CONFRONTI ' Contro la religione di don Gaetano, perversa ma profonda, sentita in qualche modo come autentica dal protagonista del libro, la difesa razionalistica è debole quanto vuol essere forte, troppo debole perreggeme il vorticoso peso. Don Gaetano dice al pittore che deve "rendersi conto che è solo e che non ha scampo (...); ma perché vuole reprimere in sé tutto ciò che lo porta verso di noi? Perché vuole contraddirsi?" "Perché lei mi contraddice- risponde il dialogante- perché mi contraddice il suo Dio. Non sono un mostro i~omprensibile". Che è come un aggrapparsi a qualcosa che lo scrittore d'altra parte rimette continuamente in questione in tutto il corso della sua opera perché ha radici avventizie. Chi garantisce lo scrittore di non essere un mostro? Forse i fort penseurs della Enciclopedia? Non sembrerebbe proprio che Sciascia ne sia del tutto persuaso. Sciascia non era certo un cattolico della riforma travestito né un cristiano evangelico. Non appare interessato ai deboli è ai poveri di spirito. Non ci sono Renzi e Lucie nei _suoiracconti, nonostante l'imitazione manzoniana. Il suo "umile" èParrineddu, nel Giornodella civetta, un dimesso tre111ante"infame" gregario della mafia, confidente dei carabinieri. Si tratta per Sciascia di un cristianesimo fondante, precocemente radicatosi e rivisitato a un livello intellettuale "aristocratico", attraverso Manzoni, Pascal e magari Bemanos e Graham Greene, presente nella sua opera a costituirne una delle trame forti. Si tratta di una religione che genera incertezza e una finale ansietà. Una sorta cli testamento (secondo una radicalità che è di una certa cultura cattolicaocciclentale) tro'viarno alla fine di Porte aperte e con esso vogliamo concludere anche noi. Il piccolo giudice, protagonista cli questo "romanzo-verità", dice al suo antagonista parole che si possono parafrasare così: ·chi vive è un condannato a morte che "sta sognando male" e può solo voltarsi su un altro fianco, per cercare "di avere sogni migliori". Sono queste.le ultime battute del libro: "Lei continua ad essere spaventato, ad aver paura". "Sì". · "Anch • io, di tutto". Note 1) L. Sciascia, La Sicilia come metafora, intervista di }.,f. Padovani, Milano, 1979, p. 64. Cfr. anche "Leonardo Sciascia. Nel corso di una vita" intervista a cura di G. Mughini, in "Mondo Operaio", dicembre 1978: "C'è un libi:o (...) al quale io tengo, Todo modo; credo che di quel libro, di un italiano che fa i conti con la chiesa cattolica, la nostra letteratura avesse bisogno". 2) "I barbari sono tra nei" intervista a cura di H. Bianciotti e J. P. Enthoven, in "Le Nouvel Observateur", 19-25 giugno 1978. · 3) L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., pp. 66-67. 4) L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p. 63. ., 5) La malinconia "nata dall'indebolimento del sacro, dalla distanza sempre più grande tra la coscienza e il divino, e rifratta e riflessa dalle situazioni e dalle opere più diverse, è la scheggia nella carne della modernità ... ". (YvesBonnefois, "Prefazione" a: J. Starobinski, La malinconia allo specchio, Milano 1990, p.7). 6)L. Sciascia, Opere 1956-1971, a cura di C. Ambroise, Milano 1987, p.661. . 7) L. Sciascia, Opere1956-1971, cit., p. 659. 8) "Tutto che nella vita ci accade- anche quel che sembra accadere per forza di circostanze esterne, imprevedibilmente e casualmente - si può dire che è accaduto nei primi dieci anni: nel senso che già nei primi dieci anni della nostra vita se ne può trovare il presentimento, la premonizione, la prefigurazione, il seme". (Opere 1971-1983, a cura di C. Ambroise, Milano 1989,p. 1100). · 9) L. Sciascia, Opere 1971-1983, cit., p. 1020. 10) L. Sciascia, La Sicilia come metafora, cit., p.'64. , 11) "Elogio dell'eresia" intervista con gli alunni dell'Istituto sperimentale di Santo Stefano, in "L'Ora", 9 maggio 1979. 12) "E la verità fu come una menzogna" intervista a cura di L. M. Lombardi Satriani, in "L'Ora", 2 marzo 1979. 38 Quelpaese all'est del Mediterraneo Isabella Camera d'Afflitto Il nostro eurocentrismo ci ha fatto ignorare per secoli quasi tutto ciò che ha prodotto la cultura arabo-islamica. Se, più recentemente, avessimo prestato maggiore attenzione, anche sul piano letterario, alla produzione di quei paesi arabi che oggi veniamo incoraggiati a demonizzare, forse avremmo potuto renderci conto per tempo di quello che succede all'est del Mediterraneo. Siapure attraverso ilfiltro della finzione narrativa, scrittori iracheni, siriani, palestinesi, libanesi da anni descrivono nei loro romanzi e racconti le reali condizioni di vita di popolazioni vittime di guerre, stermini, disériminazioni etniche religiose e politiche. Ma lo scrivono in arabo, e non in francese come molti scrittori maghrebini, e quindi in Europa ci si accorge di loro molto più- difficilmente e casualmente. Lo scrittore saudita~giordano 'Abd ar-Ralunàn Munìf (nato nel 1936), che è vissuto a lungo in Iraq, prima di emigrare a Parigi come molti altri autori arabi, nel suo romanzo Sharq al-mutawassit (All'est del Med.iterranèo) descrive in modo molto cruento la vita di un imprecisato paese proprio "ali' est del Mediterraneo". Il protagonista è uno studente, sospettato di attività contro il regime al potere da anni nel suo paese. Incappato nelle maglie <le!rapparato poliziesco e repressivo di un classico regime dittat~fiale, circondato ovunque da spie e da spiati, diventa una spoletta in mano agli oppressori: dentro e fuori dal carcere fino a che non si ammala gravemente.La via di scampo alle torture e alle ·sofferenze gli si presenta sotto forma di una domanda di grazia che lo studente è costretto a firmare: viene graziato e "invitato" ad abbandonare il proprio paese per la Francia. La solitudine e la desolazione di questo studente costretto a lasciare il proprio paese ali' est del Mediterraneo aumentano man mano che si allontana a bordo della nave diretta a Marsiglia, sua nuova destinazione. E così il giovane protagonista viene abilmente trasformato dagli uomini del regime da vittima in carnefice, da spiato a spia, da schedato a schedatore: in Francia dovrà compilare regolarmente rapporti sulle attività dei suoi connazionali. Ma in Francia l'indifferenza della gente sembra colpire profondamente il ragazzo che aveva quasi idealizzato un Occidente che poi si rivela, invece, arido e avaro. L'egocentrismo della gerite è tale che nessuno sembra accorgersi di questo rudere umano, malato e deluso, che si trascina da un caffè . a un altro senza sapere come passare la giornata, spaventato da tutto e da tutti. Soltanto quando scopre le numerose bancarelle di libri, che ognuno può liberamente osservare e comprare, sembra riconciliarsi con l'Occidente. E qui scatta l'incredulità del protagoni- · sta, che dopo aver adocchiato - qualche libro si volta di scatto a· controllare se per caso anche in Occidente, come nel suo imprecisato paese all'est del Mediterraneo, c'è subito un agente della sezione politica pronto ad arrestarlo perché- come scriverà nel rapporto - gli troverà in casa numerosi corpi del reato , "cioè libri ..." . Ma allora, ci si potrebbe chic- . dere, dove sarà mai questo imprecisato paese? Se qualcuno sospettasse l'Iraq, verrebbe subito messo a tacere dal fatto che il romanzo di 'Abd ar-Rahmàn Munìf è stato pubblicato proprio in Iraq e - si badi bene - non da un editore privato, ma dal Ministero della cultura. Come dire che il colpevole non si autodenuncia mai, e questo imprecisato paese ali' est del Meditèrraneo va ricercato al- .trove, e non soltanto in Iraq ... Ma anche se la cosa può far sorridere qualcuno, forse non sarebbe poi tanto sbagliato cominciare a interessarci anche di quello che si pubblica da quelle parti, e a occuparci di tutti i paesi arabi - e non arabi - che gravitano intorno a quel!' area proprio "ali' est del Mediterraneo".
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