Sulle tracce del gulag Un'inchiesta Alain Brossat, Sonia Combe traduzione di Saverio Esposito Non si finisce mai di scoprire ciò che già si conosce di una conosceriza dolorosa e ossessiva; accade per il gulag come per l'universo concentrazionario nazista: assalita, contaminata dapprima dalla folgorazione mortifera dell '"oggetto", la conoscenza se ne forma tramite immagini complessive, tramite campi di tensione in cui giochi di memoria e poste stratègiche e ideologiche hanno il sopravvento Sulsobrio apprendimentÒ dei "fatti", in cui credere e sapere non vanno necessariamente di pari passo, in cui l'amnesia può divenire una forma eminente della memoria, in cui malafede e falsa coscienza possono essere, per l'individuo come per il gruppo, questione di vita o di morte. Quando nel 1962 la società sovietica "scoprì" il gulag con la pubblicazione di Una giornata dilvanDenisovic, lo choc fu tanto più grande in quanto quella breve narrazione non le faceva "apprendere" strettamente niente: non c'è famiglia in Urss che tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta non abbia sentito soffiare il vento gelido del terrore, e non va dimenticato che a partire dal 1953 i campi vengono aperti e gli zek (i detenuti) tornano a milioni alla vita civile ... Semplicemente, con la pubblicazione sul "Novy Mir" del capolavoro di Solzenicyn, un sapere"astratto", rimosso, un sapere di cattiva compagnia, non legittimato, una conoscenza afona e clandestina cambiavano di statuto: con la "giornata" _dell'umiledetenuto Cukov il campo di concentramento diventava una "realtà concreta" e cessava di essere innominabile. Senza grande chiasso, nella conoscenza del gulag, via via che la società sovietica ha avviato il suo decisivo decennio di mutazione e ha approfondito il suo "travaglio" sul passato, si è prodotta una rivoluzione. Sotto le nostre latitudini, la scarsa attenzione dedicata a questo "balzo in avanti" nella conoscenza del gulag o, più precisamente, il suo divenire un "oggetto di studio storico", contrasta con l'immenso clamore che aveva accompagnato, a partire dalla metà degli anni Settanta, il costituirsi del gulag in "oggetto metafisico", la sua scatenata strumentalizzazione ideologica sotto gli auspici del Solzenicyn dell'Arcipelago, della dissidenza e poi deil' esilio e, nel contesto della "pace fredda", dell'immobilismo brezneviano, del genocidio cambogiano. Premuta dai sussurri e grida della memoria e dai calcoli e mire strategici dell'ideologia, la conoscenza del gulag zoppicava e continua fortemente a zoppicare. Gli investimenti simbolici e l'attività "creativa" dell'immaginario la invadono tanto più intensamente·, senza incontrare ostacoli, in qnanto in pratica nessuna immagine si trova a sostenere un ruolo regolamentatore nella rappresentazione dell'universo concentrazionario sovietico. M6ndo senza immagini, senza archivi, senza luoghi disponibili alla pietà o all'investigazione, il gulag rimane, ancora oggi, il territorio del/' immaginario per eccellenza. Leggendo Salamov, Zigulin, Stajner, la Buber-Neumann, ogni lettore "crea" un suo personale scenario del gulag a seconda dei propri affetti; della sua collocazione politica, delle sue fantasie. Naturalmente, verrà obiettato, il mondo dei campi era per eccellenza quello dell'inconcepibile, dell 'irrapresentabile - come è stato sottolineato da IL CONTESTO Primo Levi, da Robert Antelmeeda tanti altri- , gli scritti degli ex ~ek non sono i soli a suscitare uriaaltrettanto febbrile - e in fondo vana-attività dell'immaginario. Eppure, la specificità delle rappresentazioni del gulag e del sapere che vi è collegato non è per questo meno essenziale. La memoria e la conoscenza dell'universo concentrazionario nazista, infatti, non si dissociano da un l'Ozerlag nèl 1956 in una 1010 di Vladimir Ablamski. insieme di immagini disponibili (e che hanno reso possibile, per esempio, la realizzazione di un film come Notte e nebbia), né d'una certa disponibilità dei luoghi, elemento indispensabile all'attività commemorativa, essastessadimensioneessenzialedellamemoriacollettiva.Ancpe prima della definitiva caduta del III Reich, l'universo concentrazionario nazista ha visto i suoi luoghi investiti da ogni sorta di finalità strategiche e di progetti commemorativi, è stato esibito, preservato, eternizzato per servire da esempio, e museificato a tutti i fini ufili; le immagini inimmaginabili della liberazione dei campi (pensiamo particolarmente a quelle di Bergen-Belsen), i mucchi di oggetti pietosamente conservati, gli abiti a strisce, i triangoli, le stelle, le foto dei forni, le immagini dei sopravvissuti, i disegni fatti nei campi dai deportati ecc. hanno costituito altrettanti punti di appoggio e solidi riferimen(i per la memoria collettiva, per "quelli di dopo". Tutt'altra è la topografia che la memoria del gulag presenta. Non soltanto perché l'insieme di queste tracce (fino a una data recente) ci si nega - oggetti, immagini, archivi, luoghi visitabili ... -, tracce che costituiscono il terreno di investigazione dello storico; è anche che la definizione del ruolo degli "attori" del "dramma" (il gulag) vi è singolarmente diversa, in questa zona del ricordo collettivo, da quella che prevale per l'universo concentrac zionario nazista; l'ex zek non ha mai visto la sua condizione di vittima (cioè di eroe) riconosciuta e legittimata dalla società e dai· poteri pubblici come è accaduto per gli ex deportati qei campi nazisti. L'ex zek si è visto al massimo consegnare la famosa Spravka, il certificato di riabilitazione, ma non ha ottenuto dallo Stato-carnefice né scuse pubbliche né riparazione 1 : l'irreparabile oltraggio di cui è stato vittima non è oggetto di nessuna commemorazione ufficiale; peggio, ci vuole tutur l'ostinazione degli attivisti di Memoria/ 2tra gli altri perché i luoghi in cui riposano i resti anonimi delle centinaia di migliaia di vittime del grande terrore siano trasformati in luoghi di ricordo e di pietà; talvolta, come a Kuropaty, in Bielorussia, o a Katyn3 , essi devono batta23
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