Linea d'ombra - anno VIII - n. 55 - dicembre 1990

CONFRONTI libro sarebbe ormai esaurita. Ci sono scriltori che lo fanno: ognuno ha il proprio modo di affrontare questi problemi. Mi sembra comunque che si resti molto più legati all'ullimo libro scritto, che non ha ancora avuto successori e quindi non è ancora completamente separato dallo scrittore; ancora non è slalo "storicizzato", relegato nella cronologia da un libro successivo. Questo punto di vista non può essere quello del lettore che, al contrario, prende i libri come gli capita; spesso comincia dalla fine e, qualora sia interessato, torna progressivamente ai primi libri dello scrittore. Nel lettore è vivo il senso, che l'aulore non comprende bene, dell'atemporalità della sua produzione. È come se l'autore avesse potuto scrivere all'inizio ciò che ha scritto alla fine, oppure nel senso contrario, nell'ordine in cui gli è capi lato di leggerlo. Per lo scrittore non è affatto così. Superata dagli anni che sono trascorsi e hanno modificato una forma in evoluzione, una data situazione dalla quale il libro era nmo, una situazione della propria vita soprattutto affettiva, è ormai chiusa. Ed è stato il libro a segnarne la fine, a esaurirla. Ho scritto un libro sulla guerra, Unafinestra nel bosco. Avevo molti ricordi, vivissimi, su quel periodo. Poi, quando ho scritto il libro, quindici anni dopo la fine della guerra, quei ricordi sono diventali assai più vaghi. Oggi ci penso raramente. Si è prodotta una specie di "regolamcmo di conti"; quel momento è stato fissato dal libro, e i ricordi hanno perduto buona parte della loro vitalità. E tutto ciò si richiude intatto o si richiude nel!' oblio ... Si allontana. Sì, è così, si allontana. Sono ricordi che hanno perduto il loro succo: sono stati espressi, sono passati sotto il torchio della scrittura. E le sue ultime opere? Cosa pensa della loro qccoilienza da parte del pubblico, del loro sùccesso? Non bisogna farsi illusioni: in Fra·ncia, in letteratur[1si avanza un po' per anzianità. Uno che ·scrive da quaranta, quaramacinquc anni, viene trattato con una certa considerazione. Si è formata un"'immagine" più o meno stabilita; allora si scrive di_voi non solo per quello che fate ma anche per quanto avete fatto prima. Molto spesso ciò comporta, inevitabilmente, un approccio alquanto stereotipato al libro. Non è affatto la stessa situazione di quando scrivete un primo libro, o anche un secondo; allora i giudizi cambiano in un modo assai più brutale. Non ci sono dubbi, l'anzianità conta. A poco a poco si dclinea,una "collocazione"; viene data per acquisita, e non cambia più. E per questa ragione che lo scrillore si sente sempre più indifferente ai giudizi che vengono pronunciati. E la lelleratura oggi? In Francia? ... È mollo difficile giudicare un periodo nel quale si è ancora troppo coinvolli. Forse ci sono scrittori di c;uinon ci si è accorti, e che un giorno emergeranno. Ci si immagina che oggi sia impossibile che degli scriuori passino inosservati, perché nella noslra epoça c'è un' tiperLuramentale forse maggiore di,un tempo verso lutte le forme di originalità molto evidenti. E tuttavia possibile che quesli scrillori inosservati siano oggi invisibili proprio a causa di una loro apparente banalità; forse non ci si è accorti di quanto fossero diversi, in qualità, da altri aulori a cui sembrano somigliare. Mi aspelto delle riabilitazioni. Ql.\ando si pensa agli inizi di Proust, è davvero singolare che sia passato inosservato. In realtà ci si rende conto che scriveva, apparen lemenle, come seri vevano - inun modo un po' prezioso - molti personaggi del 16° arrondissement, dell'ambiente del "Figaro", Lipisnob che parlavano della gente del gran mondo; ma non ci si è accorli subito che Proust ne parlava in un modo infiniwmenle superiore a quello degli altri. Fu la "qualità" a emergere lentamente, a imporsi su una brutale originalità che fin dall'inizio era solt.anlo apparente. Da Julien Gracq, écrivain. Copyright Le temps singulier 1988. Il ritorno di Jovine Flavia Tòrtorella La ristampa da Einaudi di Signora Ava di Francesco Jovinedeve poter stimolare una ripresa d'interesse su quest'autore troppo trascurato dalla nostra critica, non propriamente noto al grande pubblico e nondimeno sicuramente degno d'interesse. Francesco Jovine appartiene ufficialmente al filone del neorealismo e fu conosciuto soprath1tto per il suo ultimo libro, Le terre del SacramenJo, pubblicato da Einaudi nel 1950 e teletrasmesso apuntatè,conlaregiadiSilverioBlasi, a partire dall'ottobre 1969. Sottoposto a una semplificatoria opera di divulgazione (negli anni caldi Luca Marano, protagonista del romanzo ben si prestava a esemplificare il prototipo dell'intellettuale organico gramsciano) e costreuo dalla critica a viaggiare nelle secche di un dualismo tematico-stil istico che lo voleva ora completamente schiacciato sul versante lirico-idillico del disimpegno, ora su quello ideologico-propagandistico, Jovine non riuscì a emergere con una sua precisa e autonoma fisionomia poetica e politica. Meridionale e meridionalista ma non provinciale, sicuramente legato al filone realista, neorealista sui generis, Jovinenon presta facilmente la sua poetica e la sua produzione letteraria a una lettura e a una interpretazione chi.!si esaurisca- ~o ~Jtt~entroparametri preordinati. Ilnodo critico rilcvant<.!chcsisviluppa m nfenmento a questo autore è quello di una sua credibik ricollocazione all 'intemo del panorama letterario italiano novl!centesco, posto eh<.!la sua coll?c:izionefu viziata ai tempi dai fumi delle polemiche ideologiche degli aruu Cmquantae prima ancoradallacultura critica di stmnpo idealistico.Si tratta, da un canto, di evidenziare la versatilità dell'autore ovvero la varietà dei suoi referenti filosofici e poetici, la sua "mobilità l;ucraria", e, dall'altro, di far luce sul suo legarne-compromissione con il contesto culturale e politico del suo tempo. 42 Francesco Jovine nasce a Guardialfiera, in provincia di Campobasso, il 9 ottobre 1902. Studia in collegi e scuole di provincia e si diploma maestro <.!lementare.Legge soprattutto i testi ottocenteschi che trova nella biblioteca del padre che egli stesso definirà "ingenuo rapsodo di un mondo defunto" e legge i classici che gli fornisce il vecchio dottor De Lisio, un caro e tipico personaggio del luogo. Jovine fatica a trovare lavoro e si arrabatta come può compilando tesi di laurea a pagamento e facendo l'istitutore privato fino a quando, nel primo dopoguerra,vinceunconcorso magistrale. In ogni ca~o, non lascia Guardialfiera ftnò al 1925, anno in cui si tnderisce a Roma, dove si iscrive alla facoltà di Magistero e diviene assistente di Giuseppe Lombardo Radice. Nel 1928 si sposa con Dina Bertoni, la compagna di tutta la vita. Inizia la sua attività di pubblicista nel 1926 e, n<.!l 1928, scrive una commedia in quattro atti, intitolata Il Burallinaio metafisico, per il teatro sperimentale di Anton Giulio Bragaglia. Tale commedia non andrà mai in scena per volontà dello stesso autore. Sebbene il teatro sia legato ai suoi esordi di scrittore, Jovine, inseguito, · non coltiverà molto questo filone. Si limiterà a curare la rubrica teatiale della rivista "La Nuova Europa" diretta da Luigi Salvatorelli, tra il gennaio '45 e il mari.O'46. Scriveràun'unìcaaltracomrnedia, intitolata Giorni che r i11asceranno, nel 1945; ma non si preoccuperà neppure di farla pubblicare. nonostante la rappresentazione avvenuta al Quirino di Roma per opera della compagnia Bcsozzi-Pola-Scandurra. Il suo primo racconto intitolato Berluè, ove si narrano le vicende di un ragazzo, un topo e un gatto che riecheggiano quelle del più noto eroe collodiano, non lascerà traccia nella sua produzione suécessiva. Nel 1929 Jovine abbozza i primi quattro

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