Linea d'ombra - anno VIII - n. 55 - dicembre 1990

CONFRONTI notte di S. Giovanni, la cosiddetta bravata organizzata dalle associazioni giovanili o il romérage religioso per celebrare il patrono delle località. Ma la festa continua ... e Vovelle registra negli ultimi decenni del Settecento "l'intrusione dell'evento rivoluzionario nel tempo lungo della festa". Le forme tipiche della sfilata festiva si caricano di violento simbolismo politico: nel settembre 1792 nel corso di una spedizione marsigliese si distrugge il manichino della tradizionale Tarasque a forma di diavolo, simbolo delle antiche superstizioni, mentre il 15 gennaio 1793 un abitante di Avignone, J. Coulet, annota nel diario: "in fondo a rue Carreterie vengono impiccati al lampione i manichini del re e della regina". 1 Progressivamente, allo spazio interno del tipico romérage si sostituisce lo spazio esterno, mentre prende forma la passeggiata civica, la festa-corteo che diviene egemonica negli anni immediatamente successivi alle giornate dell'89 e culmina spesso nella piazza dove trovano posto i più specifici "punti di ancoraggio", l'altare della Patria e L'Albero della libertà. Accanto a questi punti fissi di riferimento coesistono nutrite schiere di simboli in movimento: picche, fasci, berretti frigi. Gli uni come gli altri, si prestano, nel modello di Vovelle, a visualizzare la tipologia della festa rivoluzionaria, festa pedagogica per eccellenza volta a comunicare in forma immediata e sintetica gli ideali dell'uomo nuovo. Ma a un primo sguardo d'insieme fanno seguito i microfotogrammi dati dalle percentuali dei singoli "punti fissi", di volta in volta censiti nel corso degli anni (dal 1791 al 1799 la centralità della Chiesa declina fino a segnare l'apogeo del Tempio della Ragione) e dei simboli inanimati (14 occorrenze registrano l 'esposizione in totale di 209 oggeui da lavoro, 44 vantano l'apparizione di ben 209 divinità nel complesso tra la Libertà, la Ragione - cui l'anziana Richella aveva prestato il suo volto- e la Vittoria). Ma i quesiti di Vovelle si cim·entano (sulle onne di illustri predecessori come Tenenti e Ariés) oltre i confini stessi dell'esistenza, fino a interrogare quegli ambiti, in apparenza muti, delle relazioni dei vivi con i morti e in generale l'insieme dei "gesti sul la morte". L'ideologia della morte, l'agire funerario, le forme e l'arredo volubile delle "città dei morti", i cimiteri, offrono, nel corso dei secoli, tracce ricchissime di ciò che solo si può esperire, la sensibilità nei confronti della vita sopravvissuta e le strategie contro l'angoscia del finire messe a punto, oa nudo, volta per volta dalle società umane.Sulla soglia aspra del trapasso, dove lo storico sembra ravvisare i segni ultimi di una verità eterna, si addensano tuttavia le ombre del mondo esterno che premono e sovrastano ogni spiraglio di intimità fino a permeare di sé, e della loro mutevolezza storica, lo stesso attimo del morire. Né la morte, così come è vissuta a partire dai secoli più lontani, sembra riuscire a fare a meno della vita: non a caso la lunga indagine di Vovelle su La morte e l'Occidente, (Latecrn 1986) prende le mosse proprio dal! 'ossessione del macabro nel Medioevo. Nella sua stretta contiguità con il vivo, nel mescolarsi alla vita e annebbiarne i confini, la morte rivela, come attestano le numerose danze macabre, gli aspetti più temibili. In un crescendo destinato a culminare nel brivido del barocco: il "gran cerimoniale" di una morte pedagogica, predisposta e auesa lungo tutta la vita, come insegnano i trattati dcli' ars moriendi così diffusi nel Seicento. Da una più allenta analisi dell'arte funeraria il movimento è tuttavia tangibile: lo scheletro che animava l'immaginario tardo medievale gode nel secolo XVII di "buona salute", ci informa un po' cinicamente Vovelle, adorna i catafalchi delle grandi pompe funebri in Francia come in Italia, si scompone inghirlande di teschi e tibie incrociate nelle chiese dell'Europa meridionale, ma la sua aggressività è più smorza~. Cresce il senso dimostrativo della morte in movimento su cui si fennano, ipnotizzati, gli sguardi di un Caravaggio e di un Bernini, mentre il tempio funerario e il catafalco funebre acquisiscono sempre più l'aspetto di veri e propri castra doloris. Si muore ogni giorno nell'immaginario ossessivo del Barocco, finché i segni di un inequivocabile sommovimento nel corso del Settecento (brutale caduta delle pratiche testamentarie, crisi dell'egemonia ecclesiastica) inaugurano una nuova fisionomia, desacralizzata, della morte, in cui, come ha efficacemente sostenuto Philippe Ariés, si assiste al passaggio dalla "mia morte" alla "tua morte" e dove lo scandalo si trasferisce dall'interno all'esterno, dall'io all'oggetto amato. Certo il transfert altruistico non esclude-avverte Vovelle-lecontraddizioni di un secolo che da Sade alla Rivoluzione francese, per non tacere di Goya, riscopre pesanti pulsioni di morte. Né, avanzando nel tempo, le certezze dell'Ottocento, esemplificate dalla struttura compatta dei cimiteri, quasi riflessi congelati dcli' eternità della famiglia, hanno potuto allontanare a lungo le inquietudini che finiranno per produrre gli echi sconcertati di un wagnerismo imperante. I solidi padri di famiglia ritratti in sobrie finanziere a guardia dei loro sepolcri, in una sorta di vertiginosa statuomania, paiono costituire un argine fragile e temporaneo. Dal la Saga dei Forsyte ai Buddenbrook, la famiglia rivela crepe e tare fino a dichiarare a se stessa la propria natura mortale. L'universo vittoriano, aggrappato al culto rassicurante di.un lutto pervasivo che influenza la moda, le acconciature e il vestiario - dai tessuti in crespo, e in bombastine, al ghiaietto e all'uso del crisantemo, in voga nel 1850 - si decompone nel corso del secolo: dall'aldilà riemergono le figure mortifere di angeli e diavoli, chimere e vampiri. Emblematico di un antico magismo rurale, il personaggio del conte Dracula che, dalla lontana Carpazia, attraversa i mari nella sua bara per contaminare l'Inghilterra urbana e industrializzata! La morte diviene sempre più il tema di un'interrogazione ripetuta e non aliena dal compiacimento nella produzione artistica otto e novecentesca: dai preraffaelliti, alle nuove danze macabre dcli' espressionismo, in cui riecheggiano i suoni della guerra e le urla mute di Munch, fino agli universi onirici dei surrealisti, dove al di là del sogno si scopre una morte spesso baroccheggiante, in Dalì come in Bufiuel. I linguaggi di una morte vagabonda, propria del Novecento, vanno cercando se stessi sempre più nelle sequenze visive del cinema: negli scenari terrei del Posto delle fragole e di Sussurri e grida di Bergman, nei giochi di morte messi in scena dal ViscontidiSensoeMortea Venezia o ancora, in forme meno evidenti, nelle immagini consolatorie della morte, sterilizzate e innocue, propagandate da tanti western, film di spionaggio e polizieschi. Ancora, gli incubi del morto-vivente, del fantasma del doppio, in genere riemergono, aggressivi, dall'aldilà nelle espressioni di una nuova cultura popolare. Nei fumetti,conDracula, Vampirella, Belzcba, Shatane o Lucifera, emissarie dell'inferno e del vizio (Immagini e immaginario nella storia, Editori Riuniti 1989). O nei film del fantastico, da Star Wars a Star Trek, viaggi verso una morte avveniristica, siderale, che fanno da contrappunto al ritorno alle origini proposto dal vecchio King Kong. Così, in qualunque punto ci si sorprenda nel variopinto osservatorio di Vovelle, si percepisce il tempo trascorso in virtù di un magico disorientamento: i disagi del morire, i rituali del comportamento festivo, i sogni della rivoluzione si materializzano proprio perché scrutati da visuali inconsuete. Sotto il fuoco di raffronti anomali e bizzarri, al contallo con sbiaditi oggetti dimenticati, il paesaggio mentale del presente si annebbia fino ad accogliere il senso, solo nelle immagini sovrapposte dell'oggi straniato, dei gesti, delle parole e delle paure di un tempo. 33

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