterario, commenterà l'amico poeta ed editore Carlos Barrai; "sottile", aveva ribattuto lo stesso Gil de Biedma. Uno sfoggio di wil --:- diremmo - nel gusto di quella poesia metafisica anglosassone da lui molto amata e frequentata. fu effetti questa morte per suicidio di Jaime Gil de Biedma era una sorta di figura retorica dell'evidenza che autorizzava il titolo della raccolta, ma nello stesso tempo ipotizzava un silemio poetico o per lo meno la fine di una stagione creativa di uno stile: dunque un tratto costitutivo della testualità di Poemas p6slumos, ma anche un tratto di poetica. Il tempo avrebbe ribadito e reso inequivocabili entrambi i sensi di questo messaggio. Al di là infatti delle previsioni che amici e critici, ali' epoca, avevano formulato, la realtà ha corrisposto ali\!finzione. Quel libro è stato davvero l'ultimo. A distanza di qualche anno, nel 1975, Gil dc Biedma ripubblicò in volume unico con un titolo suggestivo, Las personas del verbo, tutti i libri precedenti: Segun sentencia del tiempo, Compafleros de viaje, Moralidades,Poemas p6stumos. Anche questo il segno di un'esigenza: quella di ribadire la unitarietà e la coerenza di un itinerario percorso, di una identità conquistata. Tuttavia, anche se il poeta non scrive e non pubblica più versi, in qualche modo continua a vivere nel testo e a modificarlo, a modificarne la ricezione. Si può dire, anzi, che in questi anni, in quanto editore di se stesso, egli è divenuto il più attento amministratore della sua immagine letteraria. Edunque, perricordare questo poeta, partirò proprio da quella sorta di autoritratto minimo che lui stesso ha approntato per accompagnare la seconda edizione di Las personas del verbo. ''Sono nato nel 1929 a Barcellona, città dove ho vissuto quasi sempre. Passai i tre anni della guerra civile; a Nava de la Asunciòn, un paesino della provincia di Segovia dove la mia famiglia possiede una casa, dove finisco col ritornare sempre. La alternanza tra Catalogna e Castiglia, cioè tra città e campagna - o più esattamente tra vita borghese e "vie de chateau" - è stato un fattore importante nella formazione della mia. mitologia personale. Studiai giurisprudenza a Barcellona e a Salamanca; mi laureai nel 1951. Dal 1955 lavoro in un'azienda commerciale.·n mio lavoro mi ha indotto a trascorrere lunghi periodi a Manila, città che adoro e che mi riesce molto meno esotica di Siviglia, perché la capisco meglio. Rimasi calvo nel 1962: la perdita mi dispiace, ma non mi ossessiona - dicono che il mio cranio ha un bel profilo. Guadagno abbastanza. Non metto da parte. Sono stato di sinistra ed è probabile che continui a esserlo, ma da qualche tempo non sono più militante." "Bene. Supponiamo ora che siano pas'sati dodici anni da quando ho scritto le parole precedenti. E andiamo ancora oltre, supponiamo il peggio: che la nostra supposizione- tua e mia, lettore, ricordati- sia assolutamente vera. Che dirò allora che ne è stato di me durante questo spazio interlineare? La prima cosa che mi viene in mente: che nori mi è successo niente. Poi, a pensarci bene, certi fatti si impongono. Per esempio, Manila ormai mi annoia e invece mi affascina Siviglia, scoperta per la prima voltane! novembre del 1976 pur dopo esserci stato innumerevoli volte. Poi, che nel 1974 pubblicai un diario dell'anno 1956 - tutti gli anni pari sono stati importanti nella mia vita che ho intitolato Diario del artista seriamenle enfermo; nel 1980 riunii in un volume, El pie de la lelra, i miei saggi di critica letteraria e altre divagazioni. E ora pubblico la seconda edizione, impercettibilt mente aumentata, delle mie poesie complete. Insomma, in tutti questi anni ho imparato bene o male - bene e male - a essere un incassatore. Un apprendistato modesto, ma che assorbe, e a malapena consente di scrivere poesie." "Forse dovrei aggiungere qualcosa sul fatto che non scrivo più. Molti me lo chiedono, io stesso me lo chiedo. E chiedermi pcrchénonscrivo, inevitabilmente rimanda a un altra domanda molto più inquietante. Perché scrissi? In fin dei conti leggere è la normalità. Le mie ris1xislcpreferite sono due. La prima, che la'mia · poesia è consistita-senza che ne fossi consapevole-in un tentativo di inventarmi uu'identità: una volta inventata e assunta, non mi capita più di intendere ogni poesia che scrivo come una scommessa, che era quel che mi appassionava. L'altra risposta è che si è trattato di un equivoco, io credevo di voler essere poeta, mane! fondo volevo essere poesia. E in parte, anche se male, ci sono riuscito: come qualsiasi poesia mediamente ben fatta, ora sono privo di libertà interiore, sono tullo necessità e sottomissione interna a quel tormentato tiranno, a quel Big Brother insonne, onnisciente e ubiquo: Io. Per metà Cali bano e per metà Narciso; ne ho paura soprattutto quando, affacciati a un balcone, lo sento chiedermi: Che fa un ragazzo degli anni Cinquanta come te, m un anno indifferente come questo? All the rest is silence." Questo autoritratto è a ben vedere un congedo. Un definitivo "chiamarsi fuori". Nessun indizio, nessuna illusione che autorizzi a credere che dopo il silenzio ci sarà una ripresa. Il quadro gli appare definitivamente scandito secondo il ritmo delle stagioni vitali: giovinezza, maturità, vecchiaia. Alla giovinezza appartiene la creatività, alla maturità la fase del ripiegamento. Tutta la sua attività di questi anni, d'altra parte, parla chiaro in tal senso: riedizione delle poesie, ristampa in volume dei suoi saggi di critica letteraria, pubblicazione di un vecchio diario manoscritto, qualche conferenza, qualche intervista-,- sono i momenti di un unico progetto, di un'illusione, segreta, quella di leggersi come se fosse un altro. Un estremo tentativo di fissare un'immagine già nota, un 'identità già costruita, di esorcizzare il passare del tempo. Alla fine nient'altro che il gesto con cui.I 'artista, prima di congedarsi dall'autoritratto, torna a riguardarlo, e magari vi appone la firma o corregge una sbavatura del colore. E non inganni il tono "bene educato" di questa prosa, l'andamento narrativo, la dizione· colloqtliale, l'avvicendarsi di arguzie e allusioni ironiche, tutti .artifici adatti allo stile, vagamente salottiero - in cui Gil de Bied.ma è maestro - di un'amabile conversazione. Non bastano a_ nascondere l'intensità sorda dell'inquietudine, il disincanto del bilancio. Una morte - decisa in vita dal poeta stesso - postula, in un modo sottile, una equivalenza tra la persona e la scrittura: non tanto nel senso che la poesia è vita e quindi smettere di scrivere è una anticipazione della morte, quanto piuttosto, al contrario, nel senso che scrivere è un po' morire, e un prepararsi amorire. Eperciò interrogarsi sulle ragioni del silenzio equivale a chiedersi perché si è scritto, ovvero quale patto e con chi si sia stipulato. Conviene certamente invocare ragroni di onestà intellettuale, di lucidità morale per dare una prima spiegazione. E si potrebbero ricordare le parole con cui lui stesso, nei lontani anni dell'esordio letterario, per giustificare la sua lentezza nel produrre e pubblicare scriveva: "Posti di fronte alla necessità di scegliere tra le nostre concezioni poetiche e la fedeltà alla nostra esperienza, alla fine optiamo per quest 'u Itima" (Prefazione aC ompafleros de viaje, 1959). Anche in questo caso parrebbe che abbia trionfato la fedeltà, ovvero
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