CONFRONTI film parte come racconto di storia di una criminalità diffusa, efferata, cieca. È una prima parte impressionante, la sola davvero riuscita. Camera mobile da reportage, montaggio rapidissimo con slarghi pacati, commossi sulle vittime, le tombe fresche tra la neve, muta disperazione dei parenti, Govorukhin spesso in campo con il microfono quasi a mettersi' in gioco in prima persona, qua e là requisitorie di pubblici ministeri, anatemi di popi sulla "perdita délla spiritualità", spieg_azione che non spiegano di giornalisti e ispettrici star della Tv, e intanto sfila una serie martellante di crimini crudi e banali, non spettacolari, dagli Urali alla Georgia, dalle sperdute province siberiane alle grandi città. Assassini di poliziotti, ladri, violentatori; una madre che ha ucciso i due figli che piangevano smettendo· loro di dar da mangiare; sei ragazzi che si sono accaniti su una studentessa e ora se ne stanno lì irridenti verso la corte; un ventiquattrenne di Smirnov che, con un distacco agghiacciante ricostruisce, momento per momento, dettaglio per dettaglio, la scena del delitto, come ha ucciso a pugnalate una ragazza di diciannove anni appena incontrata; né paura né pentimento né altro in nessuno; "o si va in una videoteca o si fa un omicidio" racconta un altro; un conducente siberiano pugnalato 50 volte prima che gli siano strappati gli occhi perché per difendersi aveva morso uno degli aggressori; un 'ispettrice incaricata dei minori massacrata. È una delinquenza efferata., quasi sempre di giovani, e lì, fuori dal carcere, tra il traffico di una superstrada ci sono le mogli e le fidanzate che scambiano con i detenuti bigliettini lanciati con le cerbottane; molto normali, indifferenti, hanno fatto l'abitudine al loro uomo. E non sono "casi", le cifre parlano di un aumento dei crimini gravi, negli ultimi due anni, del 70% aMosca, del 55% nell'Unione Sovietica. Un esercito di volontari della nuova criminalità, che è assunta come tema chiave, magari mascherata di nazionalismo come nei fatti di Baku, come segno e simbolo di un vicolo cieco dappertutto, che diventa l'immagine riassuntiva di un disastro, di un governante fallito come Gorbacev, di una perestrojka che "ci ha tolto da mangiare", di un sistema per cui si ritiene ·necessario un nuovo processo di Norimberga. · Questo suolo non può più produrre nessun frutto, ma solo "graffiti delle caverne", dice Govorukhin. Il regime ha creato una nuova razza di uomini in cui è stata distrutta, giorno dopo giorno, la dignità; è il suo crimine peggiore e non può avere giustificazioni. Quel che aveva da dire il film, a questo punto l'ha detto, magari con la canzone di Vladimir Vysockij, cantautore maledetto morto giovane nell'80 e scelto, assieme a Sakharov, come simbolo libertario: "Le porte sono aperte, ma le anime sono incatenate. Mostrami il luogo della luce, il luogo dove la gente canta invece di lamentarsi. Siete stati troppo tempo nelle tenebre". Inutile è qui discutere le tesi storiche (e il male è Lenin, non Stalin, quasi mai nominato), sociali (la terra delle prigioni e dei campi), psicologiche (un regime di oppressione crea cittadini rabbiosi), economiche (l'Urss nazione ricca di tutte le risorse e materie prime ridotta dal comunismo a un enorme mercato nero), educative (un paese in cui i bambini hanno come mito non Pinocchio, ma il pioniere che denuncia il padre), tecniche (i discorsi sull'efficientismo poliziesco, modello -ovviamente - New York, e quelli sul benessere, referente òvvio le vetrine tedesche), ecc, tesi e opinioni che sanno troppo di "propaganda", mezze verità che danno un suono più falso delle menzogne. E non è questione di giudizio su un regime e una situazione che può essere · anche più duro, ma più motivato e con ragioni più accettabili. La sua efficacia all'interno dell 'Urss conferma, però, quale spazio possa avere un cinema di intervento, di "analisi", e quale senso abbia affrontare, comunque, il "rimosso" della storia e della realtà sovietica. Il film, che ci piaccia o, a ragione, non ci piaccia, è parte di un processo in cui il discorso storico s'innesta immediatamente nella lotta politica e in cui la riscoperta di una propria identità, un nuovo inizio, passa necessariamente attraverso l'analisi delle proprie radici. Anche se Govorukhin è per la cancellazione rabbiosa di un intero processo storico e di un'intera realtà. Terzo possibile scenario, quello (ben protetto, in Francia almeno) del cinema d'autore. Su di esso torneremo in un'altra occasione, non senza aver segnalato un film, Daddy Nostalgie, di un autore, Bertrand Tavemier, che ha in patria una fortuna critica controversa per le sue "impurità", sempre amez-zo tra libertà di stile e modello classico americano, tra uso cechoviano del sotto-testo e conciliante neo-populismo, tra un cinema di sceneggiatori e di attori (qui sono gli straordinari Dirk Bogarde e Jane Birkin) e autonomia autoriale. Ma in questo incontro alle soglie della morte tra un padre e una figi ia in una desolante cittadina del sud della Francia, è sottesa un'al,ltenticità di esperienze personali che dà una non comune intelligenza e acutezza al suo racconto di rapporti non facili, di sentimenti maldestri. Ne fa un film davvero suo, al di là di tutte le minuzie da piccolo maestro. È questo stesso spazio che spesso vogliono frequentare i giovani registi itali ani, per ora senza grandi risultati espressivi. Come il sopravvalutato Rubini di La stazione, scoperta di un 'Italia minore, di una provincia sana e virtuosa che lavora, contrapposta all'Italia dei malaffari, una scoperta troppo mediata da Shepard e da Peckinpah, dai miti sudisti del primo e dalla violenza ossessiva del secondo. Come nel De Caro di lo, Peter Pan, in cui la sensibilità e la giustezza di certi rapporti, di certe situazioni, di certi dialoghi, di certe responsabilità all'interno di una coppia giovane e in presenza di un'imminente paternità, sono attutite da una sostanziale fiac- · chezza narrativa. E intorno continuano a prosperare i discorsi sulla crisi e sullo scambio ineguale con il cinema americano. Che è certo, un problema di potere, di strutture, di economia, ma anche di prodotti, di capacità di definizione di scenari possibili, degni di attenzione da partè dello spettatore di oggi. Tutti discorsi che, passate le feste, torneranno a proporsi uguali a se stessi, a sempre. 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