CONFRONTI Non è incredulo. E neppure indifferente. Ma a lungo andare si verifica un fenomeno di ordine essenzialmente statistico: avendo scritto per quaranta, quarantacinque anni, sono stati pubblicati sul tuo conto molti articoli, studi favorevoli e .ostili. Finisce per crearsi nel tuo spirito una specie di "media". I nuovi interventi vengono ad aggiungersi sull'uno o l'altro dei due piatti della bilancia. Ma senza conseguenze particolari. A un certo punto ci si assesta su quella "media", che sostanzialmente non cambierà più. È unpo' scoraggiante quandosi continua a lavorare.All'inizio si è molto più sensibili alle reazioni dei lettori e dei critici, alle reazioni individuali. Poi col passare del tempo ci si assesta su un 'immagine che non cambia più. Ci si rende conto che agli occhi del pubblico o della critica si ha una certa "immagine", senza alcuna possibilità di modificarla. Ci sono stati Bretone ]unger. A parte loro, ha mai avuto il desiderio d'incontrare altri scrittori? Per quanto riguarda la maggior parte degli serino i, è dai loro libri che riceviamo il meglio di quanto hanno da dare. Almeno è questa l'idea che mi sono fatto. Cene sono alcuni che ci si augura di conoscere, e da alcuni si riceve qualche dÒno supplementare attraverso il rapporto personale. Questo era il caso di Breton: un grande personaggio, al di là della scrittura. Io l'ho studiato come scrittore, ma era anche altro. Era una persona straordinaria, assolutamente fuori dal comune; era portatore di un "segno". Ho incontrato degli scrittori, provando simpatia e con alcuni intendendomi al volo. Ma in generale provo rararricntc il desiderio d'incontrare uno scrittore che ho letto e mi è piaciuto. Ho l'impressione che mi abbia già dato qucllo che aveva eiadarmi, nel modo scelto da lui, e non ho alcuna intenzione d'intcrl'erirc nel suo tempo, nella sua libctt.à. Non mi verrebbe mai l'icl'cc1di scrivergli. Quando ero giovane non ho mai serino agli scriuori che apprezzavo. · · Sto pensando a certi "crogioli" come il surrealismo; pensa che siano possibili degli scambi "tecnici" tra scrittori? Non ci credo molto. Se avete qualcosa da imparare dalla tecnica di uno scrittore, il modo migliore è leggerlo. Dicono che queste cose esistano nella pittura, dove l'elemento materiale elciI' arte, la "cucina", ha molta importanza: pare che i pittori si rubino procedimenti per dipingere un albero, un rinesso ncll 'acqua. Non lo so, non sono un esperto di pittura. Ma in leneratura non credo che ciò avvenga. I segreti di uno scrittore sono rivelati dal la sua scrittura. Il foglio stampato non nasconde nulla. Dunque prima di pubblicare un'opera non ha maifatto avere il manoscritto a qualcuno, per un confronto? Mai. Forse talvolta mi è capitato di leggere qualche pagina a un amico. Sottoporlo al giudizio di qualcuno prima di consegnarlo all'editore? No, non mi è mai accaduto. Sono profondamente convinto che bisogna consigliarsi soltanto con se stessi. È impossibile assumere il punto di vista dello scriuore, tanto più che neppure lui sa bene cosa vuole, quando non sta scrivendo. Mi capita di ricevere manoscritti di persone che chiedono consigli, in un senso o nell'altro. Mi sembra del tutto logico rifiutarsi di rispondere a questo genere di richieste. È impossibile mettersi in quello stato d'animo confuso e coinvolto che è tipico cli un9 scrittore al lavoro. Neppure lui saprebbe spiegarlo molto bene. E facendo un libro che si spiega, e allora lasciatelo fare, oppure scrivete il libro al suo posto. Per quanto mi riguarda non ho mai chiesto consigli a nessuno. Ciò non significa che i giudizi che si possono dare sui miei libri mi siano indi ff ercnti. Ma non avrebbero avuto alcuna possibilità di modificare la forma cliquei libri, che sono come volevo farli; così come nessun parere, nessun giudizio, mi avrebbero impedito di farli. Parlava di un'evoluzione attraverso i suoi libri. In effetti è un'impressione che possiamo verificare in ogni loro aspetto: la punteggiatura, la scrittura, la messa a fuoco del soggetto, le risonanze. In Al castello d' Argol gli esseri sono un'estensione e un prolungamento degli spazi, e allora non era possibile sapere se lei si sarebbe mosso in direzione di un romanzo ancora più astratto. Poi, curiosamente, ecco 8iungere Un bel tenebroso da una zona del tutto imprevista. -E una fioritura germanica e rimbaudiana, assolutamente inattesa dopo Al castello d' Argol. Il ratto è che non si scrive un libro, soprattutto se è di "finzione", facendo riferimento a nozioni astratte. No, i problemi che ci si pone, e in ogni caso per me è così, sono concreù. Allo stesso modo non esiste alcun ponte prestabilito tra un libro, mentre lo si fa, e il successivo. Ogni libro è un'avventura, riuscita o no, beninteso, ed è un'avventura appassionante mentre si sta svolgendo. Ma è un'operazione chiusa in sé, che non si preoccupa di ciò che è avvenuto prima e non guarda a quanto verrà dopo. Per questo provo una certa fatica a seguire i collegamenti rapidamente stabiliti tra i miei libri e quella specie di traiettoria che qualcuno vi vede e può vedervi, e che sembra caratterizzata dalla continuità. L'impressione che avverto è piuttosto quella della discontinui Là. Ma ciò è dovuto al diverso punto di vista di chi scrive e di chi legge. Il leuore tende sempre-e me ne rendo conto personalmente, da lettore di opere. altrui - a evidenziare gli elementi di "somiglianza" tra le opere di un autore che lo interessa, mentre l'autore è soprattutto sensibile alle differenze. Perché se non avesse avuto questo senso delle differenze, se avesse avuto l' impressione di rifare in allra forma una cosa già fatta - e questa è spesso l'impressione del lettore - ciò produrrebbe soltanto scornggiamento. Perché mai scrivere una nuova variante di una cosa già espressa? Anche se ciò comporta una certa ingenuità, per riuscire a fare un libro è necessario avere l'impressione di ricominciare da capo. Tuttavia capisco bene il punto di vista del critico, che è il mio quando leggo i libri di un altro. Bisogna anche considerare che nel la successione cronologica- apparentemente regolare-dei libri di un autore, esistono per lui delle rotture, dei periodi imermedi in cui sono accadute tante cose. Per esempio, tra il mio primo libro e il secondo c'è stata la guerrn. Non è una questione irrilevante. A fianco della progressiva maturazione dovuta al .· regolare u·ascorrerc degli anni, lo scrittore conserva vivissimo il senso del diverso "colore del tempo" che si rifletteva nella scrittura di ogni libro. Ciò è comunque vero per me; ho sempre scritto in modo discontinuo, con lunghi periodi di interruzione. Forse questo fenomeno è meno presente negli scrittori che ogni giorno si siedono al tavolo da lavoro. Ma lei, oggi, sia pure con questa impressione di un' "evoluzione", ha un'immagine visiva, mentale o musicale di ogni sua opera, e delle loro rispettive "posizioni"? No. In un certo senso la fine di un libro è una liquidazione. E vi lascia non certo indifferenti ma più sensibili alla forma che al contenuto. Se aprite un vecchio libro, vi dite soprattutto: ora non farci certamente così. Non è un giudizio, è la percezione dell'evoluzione che avete vissuto dopo quel libro, e per voi è evidente. Ma il libro in sé ha esaurito il proprio "giacimento"; chiamo "giacimento" qualcosa che ha chiesto di esprimersi, e si è espresso più o meno bene, maa operazione conclusa è subentrato il prosciugamento. Perciò, per esempio, mi sarebbe impossibile rifare un libro mancato: la forza viva che permette di scrivere un 41
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