CONFRONTI destino. E cioè il suo passato splendore, il suo squallido presente, la sua inevitabile fine. Sotto specie estetica, credevo: ma c'era invece, in quel che andavo disordinatamente pensando, qualcosa di più remoto ed oscuro; qualcosa di più pericoloso. Un fondo di disagio, di apprensione; come in chi, partendo, appena partito, sente di aver dimenticato o smarrito qualcosa, e non sa precisamente che. Ma a voler confessare pienamente, e magari in eccesso, quello stato d'animo: mi sentivo un po' defraudato e perduto. Quell'immobile macigno in cui mi ero, nemico, affilato per anni; quel macigno di superstizioni e paure, di intolleranza, di latino: eccolo friabile e povero come la zolla più povera. Ricordavo ancora (a dieci anni avevo servito messa) certi passi della messa in latino e li confrontavo all'italiano cui erano stati ridotti, e anche nel senso di quando si dice com'è ridotto il tale. 'L'acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana'. Che insulsa dicitura, da farpensareaquegliesseri insulsi che a tavola allungano il vino con l'acqua. 'Deus, qui umanae substantiae dignitatem mirabilitcr condidisti, et mirabilius reformasti ... ', dov'era ormai il senso di queste parole e, al di qua o al di là del senso, il mistero?". Nell'ultimo periodo della vita di Sciascia c'è come un rinsaldarsi di un anello, una circolarità che si ricostituisce. Negli ultimi mesi, di fronte alla malattia e alla morte prossima, egli consentì infatti ancora all'antico fascino della gerarchia e del cerimoniale religioso cattolico, quello che l'aveva sedotto nell'infanzia, quando, come era accaduto al narratore del romanzo, bambino, serviva messa nella chiesa della Madonna del Monte di Racalmuto, prossima alla sua casa. Questo suo ultimo cedere alla tentazione dei riti autorizzò forse con una certa legittimità chi durante la vita gli era stato più vicino, lo conosceva bene e aveva autorità per farlo, a decidere per lui i funerali cattolici. Certo, dal canto suo, lo Sciascia di dieci anni prima, quello del 1979, che pubblicava Dalle parli degli infedeli, aveva eietto, a proposito di Pasolini e a proposito del "recupero all'ortodossia che oggi se ne fa": "una faccenda molto cattolica questa di recuperare i morti..." 12 • Non serve molto comunque, parlando di Sciascia, riferirsi ai suoi ultimi momenti. Bisogna tornare alle sue opere e in queste, in fondo a queste, è vera l'inquietudine e la preoccupazione rei igiosa. Così vediamo come il rifiuto alla superstizione abbia un simmetrico specchio nel refoulement del sacro. Se non fosse tanto profondamente interessato al sacro, perché mai Sciascia avrebbe speso tanta parte del suo tempo intellettuale in un risentito censimento delle false apparizioni del sacro? La sua ironia volterriana si è formata su tale terreno. "Tu, dice a se stesso il narratore in Todo modo, volevi che il mistero si dissolvesse, che di quel grandioso scenario, di quella maestosa illusione, restassero i nudi e squallidi tralicci, (...) che finisse ...". Invece, alla fine del romanzo, il narratore, che è un pittore, finisce per trovarsi tutto assorto in un abbandono quasi mistico: ripete sul foglio l'immagine di Cristo obbedendo a un impulso connesso fino alla radice con la religione di Cristo: "La mia mano era appena un po' più nervosa del solito; ma non un solo tratto che sul foglio mi si spezzasse o impennasse, anche impercettibilmente. Soltanto una inusitata celerità e quasi ritmica, come dettata da un lontano e segreto tempo musicale. Un tempo che non voleva diventare tema, frase; ma si intrideva e appagava nei segni che scorrevano sul foglio, nei pensieri e nelle immagini che anche più febbrilmente scorrevano nella mente". L'imitatio Christi conclude il romanzo parallelamente all'intervento di un killer messaggero della giustizia di Dio. Certo la lotta contro don Gaetano inteso come simbolo del cattolicesimo (e una delle cui radici si trova forse nel Grnnde Inquisitore dostoevskiano ), è una lotta condotta in nome di Cristo. Adelphi BENEDETTO CROCE Estetica A cura di Giuseppe Galasso "Classici», pp. XXXII+ 723, L. 90.000 L'opera fondatrice del pensiero di Croce. GOTTFRIED BENN Pietra, verso, flauto A cura di Gilberto Forti "Biblioteca Adelphi », pp. 208, L. 22.000 "Il vero pensiero è sempre in pericolo e pericoloso"· KAREN BLIXEN Carnevale "Biblioteca Adelphi», pp. 392, L. 26.000 La raccolta con cui si conclude la pubblicazione dell'opera narrativa della Blixen. GUIDO CERONETTI La pazienza dell'arrostito "Biblioteca Adelphi », pp. 354, L. 30.000 Un monologo vagabondo, dove Ceronetti trascrive sulla pagina una gran parte di se stesso. ROBERT LOUIS STEVENSON L'Isola del Tesoro A cura di Lodovico Terzi "Biblioteca Adelphi», pp. 292, L. 28.000 "L'isola del tesoro: una lettura, aveva detto qualcuno, che era quanto di più si poteva assomigliare alla felicità. Pensò: stasera lo rileggerò" (Sciascia) THOMAS BERNHARD A colpi d'ascia ccFabula11,pp. 222, L. 20.000 ccAcolpi d'ascia», Bernhard devasta la chiacchiera che ci circonda in uno dei suoi ultimi romanzi, p ovocatorio e trascinante. LIDIJA CUKOVSKAJA Incontri con Anna Achmatova 1938-1941 ccLa collana dei casi", pp.382, L.35.000 Una testimonianza vibrante sugli anni dell'orrore vissuti da una donna impavida, a cui dobbiamo una delle opere poetiche più alte del Novecento. ROBERT HUGHES La ri.va fatale ccL'oceano delle storie», pp.840,con 32 tavole b/n, L.90.000 L'epopea di un continente - l'Australia-, raccontata attingendo a centinaia di fonti ignote da uno dei più vigorosi scrittori di oggi. 37
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