IL CONTESTO Sono circa trascorsi dieci anni da quando Helen Epstein ha pubblicato il suolibro Thechildrenof theHolocaust. I bambinida lei interrogati nel frattempo sono cresciuti, hanno a loro volta costituito delle famiglie, messo al mondo dei figli... continuando a essere dei figli dell'olocausto, i sopravvissuti della seconda generazione. È come se dei maturi quarantenni si succhiassero ancora il pollice e facessero la pipì a letto, e considerassero responsabili del loro comportamento i genitori. E passano così il testimone dei loro genitori ai figli. Già si parla di una "terza generazione", per così dire i nipoti dell'olocausto. Ancora una volta trova conferma la elementare osservazione che i genitori trasmettono ai figli esattamente quello che a loro volta hanno ricevuto dai genitori. "È importante che la memoria trovi degli itinerari costruttivi", dice la psicoterapeuta newyorchese Eva Fogellnan, anche lei una figlia della seconda generazione, "per impedire che si arrivi a un altro olocausto e assicurare una continuità alla vita ebraica"; che la gente si identifichi con il lutto e la sofferenza non basta. Ma proprio questo insistere sul ruolo di vittime sembraessere la risposta valida sempre e ovunque agli interrogativi riguardanti il sensodellavita. Quandosi trattadi evitareun secondoolocausto e di garantire la continuitàdell~tradizioneebraica, la frustrazione e la rinuncia alla libertà personale diventano accettabili e il sacrificio giustificato.La vita del singolo individuo è consacrata alla missione.Lui, lei non vivonoper guadagnaresoldi, andareal cinema, passare le vacanze al mare e se capita imbrogliareil fjsco o il coniuge. L'esistenza acquista una finalità più alta. E la provvidenza che detta le regole del gioco. Ora, non c'è niente di più faticoso e che richiede maggiore forza di volontà del desiderio di affermarsi come qualcuno fuori dalnormale. Inalcuni casi il giocovale lacandela,comedimostrano i premi Nobel e i titoli onorifici di dottore honoris causa. Quandoperò tùttaunacollettivitàè predadella stessamania,ossia il bisogno di mettersial servizio di unpiù alto senso di vita, allora le probabilità di arrivare a una catastrofe aumentano. Nel quarantunesimoanno dalla sua proclamazione Israele si trova in una J>OSizionesimile a quella dei figli della seconda generazione.E diventatoil curatore,l'amministratore fiduciariodi un testamento.Il ricordodell'olocausto determinail climapolitico inmodo moltopiù marcatorispettoa ventio trentaanni fa, quando il paese amava presentarsi come una comunità di pionieri in cammino. Inoltre ipolitici israelianisimuovonocongrandelibertà.Daun latoè ai limitidel sacrilegoritenereche la fondazionedi Israelesia una diretta conseguenza dell'olocausto, che tra i padri fondatori dello stato ebraicooltre a Herzl vada purtroppoannoveratoanche Hitler.Non è pensabile.Il movimentosionista,questa è l'interpretazione ufficiale della storia, avrebbe sviluppato anche senza l'aiuto dei nazisti una dinamica analoga che prima o poi avrebbe generato lo stato di Israele. Dall'altro lato i po.litici israeliani · continuano a rifarsi ali' olocausto quando occorre loro una solida motivazioneper qualche provvedimentoparticolarmentecontroverso. Dopo il bombardamento del reattore atomico iracheno,nel giugno 1981,l'allora primoministroBeginspiegòche almomento di prendere la decisione aveva pensato al milione e mezzo di bambini ebrei uccisi. Come sarebbero andate le cose però se i nazisti non avessero sterminato un milione e mezzo di bambini ebrei? Il reattore iracheno sarebbe per questo stato meno pericoloso per Israele, non sarebbe più stato necessario distruggerlo? L'olocausto per Israele diventa semprepiù una raisond'état, semprepiù Iostatoconcepisce se stessocome una organizzazione di soccorsoper sopravvissuti,cheoffre leprime necessariecure in attesa della prossima tragedia. Nel frattempo la seconda e ormai anche la terza generazione, che hanno convogliato nell'estremi18 smo politico la loro ansia esistenziale, sono molto più_fortidelle precedenti scampate per pura fortuna allo sterminio. E evidente che laconsapevolezzadi essere figlidi sopravvissutiprovocadelle ripercussioni non solo sulla vita privata, ma anche a livello di autocoscienza di una intera società. Ciò che a livello di nucleo familiare risultapiacevole, come l'attenzione al mantenimentodi una ·certa armonia tra le diverse generazioni, a livello nazionale assume forme spettrali. Quando durante una manifestazione commemorativa dell'olocausto Isac Shamir ha pronunciato in pubblico il nomedei genitori uccisi, non è più possibile stabilireil confine tra dolore sincero di un orfano ormai cresciuto e messinscena. Sarebbe semplicistico dire che i politici hanno esaltato le emozioni.Le emozioniesistonoveramente,tuttodipendedacome vengono manipolate. Più la situazionepresente risulta difficile e il futurominaccioso, più israele fa appello al passato. Mi chiedo se questo non significhiun reale desiderio di conosceremeglio la propria storia. Quelle lezioni di storia saltate a scuola non possono essere recuperate con il metodo "Demjanuk". Ma programmi del genere trasmessi indirettaalla radio stimolanoun sentimento di aggregazione, che a suavolta crea una identitàcomune. Il passatodiventa elemento di coesione, tiene insieme una società che ha paura del futuro. Da poco tempo a questa parte la radio militare trasmette un programma settimanale intitolato: "Io c'ero". Non si tratta, come facilmente si potrebbe immaginare,di testimonianze di soldatidi ritorno dai territoriocèupati su quelloche hanno fatto a Hebrono a Ramallah. Al contrario, sono i sopravvissuti dei campi di concentramentoche raccontano ai soldaticome hanno vissutonei lager. Non è certo un caso che un programma del genere sia stato Woody Allen in una scena di Prendi i soldie scappo ( 1969).
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