CONFRONTI conoscitore di pittura di tema religioso, quella stessa che piaceva a Sciascia. Don Gaetano dice: "Io sono tanto reazionario quanto rivoluzionario", che è ciò che Sciascia sentiva di essere, conservatore e ribelle. Un'opinione di don Gaetano condivisa dallo scrittore è che l'infanzia determina tutta la vita, la vita ripete l'infanzia dell'uomo 8 ; un'altra è quella secondo cui "tutti i don Giovanni finiscono per rimbambire". La "castità" professata da don Gaetano non è molto diversa da quella testimoniata da Sciascia, e anche l'idea sull'essere casti è condivisa: "È la castità, dice don Gaetano, che mi porta a semplificare quello che si usa chiamare amore". Basta scorrere tutta l'opera di Sciascia per ritrovarvi questa semplificazione dell'amore, o per meglio dire, questa censura dell'amore mai abbandonata. Una castità e una censura del tutto particplari. La semplificazione casta, per don Gaetano e per Sciascia, non corrisponde a un'astensione dall'amore, ma a una pratica di esso ?i tipo igienico, senza complicazioni. Qui don Gaetano dice: "E una cosa talmente semplice il fare all'amore ... Che è poi l'amore: non ce n'è altro tra un uomo e una donna. È come aver sete e bere. Non c'è niente di più semplice che aver sete .ebere; essere soddisfatti nel bere e nell'aver bevuto. Semplicissimo". E Sciascia, in Cruciverba : "Viene da considerare felice un'epoca (quella di Casanova), in cui l'amore era il fare l'amore; il che oggi si tenta di imitare, ma tristemente, ma tetramente" 9 • Comuni a don Gaetano e allo scrittore sono le reazioni alla raffigurazione di Cristo nella pittura di Antonello dc Messina ("Per me - dice don Gaetano - una delle più inquietanti immagini di CristoèquelladiAntonello,che si trovaoggi,mi pare, al museo di Piacenza: quella maschera di ottusa sofferenza ... Terribile ..."), di Rouault, di Redon: "Redon non è meno inquietante di Antonello( ...). Si ha l'impressione, fortissima, sconvolgente, che solo attraverso una rivelazione, un'apparizione, Redon abbia potuto disegnare il volto di Cristo come lo ha disegnato; che Cristo, cioè, abbia veramente avuto quel volto e che solo per una volta, a distanza di secoli, l'abbia svelato a Rcdon". E il narratore commenta: "Avevo sempre avuto una sensazione simile a quella che don Gaetano aveva precisato, di fronte al Cristo di Redon". Un'altra opinione di don Gaetano molto probabilmente condivisa dallo scrittore nell'atto stesso che la espone ai cinici paradossi cattolici del suo personaggio (e già siamo su un terreno molto scivoloso), riguarda la scienza a paragone del cristianesimo: "Infine, che scruti la cellula, l'atomo, il cielo stellato; che ne capisca qualche segreto; che divida, che faccia esplodere, che mandi l'uomo a passeggiare sulla luna: che fa se non moltiplicare lo spavento che Pascal sentiva di fronte all'universo?". Siamo qui su quella china sulla quale si ritrova il narratore del romanzo di fronte a un se stesso che non riesce a padroneggiare sufficienti ragioni per respingere l'assalto non tanto del prete cattolico quanto del cristianesimo pasq1liano del prete diabolico. "Noi fuggiamo da Dio", dice il personaggio del narratore. E don Gaetano risponde: "Non c'è fuga da Dio; non è possibile. L'esodo da Dio è una marcia verso Dio". A un certo punto, al narratore che gli chiede, provocatoriamente: "Che cosa è la Chiesa?", don Gaetano risponde: "Ecco, un prete buono le risponderebbe che è la comunità convocata da Dio; io, che sono un prete cattivo, le dico: è una zattera, la zau.cra della Medusa, se vuole, ma una zattera". "Preferisco morire subito, nel naufragio", risponde il narratore. E don Gaetano: "Ma no, lei sta nuotando per raggiungere la zattera. Perché il naufragio c'è già stato ...". Il narratore resta solo e riflette: "Pensando alla zattera della Medusa, cercando di ricordare quel che vi era accaduto, mi avviai verso la mia automobile. Non riuscivo a raggiungere, nella memoria, quei fatti; ma ne risentivo l'orrore provato allora leggen- · doli. Del cannibalismo, quasi certamente. 'Questo è il mio corpo, 36 questo è il mio sangue'. Il Totem e tabù, il mio primo incontro con Freud: una grande rivelazione, un lampo abbagliante. Poi ci si rende conto che le grandi rilevazioni vengono da una luce più discreta e continua, quasi inavvertitamente ... Ma no, non stavo nuotando per raggiungere la zattera. E nemmeno c'era già stato il naufragio. La vita era ancora, per me, un vascello di equilibrata e librata alberatura ...". Era vero questo per lo scrittore? Siamo sempre in una prospettiva ironica? Certo, cinque anni dopo avere seriLto Todomodo, dirà: "Credo che la nostra epoca celi una ricerca disperata, ancor che spesso sotterranea, di Dio" 10 · Nella vicenda del romanzo c'era stato un momento di smarrimento e di panico, che continuava ancora, anche se ridotto alla ragione, trasformato in un "irritante pensiero" del narratore. Ma la tentazione più grave per un uomo come lo scrittore, il cui imperativo morale, la cui scelta senza ritorno è quella del foro, della lolla civile, che ha scelto il bianco astraendolo dal nero, è quella che si trova nelle parole di don Gaetano che pongono in forse proprio questa scelta, che ne vanificano il valore: "11secolo, il mondo" sono "l'orlo dell'abisso: dentro di noi, fuori di noi. L'abisso che invoca l'abisso.( ...) Lei torna alle parole che decidono, alle parole che dividono: migliore, peggiore; giusto, ingiusto; bianco, nero. E tutto invece non è che una caduta, una lunga caduta: come nei sogni ...". "L'ultima parola, dice il narratore, restò come imbevuta dall'aria, dagli alberi, da me stesso: sicché quando mi ritrovai solo, seduto su quella pietra rotonda, intorpidito, mi parve di essere stato colto per un momento dal sonno e di aver sognato". È come se in questo romanzo, anziché svolgersi un dibattito fra religione e ragione razionale, se ne svolga soprattutto uno fra un cristianesimo cattolico buono e uno cattivo e alla fine di Todo modo il personaggio esca di scena non come il personaggio gidiano delle Caves du Vatican, che Sciascia cita, ma come qualcuno che abbia fatto con serietà dei seri esercizi spirituali cattolici e che continuerà a farli. Sciascia continuò infatti a lottare con un suo contestato cattolicesimo, a dibattersi in esso, durante tutta la vita, si può dire fino alla morte. E d'altra parte i conti saranno pubblicamente riaperti· con Dalle parti degli infedeli. Il cattolicesimo fu tentatore per lui che era nato e visse fino agli ultimi giorni "in quella sfera" e assunse, dunque, in Todo modo, la veste specifica di un diavolo tentatore. Infine l'assoluto della religione fu l'aspirazione sotterranea e immanente di questo scrittore: "La religione, disse, va vissuta giorno per giorno in conllitto con noi stessi, e anche dolorosamente; non è passiva acceu.azione di una verità una volta per tulle rivelatasi e in cui credere soltanto attraverso atti di routine. Non occorre nemmeno essere certi dcli' esistenza di Dio per essere religiosi o credere nell'immortalità dell'anima: basta soltanto essere certi che la nostra esistenza, questo nostro mondo, deve avere un qualche senso, un qualche significato". Sciascia parla dell' "assoluto che Dio dà"; e per quanto riguarda Dio, nel corso di una conversazione tenuta con gli studenti di Santo Stefano di Quisquina, disse: "Io non sono per le affermazioni ateistiche. Anzi sono convinto che l'ateo non esiste, che l'ateo sia un'invenzione dei preti"! 1. C'è un altro grado in cui si affaccia il residuo cattolico di Sciascia, ed è un livello conservatore, un po' alla maniera del vescovo Lelèvre. Una sollecitazione quasi nostalgica verso un momento della sua vita in cui il cattolicesimo dovette rappresentare qualcosa di sacro, di non dissacrabile. In Todo modo, appare il risentimento dello scrittore verso i riformatori del rito, che si sono fatti responsabili di una perdita d'identità del cattolicesimo. Si affaccia una specie di nostalgia di un se stesso fanciullo che in quei riti credeva e quel latino dell'officiante aveva caricato di senso: "Poiché era la prima volta che sentivo la messa in italiano mi abbandonai a riflessioni sulla Chiesa, la sua storia, il suo
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